44. TRA LE BRACCIA DEL NEMICO

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Chiamai un taxi e mi feci portare dritta al laboratorio: l'autista continuava a farmi domande sul perché dovessi andare in un posto del genere alle quattro di notte.
Lo ignorai lasciando la mancia sul sedile e correndo come una dannata verso l'entrata di quel posto.
Se gli fosse successo qualcosa?
E poi perché la squadra mandata da mio padre non si era fatta più viva?
Doveva esserci qualcosa sotto, me lo sentivo.
Trovai la porta aperta e sgattaiolai dentro cercando di non fare rumore: i corridoi erano completamente al buio eccetto per qualche luce di emergenza sparsa qua e là.
Non c'era anima viva ed il posto metteva i brividi.
Ad un tratto sentii delle voci, dovevano essere alcuni uomini.
Cercai di seguirle iniziando a correre per i corridoi finché non mi imbattei in due uomini armati.
Lo sapevo.
- Ragazzina tu cosa ci fai qui? - mi guardò sorpreso uno dei due.
Non sapevo cosa fare.
- Ma è la ragazza di Adrian - gli suggerì l'altro squadrandomi meglio.
La ragazza di Adrian?
Adrian era qui?
Come facevano loro a sapere certe cose?
Iniziai ad indietreggiare impaurita.
- Dove scappi vieni qui, c'è qualcuno che vorrebbe conoscerti - ridacchiò il primo.
Rabbrividii a quelle parole.
Il capo?
L'idea mi balzò nella mente come un fulmine.
L'altro mi prese per un braccio, io cercai di divincolarmi ma senza risultati.
Mi caricò in spalla:
- Lasciami! Cosa gli avete fatto? - urlai con le lacrime agli occhi battendo i pugni contro la sua schiena.
- Abbiamo una sorpresa per te - mi sorrise l'altro in modo poco rassicurante.
Il mio cellulare intanto aveva cominciato a squillare, di sicuro era mio padre in preda al panico.
- Adrian non ce lo perdonerà - sentì uno dei due dire.
Cosa cavolo stava succedendo?
Mi portarono fino ad una piccola saletta dove c'erano alcuni computer per poi legarmi ad una sedia con un paio di manette.
- Lasciatemi! - urlai cercando di strattonare il braccio procurandomi solo dolore.
Loro se ne andarono ridendo.
Era stata una stupida.
Un esca troppo facile.
Ero nello stesso edificio in cui si trovava Adrian eppure ero qui ammanettata ad una sedia senza poter fare nulla.
Improvvisamente un rumore di passi mi fece voltare in direzione della porta.
Un uomo un po' robusto entró battendo le mani e fingendo un inchino:
- Quale onore! La famosa Clary - disse ad alta voce.
Doveva essere lui.
Il capo.
Era davvero brutto.
Il verme che aveva ucciso Dahlia, il mostro che aveva fatto del male a quei bambini.
- Il gatto ti ha mangiato la lingua? - mi incitò a parlare.
- No ma se vuoi vengo io a strappartela se non mi dici subito dove si trova Adrian - le parole mi uscirono di bocca prima ancora che avessi collegato il cervello.
Ops.
Maledetta linguaccia.
Quello rimase per un attimo interdetto per poi scoppiare in una fragorosa risata.
Che diavolo aveva da ridere?
Subito ritornò serio.
- Adrian? Lui non c'è più - mi sorrise.
Spalancai gli occhi.
Cosa aveva appena detto?
- Che vuoi dire che non c'è più? - sussurrai quasi non volendo sapere la risposta.
- Sei stata così stupida da credergli?
Credevi davvero che lui ti amasse? -
Quelle parole furono un pugno allo stomaco per me.
Stava mentendo.
Doveva essere così.
Per forza.
- Tu non sai niente - strinsi i denti.
- Invece so molto più di quanto lui ti abbia detto. Sai ti credevo più sveglia ragazzina. Abbiamo avuto qualche problema con il carico di bambini e quella testarda ci è scappata ma non accadrà più promesso - ridacchiò.
Il carico di bambini?
Cosa intendeva?
Era solo un incubo, non stava succedendo davvero.
Eppure le lacrime che rigavano le mie guance erano calde e non smettevano di scendere.
Stavo vivendo un incubo.
Erano bastate quelle parole per farmi vacillare, perdere la mia sicurezza.
Stava cercando solo di ingannarmi, di indebolirmi ma io non potevo mollare proprio ora, ora che potevo essere a qualche metro di distanza da lui.
- Adrian mi ama! - urlai tra un singhiozzo e l'altro con tutto il fiato che mi era rimasto in gola.
- Lui non si lega alle persone, non lo ha mai fatto, sei solo una delle tante - alzò gli occhi verso di me.
Una delle tante.
- Stai zitto! - urlai.
Sentivo dolore, tristezza e delusione.
E se stava dicendo la verità?
- Tu lo hai rovinato, non era così una volta, tu lo hai fatto diventare debole, ma ora non devi più preoccuparti perché ci ho già pensato io - concluse soddisfatto.
- Sei un verme! - sputai strattonando il braccio.
Lo avrei voluto prendere a pugni.
Quello rimase impassibile: si voltò verso la porta e fece cenno a due uomini di entrare.
Mi slegarono e mi trascinarono con loro verso l'uscita del laboratorio.
Mi stavano lasciando andare?
Dove mi volevano portare?
Il freddo pungente penetrava attraverso i miei vestiti e mi faceva rabbrividire.
Appena alzai lo sguardo oltre la porta vidi una sagoma familiare davanti a me in lontananza: non riuscivo a crederci.
Era Adrian.
Se ne stava appoggiato ad una macchina nera con lo sguardo basso ed una sigaretta in mano.
- Adrian! - urlai.
Era salvo.
Stava bene.
Avrei voluto correre ad abbracciarlo e dirgli che razza di spavento mi aveva fatto prendere.
Iniziai a sorridere mentre le lacrime scendevano sul viso per la felicità.
Appena lo chiamai lui alzò di poco lo sguardo fino ad incontrare i miei occhi gonfi dal pianto.
Ma subito il mio sorriso si spense sulle labbra: c'era qualcosa di diverso.
I suoi occhi erano strani.
Era freddo e distaccato.
- Sai cosa fare - disse il verme dietro di me, riferendosi ad Adrian.
Rabbrividii a quelle parole.

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Heilà gente siamo vicinisssssssimi alla fine della storia❤️ spero che questo nuovo capitolo vi sia piaciuto e come al solito mettete una stellina e commentate perché sono stra curiosa!
Ci vediamo al prossimo capitolo!!❤️
Buona notte!!!
PS: fino a venerdì sono stra impegnata quindi non credo di pubblicare...probabilmente il nuovo capitolo arriverà nel fine settimana 😘

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