CAPITOLO 18 - IL CUORE DELL'UNICO MONDO

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Con il calare del sole, Barry e Macaria si stanziarono a Tepeyac, un villaggio in cui si riposavano tutti i mercanti, prima di approdare nella capitale dell'Unico Mondo. A Tepeyac si poteva acquistare acqua, cibo e affittare una capanna per dormire.
«Come compreremo dell'acqua se non abbiamo soldi?» Domandò Barry con la gola secca.
«Ti sbagli, ho le monete.» Macaria mise le mani nella bisaccia ed estrasse dei fagioli di cacao.
«Cosa fai con quei fagioli?» Domandò Barry incuriosito.
«Mi hai domandato se avevo delle monete, eccole qui.»
Barry guardò le "monete" per un secondo, poi un attimo dopo osservò Macaria. Non poteva crederci, il fagiolo era le moneta del posto. Si aspettava una monetina di qualsiasi metallo, ma di certo non si immaginava che la valuta dell'Unico Mondo fosse il fagiolo di cacao.
«Dalle mie parti le monete sono diverse.» Continuò osservando ancora i fagioli.
«Dobbiamo comprare dell'acqua e un posto dove dormire.» Rispose Macaria tergiversando l'argomento; dopodiché la ragazza percorse il terriccio arido e si apprestò verso una catapecchia di legno tracollante. Al bancone, c'era un uomo dalla pelle color rame e con un turbante bianco che copriva tutto il capo. Alcuni capelli corvino e unti gli uscivano dalla tessuto e si posavano sulla collottola.
«È possibile comprare delle riserve d'acqua e un posto in cui accamparci per una notte?» Chiese Macaria cordiale.
«Ma certo.» Acconsentì il venditore; si calò di qualche centimetro infilando una mano sotto al bancone; cacciò delle otri di cuoio, e le poggiò sul sudicio bancone. «Ecco a voi. La capanna è l'ultima a sinistra.» Espose il venditore indicando la capanna.
«Quanti ammonta il tutto?» Domandò la ragazza soppesando i fagioli.
«Quattro.» Rispose prontamente l'uomo, risucchiando con gli occhi i fagioli. Macaria gli posò le "monete" sul bancone.
«Ci serve anche del cibo.» Soggiunse Barry compiendo un passo in avanti.
«Stavo per dimenticarmene! Mi serve anche una pianta canapa. È disponibile?» Esclamò di colpo Macaria, snobbando il consiglio di Barry.
«Sei fagioli.» Rispose il venditore recandosi a raccogliere la mercanzia che aveva richiesto Macaria.
«A cosa ci serve questa pianta?» Domandò Barry con fare interrogativo.
«Serva a te. Dovrai drogare i sacerdoti del tempio Major.» Barry deglutì. «Come drogare?» Domandò.
«Gli farai ingerire la pianta.» Disse Macaria risoluta, quasi come se fosse un gioco da ragazzi.
Barry non aveva la più pallida di come dovesse far ingerire quella droga ai sacerdoti.
Ma Macaria lo lasciò privo di istruzioni e si avviò verso la capanna.
L'abitazione era l'ultima di una serie di catapecchie costruite alla rinfusa, e fiancheggiava la fitta giungla al ridosso nel villaggio, dove provenivano continui bubulati e versi grotteschi.
Barry aprì la tenda, che fungeva da porta, e scoprì che l'interno della dimora era arredato da un misero giaciglio di paglia e da alcune lugubri candele di cera d'api, che emanavano una luce soffusa.
«Un solo letto?» Si domandò Barry basito.
«Tu dormirai a terra.» Sentenziò Macaria, prima di schiantarsi sul letto.
Il ragazzo osservò la scena inebetito; Macaria aveva già preso posto sul letto, e ora osservava l'instabile soffitto che si muoveva ad ogni soffio di vento.

L'indomani, Barry si svegliò con un fastidioso dolore alla schiena. Sì issò, e avvertì come se la schiena si potesse spezzare da un momento all'altro. Un letto comodo era un'utopia nell'Unico Mondo. Ogni qualvolta sbaragliasse gli occhi sembrava rivivere un dejavu: Macaria già in piedi, e i cinguettii dei volatili gli trapanavano i timpani.
«Arriverà il giorno in cui mi sveglierò prima di te?» Domandò Barry sbadigliando.
Macaria gli scagliò un paio di frutti e del pane tlaxala. Barry fu sorpreso dal quel gesto. Forse in fondo Macaria teneva a lui, oppure era pura illusione del ragazzo?
In cielo, oscuri nembi interferivano i raggi di luce, che arrivavano al suolo filtrati e tiepidi.
Raccattato tutto l'occorrente, e saluto il venditore, colto in flagrante di un pisolino, i due ragazzi si avviarono verso la strada rialzata che congiungeva a Tenochtitlan. Il percorso in ghisa era ampio, tanto che potevano transitare anche trenta uomini disposti in fila orizzontale, ma era anche difficoltoso da percorrere, considerano che le pietruzze si insediavano nei sandali.
«Ecco il forte. Ricorda quello che devi dire.» Lo avvertì Macaria tenendo lo sguardo fisso in avanti.
Una sontuosa costruzione in pietre grezze, ma incollate alla perfezione, si delineò dinanzi a Barry. Il forte presentava un solo ingresso, da cui uscivano ed entravano persone. Una dozzina di guerrieri armati con asce acuminate e scudi tondi, presidiavano la struttura.
«Benvenuti nel forte Acachinànco.» Esordì la prima guardia impiantando la lancia al suolo in segno di rispetto. Barry spalancò gli occhi.
«S-sono un sacerdote del tempio... M-Major.» Balbettò, e dalla fronte gli scesero delle stille di sudore. La guardia lo scrutò socchiudendo leggermente le palpebre.
«Ma certo! Lei è il sacerdote che poco fa è uscito per pisciare. Prego passi.» Esplose la guardia ridendo con una voce doppia.
Barry elargì un lieve sorriso; poi appena superato il forte chinò il capo e sospirò.
«Ci sono quasi 250.000 mila abitanti nella capitale.» Suggerì Macaria, e il ragazzo, con il cuore che gli batteva in gola, sollevò meccanicamente lo sguardo.
Una schiera di abitazioni ergevano da un pezzo di terra e delle imponenti costruzioni dominavano l'area circostante. Tenochtitlan era davvero un miracolo dell'architettura.
La città-isola vista da lontano era incantevole, con enormi strade che si diramavano e collegavano le città limitrofi. Una spettacolo senza eguali. L'entrata della città si presentava con un cospicuo numero di abitazioni costruite in pietra levigata. Al di là della abitazioni, rigorose piantagioni venivano nutrite dalla cristallina acqua del lago, e crescevano vivide e rigogliose.
«Quei campi sono artificiali, furono costruiti poiché la popolazione era in continuo aumento. Il Riverito Oratore ordinò agli ingegneri di trovare un modo per costruire appezzamenti che si innalzavano dall'acqua.» Spiegò Macaria.
Le strade erano piene zeppe di persone, che si accalcavano per chissà quale evento. Ad un tratto il suono di un corno, proveniente dal centro della città, fece scemare il tramestio. Sembrò che le persone si fossero cristallizzate. Dopo che il suono smise di echeggiare, la gente iniziò a correre verso la piazza centrale, come tori in una corrida.
«Stanno iniziando la cerimonia.» Berciò Macaria ansimante e dirigendosi verso il centro della città.
Arrivato in un dispersivo piazzale, adornato da mura effigiate da un enorme serpente, Barry roteò su se stesso e la sua mente cadde in un'amnesia completa. Una ressa di persona berciavano, e duellavano per una schiava venduta da un cacciatore. Una vera asta umana. Nobili che venivano trasportati con dei lussuosi salotti di stoffa rossa. Tra la calca e il caos, si elevarono delle urla, e la folla si schiuse in due versanti. Una lunga fila di persone dipinte di blu e con i polsi legati ad un tronco, percorrevano sfiniti il pavimento di marmo.
«Macaria dove siamo?» Chiese Barry stralunato.
«Nella Plaza Centrale, o anche chiamata il Cuore dell'Unico Mondo. Ma non dobbiamo perdere altro tempo. Seguimi, ho un piano.» Disse la ragazza voltando smaniosamente la sua testa in cerca di qualcosa. Barry seguì senza esitazione Macaria, e si trovò in procinto di entrare in un magazzino costruito in argilla. Nell'edificio, rinchiusi in gabbia, c'erano animali di ogni specie, che emettevano dei guaiti frustati. Il fetore era stomachevole, tanto che Barry dovette trattenere dei conati di vomito.
«Cosa significa questo?» Domandò con voce rauca e tappandosi le narici con le dita.
«Qui ci sono tutti gli animali presenti nella nostra valle. L'idea è stata del Riverito Oratore. Ha voluto esporre tutti le bestie della terra e dell'aria, in questo edificio. Ora torniamo al piano. Libererò gli animali in modo tale da creare una baraonda. Riesci a stabilire una comunicazione?» Chiese Macaria.
Barry nel frattempo proseguiva la visita nell'edificio poggiando una mano su ogni gabbia. Roditori, rettili, felini e volatili, un esemplare per ogni specie. Barry avvertì una morsa alla stomaco a vedere le condizioni riprovevoli in cui si trovavano quelle bestie. Un grosso pennuto, che a stento riusciva a stare nella sua gabbia, catturò l'attenzione del ragazzo. Aveva un becco color arancio e il capo bianco. Il resto del corpo era antracite con una coda bianca e degli affilati artigli che incutevano timore. Barry cercò di stabilire una telepatia con l'animale. Era piuttosto difficile. Avvertiva che il volatile soffriva, e bramava dal desiderio di poter uscire da quella gattabuia e volare libero nell'aria. Di fianco alla cella del pennuto, un grosso rettile color sabbia e con delle bizzarre forme nere sulla sua pelle squamosa, serpeggiava a malapena.
«Liberali tutti.» Sbottò Barry serrando i denti. Lo stomaco si attanagliava e la mente si oscurava di pensieri sibillini.
«Non ci sono solo animali.» Proseguì Macaria, facendo strada sul retro dell'edifico. Legati con un collare, c'erano degli esseri umani rinchiusi in celle sudice. Una donna dalla pelle bianca e dagli occhi cerulei emanava un fetore di putrefazione. Le mosche le gironzolavano attorno, posandosi sui sui capelli sfibrati dalla sporcizia.
«Macaria devi liberarli.» Imprecò Barry alzando la voce e stringendo i pugni.
«Non posso. Non c'è abbastanza tempo.» Disse la ragazza rattristandosi.
Più avanti, in posizione fetale, una persona dalla statura bassa e dalla testa più grande del corpo leccava il pavimento in cerca d'acqua. Senza ombra di dubbio doveva trattarsi di un nano.
«Perché compiono queste mostruosità?» Domandò Barry.
«Le persone dalla pelle bianca, i nani, ma anche chi della nostra razza nasce con capelli ricciuti, doppio mento e denti a coniglio, viene considerato uno scherzo della natura. Di solito vengono sacrificati, oppure messi qui in esposizione.»
Barry si accigliò in volto; ero sul punto di esplodere, ma Macaria lo bloccò indicandogli la presenza di tre guardie alla fine dell'androne.
«Andiamocene.» Disse a malincuore, voltando il capo.
Uscirono dall'edifico e ritornarono nella Plaza Centrale.
Precedentemente, a causa dei riflessi del sole, Barry non si accorse del sontuoso tempio Major. Alzò gli occhi al cielo ammirando quella maestosa costruzione. Il tempio si presentava con una base quadrangolare, due scalinate formate ciascuna da cento gradini, che si innalzavano sino al cielo, e ai lati di quest'ultimi erano poste delle statue ritraevano le divinità. In cima alla piramide spiccavano due templi: il primo situato a destra, era costruito in pietra e riverniciato in rosso, mentre il secondo, era anche esso costruito in pietra ma riverniciato in azzurro. Posta al ridosso delle due strutture, c'era una grossa pietra a goccia.
«Quello è il templo Major.» Proruppe Macaria. «Ad ogni punto della scalinata ci sono statue degli dei. Le divinità di minore importanza si trovano in basso, e man mano che si salgono gli scalini ci sono divinità sempre più crescenti nella nostra tradizione. All'estremità della piramide ci sono due templi: quello verniciato di rosso, è in onore del dio della guerra Huitzilopòchtli, mentre quello in azzurro, è in onore del dio della pace Tlaloc. La pietra che vedi dinnanzi ai due templi viene chiamata "Pietra del Sole" e sopra di essa sono raffigurate le quattro ere che hanno preceduto la nostra, con al centro la palla infuocata che puoi osservare in cielo.»
Ad un tratto si udì il fastidioso suono di una tromba. Dalla piramide si affacciò un sacerdote vestito interamente di nero. «Rendiamo omaggio al dio Tonatiù.» Proclamò l'uomo a gran voce e la folla l'acclamò con un urlo animalesco.
Nel frattempo, nella gremita piazza, spiccò un grosso palo di legno alto una ventina di metri. Legate al palo, c'erano delle spesse corde, come se qualcuno si dovesse arrampicare. Degli uomini nerboruti, trasportarono il palo sino al centro della Plaza, e lo fissarono in un apposito buco posto al ridosso della piramide.
In quel trambusto di mani e piedi che scalpitavano, la fila di uomini verniciati di blu, che Barry si era imbattuto, si apprestavano a salire dalla scalinata laterale della piramide. Senza ombra di dubbio quelle persone erano i sacrifici che il dio del sole reclamava.

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FRASI CELEBRI SU TENOCHTITLAN

"Alcuni di noi pensarono si trattasse di un incantesimo, come quelli di cui si narra nel libro di Amadis, a causa delle grandi torri, dei templi e delle piramidi che si ergevano sull'acqua. Altri si domandavano se tutto ciò non fosse un sogno." (Bernal Diaz del Castillo, principale cronista della Conquista del Messico da parte degli Spagnoli)

Il Quinto Sole - La Grande Battaglia [COMPLETATA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora