19. Can't be sleepin', keep on waking

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Non avevo dormito molto nonostante la stanchezza.
Mi sentivo strana.
Mi alzai piano dal letto per non svegliarla e andai in cucina.
L'orologio appeso alla parete segnava le 8.35 del mattino.
Mi riempii un bicchiere colmo d'acqua.
Avrei avuto molto più bisogno di un caffè ma non me la sentivo di mettermi a prepararlo, non essendo in casa mia.
Sentii dei passi dietro di me.
«Ehi, che ci fai sveglia?» mi chiese Jace aprendo il frigorifero.
Alzai le spalle.
«Non lo so, non riuscivo a dormire.»
«Tutto bene?» mi chiese lui cominciando ad armeggiare con una pentola e con la macchinetta per il caffè.
«Non lo so, mi sento strana.»
Si girò a guardarmi negli occhi e si avvicinò.
«Dimmi tutto.»
Si sedette accanto a me.
«Non è nulla, lascia stare. Vuoi una mano a cucinare? Cosa prepari?» gli chiesi.
«Volentieri. Preparo pancake e caffè. Ti piacciono?»
«Certo.» dissi cominciando a preparare l'impasto con gli ingredienti che aveva tirato fuori.
«Quando siete soli bevete spesso tu ed Ella?» gli chiesi.
Avevo scoperto solo ieri che lei aveva un coinquilino, ed ero già tremendamente curiosa.
«Ogni tanto. Diciamo che siamo simili e lei sa apprezzare l'alcol e del buon fumo.»
«Ieri hai detto che lei quando si trasferí da te aveva una situazione simile alla tua. Che cosa intendevi?»
Sembrò sul procinto di dirmi qualcosa, ma si fermò come bloccato.
«Aveva bisogno di essere più indipendente e vivere in una casa tutta sua diciamo.» disse sembrando voler chiudere il discorso.
Non feci altre domande per non sembrare troppo impicciona o invasiva anche se morivo dalla voglia di sapere.
Jace appoggiò sul tavolo il piatto con i pancake e il caffè.
Proprio in quel momento Ella scese le scale.
«Buongiorno.» mugugnó reggendosi la testa.
«Nottata difficile?» la sfottè Jace.
Lei alzò il terzo dito in risposta.
Aveva le gambe lasciate scoperte dalla lunga t-shirt.
Ora che la guardavo meglio aveva un fisico da paura.
Mi meravigliavo che non avesse file di ragazzi dietro o che non fosse fidanzata.
Una domanda si fece spazio nella mia mente.
E se fosse fidanzata invece?
No, passava le sere ad ubriacarsi quindi probabilmente era più che single.
In ogni caso non mi sarebbe dovuto importare.
Sorseggiai il mio caffè sentendo il suo sguardo su di me.
Jace ogni tanto mi lanciava qualche occhiata indiscreta, al che ad un certo punto gli tirai un calcio sotto al tavolo, rivolgendogli un'occhiata eloquente.
Ero già confusa di mio e lui non aiutava.
Lei non sembrò accorgersi di nulla.
O probabilmente finse di non accorgersi di nulla.
«Che fai oggi?» mi chiese Ella mentre dondolava le gambe sulla sedia, troppo alta per lei.
«Oggi pomeriggio probabilmente andrò a prendere le chiavi che ho fatto doppiare, poi boh, probabilmente mi sorbirò la ramanzina di Lydia.» dissi con noncuranza.
Quando sentí il nome alzò lo sguardo su di me in modo strano.
Dovevo imparare a mordermi la lingua.
«Che cosa vuole scusa?» mi chiese con tono arrabbiato.
Non accennai assolutamente al fatto che Lydia mi avesse avvertita di non uscire con lei.
«Si sarà arrabbiata per il fatto che me ne sono andata via così.»
Sembrò rilassarsi ma rispose acidamente.
«Sei grande e vaccinata comunque, puoi fare ciò che vuoi.»
«Lo so.» risposi semplicemente temendo di rovinare l'atmosfera che si era creata in quelle poche ore.
«Vado a farmi una doccia. Torno tra una decina di minuti. Non sentite troppo la mia mancanza eh.» disse sorridendo e salendo le scale veloce.
Jace mi guardò con un sorriso beffardo.
«Dai smettila di guardarmi così.» dissi spingendolo scherzosamente.
«Cosí come?» chiese facendo finta di nulla continuando.
«Uffi.» dissi mettendo su il broncio.
«Ho visto come la guardi.»
Arrossii senza rispondere.
Come la guardavo?
Si notava così tanto?
Lei lo aveva notato?
Le mie paranoie furono interrotte da lui che parlò nuovamente.
«Non c'é niente di male dai, anzi, vi trovo carine. El è un po' lunatica ma è la persona migliore che io conosca.
E poi se non fossi gay me la farei, lo ammetto. Ma per tua fortuna mi piace la banana.» disse mimandomi gesti, per poi  leccandrsi il labbro e scoppiare nuovamente a ridere.
«Dai, non ti scioccare. Il lato positivo è che tu non potrai mai rubare il ragazzo a me e io a te. Non è fantastico? Okay, hai una faccia alquanto spaventata perciò la smetto.» disse alzando le mani in segno di resa.
«Sí grazie. Comunque quanti viaggi ti sei fatto? Ti ho confessato che mi è piaciuto il bacio con lei ma non "lebicizzarmi"» dissi mimando le virgolette.
«Okay okay, dai, stavo scherzando tranquilla. Ma quei succhiotti chi te li ha fatti?» mi chiese con tono curioso.
«Tyler.» sussurrai sovrappensiero.
«Evans? Non me lo farei neanche se fosse l'ultimo uomo al mondo, ha più droga nel sangue di uno spacciatore.»
Dopo quello che mi aveva confessato capivo la sua situazione ma non era un buon modo in cui soffocare la sofferenza perciò mi ripromisi di parlargli.
«Beh ma anche tu fumi le canne e bevi.» dissi cercando di giustificarlo in qualche modo.
«È una cosa diversa Shey, fidati. Posso chiamarti Shey? Ovvio che posso.» si rispose da solo come se io non ci fossi.
«Okay, fai pure.»
Sentii rumore di passi lungo le scale e constatai che Ella avesse finito.
Entrò in stanza con una maglia molto lunga sportiva che le faceva da vestito accompagnata da un paio di Jordan.
Mi piaceva un sacco il suo stile e il suo modo di vestire.
Cercai di nascondere il fatto che la stavo fissando spudoratamente e distolsi lo sguardo.
«Io devo andare dai, mia madre sarà preoccupata.»
«Vuoi che ti accompagno?» mi chiese lei sorridendo.
Sembrava molto di buon umore.
«Okay.» acconsentii seguendola.
Entrò al posto del guidatore nella macchina di Jace.
«Allora hai fatto amicizia con Jace.» mi disse mentre guidava.
Non capivo se fosse una domanda o un'affermazione.
«Già, è un ragazzo simpatico.»
«Lo so, mi ha aiutato in molte situazioni difficili, se non fosse per lui chissà dove cazzo starei ora.» disse con un sorriso sincero ma malinconico.
«Posso chiederti una cosa?» la guardai speranzosa.
«Certo dimmi.» mi rispose fissandomi.
«Ti ricordi quando stavi parlando al telefono quel giorno davanti a scuola?»
Sembrò scossa da un tremito.
«Sí.» mi rispose vacua.
«Che lingua stavi parlando?» le chiedi curiosa.
Sembrò tirare un sospiro di sollevo e mi chiesi il perché.
«Parlavo svedese. È la mia lingua madre, sono nata a Stoccolma.»
«Ah, non so molto della Svezia, non ci sono mai stata.»
«Un giorno ti ci porto, è bellissima.» disse con quel suo velo di malinconia che ogni tanto le macchiava gli occhi e la voce.
Arrivammo davanti casa mia e feci per uscire, dopo averla salutata.
Prima che me ne andassi mi trattenne per il braccio.
Si avvicinò al mio orecchio soffiandomi un "ormai puoi chiamarmi El, te lo sei guadagnata."
Il mio corpo fu percorso da brividi, come una forte scarica elettrica.
Restai imbambolata per qualche secondo per poi sorriderle mentre mi lasciava un bacio leggero sullo zigomo.
Quando arrivai alla prorta di casa ormai sentivo le guance bollenti.

Wildfire (#Wattys2016)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora