XIII° A TEATRO - PARTE PRIMA

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Corsivo: punto di vista di Jareth (dialoghi  e riflessioni)

Grassetto: Sarah  (dialoghi)


Jareth raggiunse Sarah, arrivandogli alle spalle. Attraversò la parte terminale del corridoio dove si trovavano poco prima e la vide, immobile, ad osservare l'ambiente in cui era appena entrata. Girò più volte su sé stessa, totalmente rapita, incantata. L'affiancò e rise sommessamente, intenerito, dalla sua reazione: la meraviglia fanciullesca che governava nelle sue iridi era una luce difficile da ignorare. Un cardine solido, una colonna portante nello scheletro dell'architettura della sua personalità: sorprendersi, perfino da adulta, come i bambini che scoprono il mondo. Aveva già visto quel bagliore nei suoi occhi... E non fu particolarmente difficoltoso, per lui, rammentare quando: ogni cosa del suo Labirinto l'aveva affascinata e disorientata. Le creature che lo abitavano, i luoghi che lo definivano. "Questo è... Sembra un...?" Sarah non riusciva a concepire come fosse possibile. "Teatro, non ti inganni." la sua voce rimbombò tutt'attorno, nello spazio vuoto che occupavano. Il tutto gli risultò così evocativo: il palco vuoto, le tende di velluto rosso, il silenzio, il buio. Un'oscurità in cui versare sapientemente, mescolandole, emozioni, maschere, parole, intrighi ed indagini dello spirito. Un'oscurità che Sarah aveva scelto di riempire lune fa, fin da adolescente. Quello era il suo elemento. Il proscenio. "Una parte fondamentale della tua vita." soggiunse. Uno dei tratti principali del suo carattere, uno di quelli che l'aveva più conquistato e tormentato, il modo in cui Sarah dava importanza al mettere in scena ogni storia, al rendere reale ogni personaggio, fino a confonderlo con la persona che era stata, che era e che poteva essere. I racconti che l'avevano ispirata, cambiata, sostenuta, di cui sentiva la necessità di partecipare in prima persona. Per rendersi un po' immortale anche lei, per riappropriarsi della vita che ogni giorno le veniva strappata via, poco a poco. Per toccare con mano le fantasie che si scelgono di abbandonare, una volta cresciuti, prima o poi. Per credere, per nutrire la sua voglia di credere, sempre insaziabile. Iniziò a camminare verso delle poltroncine, desideroso di occuparle il più presto possibile. Non trattenne oltre una certa impazienza e curiosità. "Cosa fai?" gli chiese Sarah. Vista la sua titubanza, il Re di Goblin tornò indietro verso di lei. "Mi siedo. Penso che abbiano prenotato per noi l'intero teatro, quindi mi prendo la libertà di scegliere i migliori posti. Né troppo vicini, né troppo lontani dal palco, posizione abbastanza centrale e leggermente sopraelevata rispetto al punto focale massimo del riverbero del suono, senza trascurare un'ottima visibilità disponibile verso l'espressione degli attori e l'assemblaggio della scenografia. Non sui corridoi, la gente fa troppa confusione lì e dove le poltrone scricchiolano. Speriamo soltanto che qualcuno di troppo alto non ci segga davanti." ridacchiò. "A giudicare da questo tuo criterio, che ho fatto mio, direi... Laggiù." distese un braccio, indicando un punto preciso. "Come...?" lo stupore si fece spazio nel verde degli occhi di Sarah. Stava scuotendo la testa, da un lato all'altro. "Io so tutto di te, Sarah." affermò sicuro lui. Se vi era una certezza, era quella. Conosceva Sarah come un giardiniere conosce i suoi fiori: la nota caratteristica della fragranza, la morbidezza dei petali sotto il tocco, lo spessore dello stelo, la grandezza delle foglie, il terreno che abitano, il sole, la pioggia ed il vento che li sfiorano, le spine, i difetti, le esigenze, le cure necessarie ed il colore, tutto il colore che li compongono, che li rendono tali, che li rendono ciò che sono. Niente avrebbe potuto cambiare ciò. Nulla al mondo. Neanche la stessa mente di Sarah. Di cosa trasecolarsi, dunque? "Hai intenzione di seguirmi?" le suggerì gentilmente. "Sbrigati, sennò cominceremo a vedere la rappresentazione teatrale a metà!" concluse, dirigendosi nuovamente verso i posti che aveva scelto. Occupò una poltrona ed allungò una mano aperta, col palmo rivolto all'insù, per invitare Sarah a fare altrettanto. "Tu pensi che ci sarà veramente uno spettacolo?". "Non saprei, ma sono piuttosto convinto di questo. E sarà anche, secondo il mio non modestissimo parere, una sessione di teatro attivo*. Sai, noi siamo gli spettatori di tutto ciò che la tua mente sceglie di presentarci. La sto solo assecondando." asserì. Sarah, con un sospiro, si accomodò accanto a lui. La guardò, avvicinando di un poco il volto al suo viso, così silenziosamente da non farsi accorgere: nell'espressione del suo viso constatò... Ansia. Repressa elegantemente, in modo a dir poco stoico, come le aveva visto fare in passato, nelle tredici ore che le aveva sottoposto. Ma lì, incastrata nel grazioso profilo, era celata trepidazione, titubanza. Lesse nel suo sguardo un nuovo genere di timore. Sembrava che la Campionessa del Labirinto adesso avesse un nuovo nemico: sé stessa. E che ne fosse più spaventata di quanto terrore le aveva suscitato lui stesso, anni prima. La giovane donna, molto probabilmente sentendosi osservata, pensò il mago, si accorse di tutto, tuttavia non ritirò il suo sguardo da lui, anzi, lo fissò a sua volta nel suo, senza proferir alcuna parola. Il Signore del Labirinto avrebbe potuto restare in eterno così. D'altronde, era una sua abitudine da sempre osservarla costantemente, scrutarla nel profondo, trovare i segreti dei suoi sogni, delle sue paure, dei suoi dubbi, delle sue speranze. Delle sue frustrazioni. Come un sapiente scriba, reggendosi il capo con un pugno, inclinando leggermente da un lato la testa, annotò ogni pensiero, denudandolo, che intuì in lei, con fare accurato, nella propria mente, dopodiché spezzò il silenzio, una volta scelto cosa dirle: "Ho trovato in te una degna avversaria, tempo orsono. Farò in modo di esserlo altrettanto io per la tua vivace testolina.". "Oh, sarà meglio per te!" lo minacciò sorridente l'altra. Lo stregone fece una smorfia, divertito. "Andrà tutto bene, Sarah." tornò serio, di colpo. "Come fai a saperlo?" domandò lei cupa, lanciandogli un'occhiata sottecchi. "Non lo so infatti." sorrise in risposta, sereno. "Ma se credo e, bada, credo veramente che sia così... Influisco su tutto ciò che sta per accaderci.". Averla così vicina, seduta al suo fianco, lo confuse: immaginò due troni, l'uno gemello dell'altro, al centro di una corte. Al centro della sala grande del suo Castello. Ma l'occhio gli cadde sul medaglione al collo di Sarah: non c'era nessun Castello a Goblin, al di là del Labirinto, non più ormai. Non vi era nessun podio, nemmeno il suo. L'aveva spaccato lei. Gliel'aveva sottratto, forgiandone uno nuovo, esclusivamente proprio, con l'effige del suo nome, tra le rovine, sopra le macerie della città dei Goblins, per un puro capriccio razionale. Spodestato, volle, fortissimamente volle, indietro il suo regno, il suo popolo, i suoi sudditi, l'Underground, in definitiva. E doveva fare ciò che era necessario per riconquistarlo. Questo comportava distogliersi dai propri desideri irrealizzabili. Un' ombra rancorosa, piena di rabbia gli scese sul cuore: sì, era stata una degna avversaria per lui. Lo era tuttora. Un'altra volta ancora. Un'avversaria, ma mai una regina. Mai dalla stessa parte della scacchiera. Un tale peccato!


*sessione di teatro attivo: una rappresentazione che prevede il coinvolgimento del pubblico con improvvisazioni.

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