XXVIII° MEA CULPA - PARTE PRIMA

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Grassetto: punto di vista di Sarah (dialoghi e riflessioni)

Corsivo: Jareth (dialoghi)


Sarah, spalancando gli occhi improvvisamente, aspirò con la bocca tutta l'aria di cui sentiva la mancanza, come tornando dalla morte. Riempì il petto di ossigeno fino a sentirlo quasi squarciarsi. 

Tossendo,tornò a percepire lo spazio attorno a sé, dove si trovasse, seppur sembrasse una fotografia mossa e sfuocata: tutto il suo corpo schizzò in avanti, per tirarla su, le braccia e le gambe deboli pronte a rispondere di nuovo ai suoi comandi, il cuore sveglio ed allertato. 

E la mente vigile una catena ben ordinata di pensieri, di cui il primo e l'ultimo possedevano lo stesso nome: Jareth. Jareth l'aveva tirata fuori da... Cosa? Aveva detto di chiamarsi Oblio. 

Non ricordava molto di ciò che era accaduto, aveva sentito avvicinarsi la terra e l'impatto violento con essa quando era caduta svenuta ed infine... Una voce mostruosa a parlarle poi. 

E lei la ascoltava, le obbediva, come intrappolata sott'acqua: ogni suono sordo, lontano, ingigantito, ottundente, pulsante sopra la sua testa come una ferita aperta e le sue mani, i suoi piedi intorpiditi, a spazzare scomposti senza giungere ad una scappatoia, in un abisso freddo che sembrava dissolverla. 

E dopo... Uno spiraglio sulla luce in cui penetrare ed uscire. 

Successivamente, il suo risveglio era avvenuto velocemente: i suoi occhi non erano più stanchi. Non volevano riposare, dormire. Si erano mossi ed aperti, semplicemente. 

Perché? Perché l'aveva lasciata libera Oblio? Rammentò e comprese in brevi istanti: il ricordo del patto che gli aveva proposto le colpì la mente come tanti proiettili che la trafissero, l'uno dopo l'altro. 

Capì e,mentre ansimava scuotendo la testa da un lato ad un altro, agitò le dita convulsamente stringendo ciò che la sostenevano: la stoffa della camicia e la pelle del gilet attorno alle spalle del Re dei goblins. 

Incontrò i suoi occhi azzurri, increduli. Non li vide mai ingrandirsi, fino a quel punto, per lo stupore: i suoi occhi sempre sornioni, beffardi, maliziosi. Parvero voler dire:"Questo non sta succedendo. Non sta succedendo veramente.". 

Invece le sue labbra concitate, come a prendere atto dell'incredibile, si schiusero, ripetendole più volte: "Alzati, alzati", intanto che, prendendola per la vita, la sollevava. 

Ancora con le gambe inferme, si lasciò abbandonare nell'abbraccio di lui, appoggiando le mani aperte sulle sue spalle. Affondò il suo viso sul suo collo, tra i suoi capelli. 

La strinse come un disperato miscredente può fare inginocchiandosi a terra, cercando redenzione nel cielo che lo sovrasta: con disperata foga, durezza, bisogno. Ed, inseguito, allentò la presa dolcemente e la avvolse piano, come lo stesso miscredente può fare, una volta ottenuta la grazia, mentre la fede lo ha chiamato a sé attraverso il miracolo e l'ha abbracciato teneramente: grato, devoto,adorante. 

"Sono qui." lo rassicurò, ricambiando le sue tenerezze. 

Udite quelle sue parole, la allontanò, delicato, sciogliendo il nodo delle sue dita dalle sue spalle, spingendole indietro. 

Lo guardò, amaro, accennare un cupo sorriso rosa ad occhi chiusi, che si trasformò in un ghigno di dolore bianco, un lampo di denti stretti. 

Quell'espressione fu veleno per lei.

 Quell'espressione sul suo volto la morse: il cuore di Sarah, punto, iniziò ad incespicare, ruzzolando. 

Labyrinth Mind (in revisione COMPLETA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora