XXIV° CHI PARLA?

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Grassetto: punto di vista di Sarah (dialoghi e riflessioni)

Corsivo: Jareth (dialoghi)

Normale: Voce (dialoghi)

Sottolineato: parole della Daimon (ricordo, tratto dal capitolo II, "Impasse - parte prima")

Un respiro. Uno dopo l'altro ed uno dentro l'altro. Sarah respirò piano. Ed udì in ogni respiro, più che battere, sbattere il suo maldestro cuore un po' dappertutto; ogni passo che faceva, inciampava, ruzzolava. L'alzarsi del suo petto frenetico diminuì di velocità ed intensità. Si sentiva bruciare lentamente, per via dell'adrenalina ancora in circolo. Attese il momento in cui si estinguesse il fuoco della tensione nervosa accumulata. Invece crebbe e crebbe ancora al punto di agitarla tutta, quando le sue mani cominciarono a scuotere convulsamente la polvere ed il marciume maleodorante dai suoi vestiti. La sporcizia delle pillole non veniva via facilmente, anzi, più veniva scacciata, più si espandeva a macchia d'olio sulla maglia e sui pantaloni. "Sarah..." intervenne pacato Jareth, chiudendo nel pugno il fuoco blu, che si spense e dissolse. "No." scosse la testa in risposta lei, assorta. Chiuse gli occhi. E ne rivide altrettanti divorarla. Uguali ai suoi, ma neri come gli abissi. Che gridavano, piangevano, farneticavano. Si aprivano e la inghiottivano, masticandola. Continuò, imperterrita, con maggiore foga di prima, a strofinarsi gli indumenti, come a combattere nelle loro fauci, sebbene non fosse restato molto da pulire e spazzare via. Forse desiderava soltanto spazzare via anche sé stessa. "Sarah, no... Basta, fermati." le sussurrò. Il sovrano fermò le sue folli dita, stringendole forte tra le sue. "Sono io! Non lo capisci? Quei mostri che ci hanno assaliti sono io!" urlò con voce strozzata l'altra, un ago, un chiodo a trafiggerla, ad attraversarla al centro del petto, come una puntina arrugginita fissata su di un brutto pensiero malconcio, per quanto rimuginato. Il re cercò di abbracciarla e lei lo respinse. "Ma perché? Perché? Quando sono arrivata a tutto questo? E perché tu vuoi tentare di consolarmi? Dovresti solo provare disgusto per me, così come io ne provo per me stessa!" sbraitò, roca. Sentì la sua stessa pelle farsi ripugnante e troppo, troppo pesante. Si consumava contro ogni angolo, ogni cielo, ogni parola. Non la sopportava, la rinnegava. "Stai... Lontano... Non ti avvicinare!". Non le restava che questo: come un tornado affamato di distruzione, vorticare, scavando nelle membra della stanca terra, travolgendo tutto attorno a lei. Ed il Signore del Labirinto non l'assecondò affatto. Anzi, incosciente, si lanciò in quella tempesta senza remore. Sorrise in un modo tanto triste, come avrebbe fatto il sole tingendosi del rosso tramonto, salutando il mondo che si allontana, in una giornata morente arrivata alla sua fine. E così, prepotentemente, si ritrovò avvolta dalle sue braccia, nonostante le resistenze vane da parte sua. "Ti avevo detto di starmi alla larga." si rassegnò, allora, Sarah. "Ed io di non muoverti, prima che quei sembianti ci attaccassero. Noi, Sarah, non sappiamo accettare i suggerimenti che provengono dagli altri." disse lui. E lei seppe bene che era vero. Le piacque la maniera in cui disse "noi": come se nel tracciare con la voce la o tra la enne e la i modellasse un ampio cerchio, un anello concatenato alle altre lettere, uno spazio morbido che potesse contenere entrambi. "Gli immago che abbiamo appena lasciato sono le tue paure." illustrò. "Ed anche le lacrime e la rabbia che hai represso nei recessi della tua mente, accanto alle pillole, inghiottite controvoglia, in decomposizione. Perciò ci avrebbero uccisi, pur di essere ascoltati, pur di esprimersi: il loro era un violento grido di disperazione soffocato per... Anni. Interi, lunghissimi anni, a marcire, a ristagnare in una parte di te mai aperta... Ciò succede quando sei costretta ad essere forte senza mai concederti un momento di sfogo, di vacillamento.". Lo udì sospirare lieve. Aveva ragione. "Come potevi saperlo? Che ti avrei seguito nelle sabbie mobili, intendo." gli chiese improvvisamente. Sul volto dello stregone passò un'ombra migrante, come una nuvola grigia carica di pioggia che, spostando il suo enorme peso, si perde successivamente nell'orizzonte, posandosi chissà dove per piangere. "Non lo sapevo infatti." le rispose guardandola dritta negli occhi. "E' tutta una questione di salti nel vuoto, eh?" domandò nuovamente l'altra, annuendo fra sé. "Più di precipizi sui quali decidere di sporgersi con il rischio di cadere." precisò l'altro. Sarah rise debolmente. "Ti senti meglio?" s'assicurò il mago. "Io?" boccheggiò, sorpresa. Fece un respiro profondo. "E tu? Ti hanno attaccato, ferito...". Il fabbricante di sogni liquidò quell'osservazione con un gesto della mano sinistra. "Ho deciso alcune lune fa di permettere soltanto ad una persona di farmi del male.". Accennò, sommesso, con un rapido movimento di labbra, quella frase, talmente tanto silenzioso, quasi mimandola, più che pronunciandola, che Sarah credette di averla immaginata. Jareth la lasciò andare. "Vostra Altezza?" lo richiamò a sé lei. Quando si voltò, sul suo viso apparve la solita smorfia sorniona e beffarda. Che le rivolgesse i nominativi che era usanza associare ad un monarca, come "Vostra Maestà", con tanto reverenziale sarcasmo, lo faceva sorridere, evidentemente. "Sì, preziosa?" inarcò un sopracciglio, in attesa. Fece qualche passo verso di lui, tenendo lo sguardo basso. "Grazie. Per... Avermi difesa. E per avermi indicato l'uscita. Non oso immaginare cosa sarebbe stato di noi senza il tuo intervento... Cosa ne sarebbe stato... Di... Di me.". Sperò di aver disegnato con altrettanta delicatezza e maestria nel tono della voce la o tra la enne e la i. Eppure, fu certa del fatto che il suo "noi" suonasse molto più banale. Piatto. L'altro non le rispose. Così alzò la testa per assicurarsi che avesse sentito e guardare quale espressione poteva lanciarle, in risposta muta, con le iridi azzurre. Ma nei suoi occhi celesti non vide altro che una dolce amarezza. Una mielata malinconia, come le note di una melodia dimenticata nel tempo, il cui ricordo emozionale però non potrebbe che essere più vivo della vita stessa. Stese i palmi aperti verso di lei, allargando un poco le braccia accanto i fianchi, accogliente e chinò, spostando leggermente il mento, il capo, da un lato,  elegante, chiudendo gli occhi. Realizzò che aveva appena annuito con una lieve riverenza. Ne sorrise ed ammirata lo imitò, come a volersi inchinare anche lei per rendergli omaggio. Il vento si alzò e la riscosse. Seguire i sussurri del vento, essi l'avrebbero condotta alla prossima meta. Il sentiero si allargò dinanzi a loro, invitante. La strada era facile da seguire, seppur disseminata di pericoli di cui ignoravano l'esistenza, ne fu certa. Fissò Jareth e lo invitò a seguirla, sicura. Adesso Sarah non poteva trattenersi dall'osservarlo, confusa. Incedeva al suo fianco con grazia, straordinario anche in forma umana. Con la pelle d'avorio, l'aspetto carismatico ed etereo di chi esce soltanto dalle nebbie dei sogni ed alle nebbie dei sogni tornerà, perché proveniente da lì, la salvezza e, se possibile, contemporaneamente anche il pericolo. Nelle ultime ore l'aveva salvata sempre ed altrettante messa in pericolo nelle tredici della sfida del suo Labirinto per recuperare Toby. Si domandò quanto fosse sottile la linea che separa la salvezza dal pericolo e quanto potessero coincidere, se fosse avverabile, essere salvati dal pericolo della monotonia di una vita prestabilita. Ed ancora, essere in pericolo per una salvezza effimera, la riconquista delle false certezze. Se fosse reale e veritiero, in definitiva, salvarsi attraverso il pericolo ed essere in pericolo per essere stati salvati. Giunsero ad un prato immenso, una profumata e fresca distesa erbosa che circondava un lago le cui acque erano verdi, cristalline. Ogni più piccolo filo d'erba fremette al loro passaggio. Le parve come, scrutando tutt'attorno, di scorgere varie figure, facendosi sfuggire milioni di particolari di cui non comprendeva il significato. Sarah temette il peggio, aspettandosi chissà quale nuova insidia, nascosta nelle allegorie, ad ostacolarli. "Non hai nulla da temere, Sarah. Io non ti farò del male. Non te ne farei mai." una voce le arrivò da lontano. "Che posto è questo?" porre quesiti era fondamentale, quindi gli rivolse il primo. "Un'oasi. Un'oasi in cui sono approdati tutti i simboli della tua vita. Essi da sempre sono qui e non si sono mossi. Niente potrà spostarli. Io li custodisco come i più preziosi tesori. Tuttavia, abbandonati come sono a sé stessi, più dei relitti sono diventati.". "Vieni fuori, che io ti possa riconoscere." propose Sarah, investita da un senso di calma, senza logica spiegazione. "Perdonami. Sarebbe mia intenzione soddisfare ogni tua richiesta. Ma questo è il mio modo di comunicare. O meglio, quello che mi hai concesso.". "Concesso? La tua voce... E' senza corpo?" intuì. "Sì. Io sono una voce senza corpo. Mi hai sottratto la mia fisicità tempo addietro. Se avessi delle braccia, se tu me ne formassi delle nuove, potrei tornare ad agire, per tuo conto. Ma, da quando hai cominciato, anni fa, le sedute dalla Daimon, a poco a poco, le mani che giungevano a te... Venivano tagliate da me. Venivano rubate a me. La Daimon se n'è nutrita. E questo adesso sono: un suono. Un suono di coscienza. Un suono di coscienza che ti ricorda la giusta visione delle cose. L'unica cosa che puoi fare è ascoltarmi. Lo hai sempre fatto. Ed ultimamente, ancor di più, nella discesa alla ricerca della radice.". Il cuore di lei sussultò. Allora aveva fatto bene a mentire alla dottoressa, aveva fatto bene a nasconderle il medaglione! "Capisci qual è la sua posizione?" cercò di orientarsi Sarah, chiedendo a Jareth. Le rispose di sì, enigmatico e misterioso. Sentì che la curiosità non la trattenne oltre. "E come?" ne fu affascinata. "Ricorda che Jareth è un essere diverso." la voce sembrò farsi più familiare. "Ma... E' umano esattamente quanto me, adesso." commentò lei. "Non di nascita. La sua origine non potrebbe essere più differente della tua. Lui è abituato a dialogare con viventi che sfuggono alla tua comprensione... Labirinti, ad esempio, creature con vita propria che parlano, si esprimono costantemente in lingue, in modi che non conosci.". "Voce... Da dove provieni?" domandò, in preda alla trepidazione. "Seguimi, Sarah. Ma non farlo con le tue orecchie. Esse possono ingannarsi. Sono state già ingannate da parole all'apparenza amiche. L'ascolto che mi devi rivolgere è quello del cuore. Non hai bisogno di vedermi. Devi solo sentirmi. Sentirmi dentro di te. Puoi trovarmi.". "Tu..." cominciò. Iniziò a ricordare tutto.

Labyrinth Mind (in revisione COMPLETA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora