***Capitolo 46: Crepuscolo

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Eravamo seduti sul cofano della jeep e guardavamo il sole al tramonto infrangersi tra le spighe di grano, il prato di margherite, malva a e tarassaco sostituito da un mare dorato. L'orizzonte era sfumato da nuvole che simili a una massa grigia e ingarbugliata coprivano il sole infuocato, e a nord sfumavano e si snodavano in turbini via via più rosati che i raggi bordavano d'oro.

Niente era più uguale ma imprevedibile del subentrare della notte al giorno.

Accadeva tutto nello stesso identico modo, il sole scompariva dietro l'orizzonte con la stessa, perfetta, metodica regolarità, ma c'era ugualmente qualcosa di diverso; un bagliore, l'edificio delle nuvole, il dileguarsi delle nebbie all'orizzonte, i colori sporadici del cielo. Imprevedibile, il tramonto racchiudeva gli avvenimenti delle precedenti dodici ore, li portava via con sé nella sala dei ricordi e cedeva il passo alla notte.

Io ed Aron eravamo sospesi in quell'equilibrio, tra giorno e notte, e la nostra reciproca compagnia era tutto ciò che avevamo. E ci bastava.

"Ho un regalo per te", dissi dopo qualche minuto girandomi e recuperando la borsa alle mie spalle. La aprii e tirai fuori una busta di carta azzurra. "Lo so che avevi detto niente regali, ma è una cosa che volevo farti comunque". Prese la busta e la aprì esitante.
Osservò la copertina in morbida pelle marronedi quello che sembrava un diario. "We can be heroes, just for one day", lesse. "Ti piace David Bowie?".

Annui, sorpresa che avesse colto immediatamente la frase. Lo guardai passare piano il pollice lungo le lettere che avevo inciso sulla copertina.

"Sono sempre stata legata a questa canzone", mi sentii in dovere di aggiungere. "Sai, il poter essere eroi almeno per un giorno. È come mi sento a Roven's Street, o quando mi tuffo dalle scogliere, o quando faccio qualcosa di estremo. Eroe, per un giorno."

"Calza a pennello", mormorò passando il dito lungo la spina di pelle, come se volesse assaporarsi quei pochi istanti di suspense prima di aprirlo e scoprire cosa racchiudesse al suo interno.

"Sì..." Mi morsi il labbro inferiore. "Adesso però ha acquistato anche un altro significato per me."

"Quale?", domandò curioso girarandosi per guardarmi in volto.

Scossi la testa, arrossendo. "Ascolta il testo, forse lo capirai da solo. Ora però aprilo."

Aron passò un'ultima volta il pollice lungo la scritta, poi slegò il laccio e aprì il diario trovandosi sotto gli occhi una fotografia della stazione abbandonata ricoperta dai suoi dipinti. Veloce girò una pagina e un'altra ancora, prima di ritornare all'inizio.

"Un album fotografico?", domandò guardandomi con gli occhi che brillavano.

"Un album dei ricordi."

Dei nostri ricordi. Scegliere quali foto inserire era stato difficile, ne avevo talmente tante e così poco spazio.

"Ho inserito le foto che ho scattato quando eravamo insieme. Le fotografie sono l'unico modo che gli esseri umani hanno per bloccare un istante nel tempo per sempre, riguardarlo e vedere che è rimasto uguale anche se tutto il resto è cambiato. Ho pensato che potesse farti piacere avere un modo per conservare nel tempo questi ultimi mesi."

Mi sistemai meglio sul cofano e mi avvicinai per guardare insieme mentre sfogliava le pagine del diario.

La prima era una fotografia dei binari abbandonati dove tutto era iniziato più di cinque mesi prima. Via via che sfogliava le pagine, la nostra amicizia ci passava davanti come un film, spezzoni di giornate passate insieme, la mostra dei quadri, la battaglia di colori, la farfalla che si era posata sulla sua mano al parco, la libreria nascosta nella torre al centro del labirinto, Aron in treno al ritorno dalla vacanza.

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