***Capitolo 59: Onda

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"Hai tagliato i capelli."

Non pensavo di trovarlo ancora alla spiaggia dopo una settimana intera, ma quando mi decisi a scenderci, dopo la conversazione con Rose, il tronco bianco era vuoto ma prima che potessi andare in panico, lo vidi poco più distante, nel bagnasciuga che camminava talmente piano che sembrava ciondolare sul posto, un passo pigro in avanti e poi uno a destra, la sua ombra che tremolava altrettanto incerta sulla sabbia.

Era più uno stare fermo che un avanzare il suo, come se non volesse spingersi troppo in là, troppo lontano dal tronco dove non avrei più potuto vederlo.

Abbassai lo sguardo sui miei capelli e mi presi una ciocca tra le dita. "Sì, li ho tagliati. È stata una cosa impulsiva." Corrucciai le sopracciglia. "Poco dopo che..." Non finii la frase.

Aron annuì lo stesso e sviò lo sguardo sul mare prima di riportarlo sul mio viso. "Stai bene coi capelli corti."

Non volevamo farlo notare, o forse sì, ma ci stavamo osservando a vicenda per scovare tutte le piccole differenze e le cose che erano cambiate in quei tre mesi.
Aron era più magro forse, il naso spellato e una calma negli occhi che non aveva mai avuto prima e che lo rendeva allo stesso tempo un estraneo e più se stesso.

"Sono contenta che tu non abbia preso nessuna decisione drastica come la mia", scherzai per cercare di sciogliere la tensione. "Mi sarebbero mancati i tuoi capelli se ti fossi rasato." Mi morsi il labbro e sviai lo sguardo, improvvisamente in imbarazzo, consapevole in ritardo delle parole che mi erano appena scappate.

"Ho fatto anche io un gesto impulsivo, in realtà", disse, ricatturando la mia attenzione e i miei occhi. "Un altro tatuaggio."

Passai lo sguardo sul suo corpo come se potessi scorgere l'inchiostro sotto il cappotto pesante. "Sì?" Sperai che non si notasse troppo l'avidità nella mia voce.

Con l'indice disegnò nell'aria qualcosa, simile a una piccola virgola. "Il profilo di un'onda."

Cercai con gli occhi di indovinare in quale parte di pelle avesse potuto appiccicarsi un pezzo di mare, ma tutto quello che vedevo era il marrone scuro del cappotto e dentro la testa ricordi di un corpo che non ero mai riuscita a dimenticare e tutto quello che guadagnai fu un fiotto di caldo sulle guance nel freddo pungente dell'aria.

"Perché un'onda?"

"Per qualcosa che mi ha detto un pescatore."

"Qui?"

Scosse la testa. "No, lontano da qui. Ho lasciato il Paese quando me ne sono andato, ho preso l'aereo. Sono stato in un villaggio di pescatori, su a nord." Esitò. "Perché questo sguardo sorpreso?"

Scossi la testa. "Niente, è solo che...ho frequentato spesso il bar dei pescatori in questi mesi. Quello alla fine della spiaggia, con la terrazza." Giocherellai con le frange della sciarpa. "Significa che siamo stati entrambi a contatto con dei pescatori, in un modo o nell'altro. Bizzarro, non trovi?"

Notai la stessa mia sorpresa nei suoi occhi, qualcosa di simile alla meraviglia e al dubbio, come se anche lui si stesse chiedendo quanto fosse sciocco da parte nostra pensare al destino e non ad una mera coincidenza da quattro soldi.

"Cosa ti ha detto questo pescatore?", ripresi.

"Jimmy. Si chiama Jimmy." Aveva uno sguardo nostalgico negli occhi ora, un po' scontento. Pensai che dovessero essere diventati amici, Aron e quel pescatore Jimmy. Forse era triste di non poterlo vedere più. "Stavamo alla spiaggia dopo che lo avevo aiutato con la barca come ogni mattina. Stavamo riposando e ci siamo persi a guardare uno dei bambini giocare sul bagnasciuga. Stava cercando di saltare le onde. Ogni volta sembrava lì lì per farcela, ma all'ultimo secondo, quando arrivava l'onda, si spaventata e scappava indietro senza saltarla. Finché non si è arrabbiato, ha pestato i piedi per terra con questo broncio in faccia." Rise piano. "E quando finalmente è arrivata l'onda successiva l'ha saltata." Sorrisi anche io quando sorrise e forse i nostri sorrisi erano più fragili e incrinati di quanto non volessi, ma andava bene così perchè erano i primi che ci scambiavamo dopo mesi. "E Jimmy si è girato verso di me e mi ha detto: 'Aron, hai visto? Dai bambini si impara sempre. Devi fare come lui, Aron. Alla prossima onda non tirarti indietro, sii coraggioso.'" Si passò la mano sul fianco e mi chiesi se non fosse impressa proprio lì quell'onda. "Me l'ha fatto lui il tatuaggio, quello stesso pomeriggio, con l'ago. E subito dopo ho prenotato l'aereo e sono tornato. Erano settimane che volevo tornare, ma nonostante tutto quello che ti ho detto, in realtà avevo comunque paura delle vostre reazioni, come quel bambino che voleva tanto saltare l'onda  e si sentiva pronto per farlo, ma gli mancava il coraggio. Così ho deciso di fare come lui, come ha detto Jimmy: ho tirato fuori un'ultima goccia di coraggio e ho saltato l'onda e sono tornato a casa."

Più guardavo il mare che avevamo ora davanti agli occhi, più mi sembrava blu, meno bianco e ferroso, come se col suo racconto avesse riacquistato un po' di colore, e quasi mi sembrava di vedere un bambino correre nel bagnasciuga a caccia di onde.

"Non l'ho detto prima, ma...", dissi dopo qualche minuto di silenzio. "Sono contenta che tu stia bene, Aron."

Anche se la sera in cui ero tornata ero scappata via dal Circolo e via da lui, il macigno della preoccupazione si era sollevato non appena lo avevo rivisto, non appena mi ero accorta che stava bene. Perché in quei tre mesi, nonostante tutto il dolore e la rabbia e la confusione, c'era stata anche la costante paura che si fosse causato del male o che gli fosse capitato qualcosa di brutto.

Ed ora avevo di fronte una versione invernale di Aron, coperto con un cappotto marrone e una sciarpa di lana verde scuro quando ero invece abituata a pelle scoperta abbronzata e guance rosse per il sole e non per il freddo, quando ero abituata a domande mai risposte, a mezze verità e occhi tanto belli quanto sempre malinconici e chiusi.

Erano sempre verdi i suoi occhi adesso, sempre impossibilmente profondi e capaci leggerti l'anima, sempre la sua cosa più bella, ma ora erano anche aperti, attivamente vulnerabili e calmi, sinceri, non si nascondevano e sembravano quasi implorare di essere letti e capiti, e guardati come mai prima.

Qualcosa in tutto quello li rendeva ancora più devastanti. Ancora più belli. Rendeva ancora più semplice caderne preda e pin adorazione. Adesso però la caduta sembrava molto più dolce, niente angoli duri su cui farsi male, e dovevo frenarmi con le unghie e i denti per non cadervici dentro troppo in fretta.

"È per questo che ti sono venuti i calli alle mani?, chiesi. "Perché tiravi le cime della barca?" Si guardò accigliato i palmi, come fosse sorpreso che lo avessi notato. "E hai il naso spellato. Troppo tempo al sole e al freddo?"

Chiuse i palmi a pugno e sorrise. "Sì. È più faticoso di quanto pensassi ormeggiare una barca."

Improvvisamente non desiderai altro che poterlo vedere sopra quella barca, vederlo maneggiare le funi e girare il timone,  lanciare le reti per i pesci o qualunque altra cosa avesse fatto insieme a quei pescatori. Desiderai prendergli le mani e osservare da vicino i calli che tre mesi di lavoro avevano causato, sentire quanto diverso fosse il tocco di quei palmi sul mio corpo, se fosse diventato ancora più forte o più cauto.

"Ho parlato di te a Jimmy."

Il tramonto era arancione chiaro e bianco freddo e le sue parole si condensavano nell'aria ghiacciata, riscaldandomi lo stomaco.

"E che gli hai detto?"

"Tutto."

Tirò su col naso e scalciò una conchiglia con la punta della scarpa.

"Gli ho detto che ti sarebbe piaciuto il mare lì."

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