Il treno scorreva veloce.
Campi gialli e verdi si alternavano fuori dal finestrino mentre attraversavamo la campagna.
I bagagli erano sotto e sopra i sedili, la radura ormai lontana. Soltanto Michael, Garrett e Daniel ci erano rimasti, ancora per un ultimo giorno prima di riprendere il loro viaggio verso chissà dove. Michael mi aveva lasciato il numero di telefono prima di salutarmi, con la promessa che ci saremmo scambiati delle foto se mai fossimo finiti in bei posti durante i nostri futuri viaggi.
Avevo la macchinetta in mano. Volevo rivedere le fotografie che avevo scattato in quei giorni, ma lo sguardo continuava a cadermi su Aron, seduto nel sedile di fronte al mio. Aveva le gambe allungate, le caviglie toccavano le mie. Nello schermo c'era una sua fotografia mentre sorrideva al confine della radura.
Era così diverso dal ragazzo ora seduto davanti a me.
Non stava sorridendo quello, era di nuovo malinconico, di nuovo sporco di quel blu che lo aveva macchiato quel giorno mentre disegnava davanti alla tenda e quella mattina quando si era svegliato per guardare l'alba da solo.
Sembrava triste. Se una persona estranea lo avesse visto in quel momento avrebbe sicuramente pensato che fosse triste. E se quella persona si fosse voltata verso di me e mi avesse chiesto il perché, gli avrei detto che era vero, che a volte era un po' triste, un po' malinconico, ma che doveva vederlo quando sorrideva, quanto bene gli stava addosso la felicità.
Era un po' come la marea che prima si alzava e poi si abbassava. A volte era così intenso che sembrava travolgermi con le sue onde e il momento successivo si ritirava in quella sua malinconia misteriosa.
Adesso che conoscevo la sua storia potevo immaginare da cosa fosse dovuta, ma mi chiedevo se stesse davvero pensando al passato ora, se invece non fosse qualcosa del presente che lo rendeva così.
Schiacciai il pulsante e passai distratta alla foto successiva. Erano gli occhi di Michael, un'iride marrone e l'altra marrone macchiata d'azzurro. Alle sue spalle a sinistra c'era la scogliera scura, a destrs il mare blu. Mi ricordavo di averlo posizionato così perché lo sfondo era un parallelo dei suoi occhi.
"Cosa guardi?" La voce di Aron mi colse di sorpresa. Era da un'ora ormai che non parlava. "Hai un'espressione strana."
Abbassai gli occhi sullo schermo ed esitai un momento prima di rispondere, indecisa se passare alla foto successiva e mostrargli quella invece. Avevo un'espressione strana? Non sapevo che espressione avessi, ma di sicuro non era legata alla foto che stavo guardando. Non era quello il ragazzo che occupava i miei pensieri.
Girai la macchinetta e gliela mostrai lo stesso e a quel punto fu lui a fare un'espressione strana, come se allo stesso tempo avesse assaggiato qualcosa di aspro, visto la scena più triste del film più triste al mondo e ascoltato la barzelletta più divertente di tutta la sua vita.
Per un po' non parlò. Fissò lo schermo e basta, poi piegò le labbra in un mezzo sorriso. "Vorrei tanto chiederti di cancellarla."
D'istinto gli presi la macchinetta dalle mani. Non provavo nulla per Michael ma non volevo che mi cancellasse la foto. Era un ricordo, come gli altri, e non volevo che venisse cancellato.
Vidi un lampo attraversargli gli occhi, come se qualcuno lo avesse colpito in faccia, e sorrise di nuovo. "Ma non te lo chiedo. So che fotografi per avere ricordi." Quando rimasi in silenzio, Aron continuò. "Ci sono anche io in quelle foto, no?" Annuii e lui annuì a sua volta. "Fai bene. A fotografare quello che vuoi ricordare."
Sentii il cuore mancare un battito. C'era qualcosa nel modo in cui lo aveva detto che mi stonava, così, anche se avevo paura a conoscere la risposta, chiesi lo stesso: "Perché?"
"Perché un giorno rimarrano solo i ricordi", rispose. "È bello avere qualcosa da riguardare. Forse."
Volevo dirgli di no. Dirgli che non era vero, che un giorno non sarebbero rimasti soli i ricordi. Se ne costruivano sempre di nuovi, nuovi ricordi, ogni giorno, ogni mese, ogni anno. Non rimanevano solo i ricordi passati. C'erano quelli futuri.
Non lo dissi. Avevo un nodo alla gola e il gelo nello stomaco. Non dissi niente di niente.
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Ricordati quando
Roman d'amourDal capitolo 1: C'era un motivo ben preciso per cui mi tuffavo da una scogliera alta venti metri. Era l'unico modo che mi era rimasto per sentirmi viva. Quello, ed ogni altra cosa pericolosa o rischiosa. Volevo sentire il cuore battere all'impazzat...