Non passarono troppi giorni prima che mi ritrovassi di nuovo davanti alla sua porta.
Il numero 13 dorato sembrava giudicarmi mentre se ne stava lì, fermo a osservarmi mentre cercavo di calmare i nervi. Aron mi aveva detto di entrare, che la porta era già aperta, così lanciai un'ultima occhiata storta al numero 13 prima di abbassare la maniglia.
Ad accogliermi trovai i soliti quadri, ma di Aron non c'era traccia. Chiusi la porta alle mie spalle e mi diressi verso l'unico rumore che sentivo nell'appartamento altrimenti silenzioso: dei tonfi sordi, cadenzati, che sembravano provenire dell'unica stanza in cui ancora non ero entrata.
Un'ora prima avevo ricevuto una chiamata da parte di Aron. "Ho finito le mie ricerche. Mi raggiungi da me? Mettiti dei vestiti comodi." Aveva riagganciato appena avevo cominciato a fare domande perciò ora mi ritrovavo lì, a casa sua, vestita con dei leggins e una maglietta, a fissare con esitazione la porta in fondo al corridoio senza sapere cosa aspettarmi. Lasciai la borsa su uno degli sgabelli e mi avvicinai cautamente alla stanza.
Quello che vidi quando mi affacciai mi fece bloccare all'entrata, mentre gli occhi scivolarono immediatamente sui pantaloncini che Aron stava indossando, sui muscoli scoperti delle cosce che flettevano con ogni movimento.
Un colpo. Un altro. Un altro ancora.
Se l'Aron di ogni giorno era già attraente, l'Aron che faceva boxe, vestito da palestra, coi capelli spettinati in una mezza cipolla, la faccia sudata e i muscoli tesi per lo sforzo, era letale e con ogni colpo che sferrava sul sacco, il mio corpo sembrava ricordare inconsciamente come pochi giorni prima mi avesse toccata, in modo totalmente differente, ma con la stessa cruda, spietata intensità dietro ogni tocco.
"Hai intenzione di stare là a fissarmi o vuoi entrare e salutare?"
Si fermò, il respiro pesante, una mano sul sacco per evitare che dondolasse, l'altra stretta sull'asciugamano attorno al collo. Non mi sfuggì il piccolo sorriso che gli spuntò all'angolo della bocca.
"Ciao", dissi entrando e ricambiando il sorriso.
Spostai finalmente l'attenzione da lui per guardarmi intorno. La stanza non era grande, tre pareti erano spoglie, nella quarta c'era uno specchio che occupava l'intero muro. Davanti a quello una panca, un bilanciere, dei pesi allineati con ordine. Dall'altro lato, quello dove si trovava lui, c'erano dei tappeti, una seconda panca, il sacco da boxe che penzolava dal suo supporto.
"Non mi hai mai detto di avere una palestra in casa", dissi avvicinandomi.
"Era una seconda camera inizialmente, una stanza per gli ospiti. Ma non avendo mai ospiti..." Mi lanciò un'occhiata e trattenne un sorriso per l'ironia della frase visto la nostra situazione attuale. "Ho deciso di sfruttarla meglio. Non mi piace andare nelle palestre pubbliche e così non pago l'abbonamento."
"Quindi mi hai detto di mettermi dei vestiti comodi perché vuoi fare palestra...insieme?"
Annuì. "Ho letto degli articoli su come superare la dipendenza da adrenalina-"
"Aspetta, aspetta", lo interruppi. "Dipendenza? Non ti sembra esagerato?"
"Vuoi davvedo dire a me tra tutte le persone cosa o cosa non sia dipendenza? E anche se la tua non è propriamente dipendenza ti porta comunque a un malessere psicologico e a fare scelte pericolose." Chiusi la bocca e lui continuò come se nulla fosse. "Come stavo dicendo, ho letto un articolo, dopo te lo mando, così te lo leggi da sola. Dicevano che una delle cose che può aiutare è l'esercizio fisico."
"Cammino spesso."
"Parlavano più di attività fisica come palestra, sollevamento pesi, qualcosa che costringa i tuoi muscoli a lavorare e consumare tutta l'energia in eccesso che hai."
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Ricordati quando
RomansaDal capitolo 1: C'era un motivo ben preciso per cui mi tuffavo da una scogliera alta venti metri. Era l'unico modo che mi era rimasto per sentirmi viva. Quello, ed ogni altra cosa pericolosa o rischiosa. Volevo sentire il cuore battere all'impazzat...