***Epilogo

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Quando incontravi una persona per la prima volta, non sapevi cosa sarebbe diventata per te in futuro. La salutavi, le stringevi la mano e ti presentavi. Non sapevi l'impatto che avrebbe avuto nella tua vita, non sapevi se quella sarebbe stata l'ultima volta che l'avresti vista o se invece sarebbe diventata una parte essenziale delle tue giornate.

Pensavo a quello mentre spostavo lo sguardo dai miei amici al panorama di fronte a noi.

L'estate era arrivata ancora una volta e gli ultimi raggi del sole bruciavano la nostra pelle mentre eravamo fermi, ai limiti della città fantasma, incapaci di oltrepassare i nastri.
Non c'era più il solito silenzio quasi spettrale che da nove anni regnava in quella zona della città.

Adesso voci di uomini che urlavano ordini rimbalzavano tra le pareti grigie degli edifici diroccati, scarpe straniere sollevavano la polvere di quelle strade ora violate, colpi sordi buttavano giù le pareti che ci avevano fatto da casa negli ultimi anni.

La città intera era in festa per i finanziamenti che erano arrivati e per i lavori che finalmente erano iniziati.

Solamente nove ragazzi erano incapaci di unirsi ai festeggiamenti. Guardavano quello che consideravano il loro regno, il loro rifugio segreto, venir sbrandellato, e qualcosa nei loro cuori si stava rompendo insieme alle pietre.

Quei nove ragazzi eravamo noi.

Strinsi forte la borsa con dentro tutte le mie fotografie, quasi temendo che potessero strapparmi via dalle mani anche quella. Tastai il tessuto sotto i polpastrelli e mi assicurai di sentire i cartoncini al di sotto.

La notte scorsa ero andata alla mansarda a staccare le fotografie dalle pareti e avevo dato il mio silenzioso addio alla città fantasma, ciò che aveva fatto da sfondo alla mia adolescenza. Con le fotografie sparse sul pavimento e lo sguardo perso nel vuoto, avevo avuto l'amara sensazione di star dicendo inesorabilmente e involontariamente addio anche ad una parte importante di me stessa.

Distolsi lo sguardo dai volti accaldati dei muratori e lo portai sui miei amici. C'erano tutti. Aron, Ethan, Rose, Caleb, Simon, Alissa, Jeremy e Brandon.

Potevamo far finta di nulla, potevamo sollevare gli angoli delle labbra e fingere un sorriso rassicurante, ma sapevamo tutti che da adesso in poi le cose sarebbero cambiate.

Eppure non importava se quella parte di città sarebbe stata rasa al suolo entro pochi giorni, non importava se nel giro di qualche anno scintillanti, nuovi negozi sarebbero sorti dalle sue ceneri, perché i ricordi sarebbero comunque rimasti.

Dentro di noi.

Il tempo trascinava tutto con sé nella sua inesorabile corsa, portava via voci, sguardi, persone, luoghi, ma mai i ricordi.

Quelli si intrecciavano assieme ai nostri capelli, scorrevano insieme al sangue nelle nostre vene, si nascondevano dietro le iridi dei nostri occhi e creavano i nostri sguardi, restavano impressi come tracce di DNA nella pelle, vibravano insieme alle corde vocali quando formulavamo racconti e rispuntavano nei nostri sogni.

Un tocco sulla spalla mi riscosse dai miei pensieri. Alzai lo sguardo e incontrai due occhi verdi.

"Come farai adesso?", chiesi indicando la mia borsa. "Io ce le ho tutte qui le mie fotografie, ma tu non puoi staccare le pareti della stazione e portarti a casa i tuoi dipinti."

"Li hai fotografati", rispose Aron. "Resteranno nelle tue fotografie."

"Ma i binari abbandonati erano il nostro posto", dissi affranta. "È dove tutto è iniziato, dove ci siamo conosciuti, dove mi hai detto che mi amavi per la prima volta-"

"Jane. Guardami negli occhi e ascoltami bene", mi interruppe facendomi voltare nella sua direzione. La sua mano si chiuse sul mio avambraccio, scese giù, premette il ciottolo verde contro l'interno del mio polso e poi mi accarezzò piano. "Non importa. Siamo esseri umani e gli esseri umani sono deboli e si legano troppo facilmente alle cose, ai luoghi, alle persone. Bisogna imparare a lasciare andare. Non sempre lasciare andare è una cosa negativa. Pensa a noi, pensa a me. Me ne sono andato e ci ha salvati. Bisogna accettare che non tutto è fatto per restare per sempre, a volte le cose ritornano da noi, a volte no, a volte tornano sotto un'altra forma."

Fece scorrere le nocche sul mio zigomo accaldato dal sole, sulla guancia, sul collo.

"Tu ricordati quando ci siamo conosciuti ai binari, ricordati quando ti ho detto che non dovevi più metterci piede, ricordati quando eravamo coperti di colori, ricordati quando ho pianto seduto sulla panchina, ricordati quando ti ho baciata, ricordati quando ti ho detto per la prima volta che ti amavo. Ricordalo e non dimenticarlo mai. Non importa se la stazione non esisterà più, noi siamo ancora qui ed esistiamo." I suoi polpastrelli premettero sul mio collo avvicinandomi a lui finché le nostre labbra non si incontrarono in un bacio. "Io sono ancora qui. Io ti bacerò ancora, e ancora, e ancora. Concentrati sul presente. Non guardare le macerie adesso. Guarda in alto, guarda le stelle. Guarda me."

Quando incontravi una persona per la prima volta non sapevi i ricordi che avresti collezionato con lei, non sapevi quanto ti avrebbe potuto cambiare, te stesso e la tua visione del mondo.

Fino a quel giorno avevo incontrato tante persone diverse ed altrettante ne avrei incontrate in futuro, e adesso più che mai sapevo che non dovevo lasciarmene scappare nemmeno una. Dovevo perdermi nelle loro essenze, ringraziarle per quello che mi avrebbero dato. Esplorarle. Esplorare il mondo e me stessa con loro. Vivere e viverle.

Non tutte le cose erano fatte per restare, era vero. Non tutte le cose erano fatte per diventare qualcosa di bello e duraturo, e lo stesso valeva per le persone.

Feci scorrere lo sguardo lentamente sui miei amici e infine mi bloccai su Aron.

La polvere grigia si alzava in modo quasi surreale dalle pareti crollate e il verde dei suoi occhi brillava nonostante il calare della sera. Non sapevo per quanto tempo io ed Aron saremmo rimasti l'uno nella vita dell'altra, ma per sempre mi sembrava un bel modo per iniziare.

Guardai i suoi occhi e guardai le stelle che cominciavano a far capolino nel cielo. Guardai ancora una volta i miei amici, guardai le macerie, guardai la polvere, guardai Aron e infine alzai gli occhi al cielo. E mi sentii viva. Sentii quelle piccole, scalpitanti luci che risplendevano nel cielo bruciarmi nel sangue e pensai fosse amore. Il mio cuore batteva piano. Mi concentrai sul calore della mano di Aron nella mia. Bruciava. Pensai fossero le stelle, pensai fosse amore.

Fine.

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