***Capitolo 49: Pausa

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I periodi migliori per potare le siepi, secondo il blog di giardinaggio che mio padre saltuariamente consultava, erano la primavera e l'autunno, a inizio marzo e poi nel mese di ottobre, prima dell'arrivo del grande freddo.

Non eravamo ancora ad ottobre, ma mio padre non si sarebbe mai fatto mancare l'occasione di scaricare il compito di potarle su qualcun altro, soprattutto se quella persona era particolarmente entusiasta a riguardo.

Non ero del tutto sicura di come Micheal fosse riuscito a convincere i miei a farsi ospitare per due notti. Aveva distorto la realtà dei fatti in una versione più accettabile perché presentarsi come un vagabondo la cui unica alternativa era dormire sotto i ponti non sembrava la cosa migliore da fare.

La sua proposta di aiutare col guardinaggio e i suoi occhi avevano avuto un ruolo importante ("Mamma, che stai facendo? Allontananti dalla sua faccia!" "Ma ha un occhio marrone e uno azzurro! "Sì, me ne ero accorta, mamma, grazie, ora allontanati magari, per favore?").

Mio padre lo aveva fin da subito messo all'opera. Potare le siepi, sistemare le aiuole, rinvasare i fiori secchi della veranda, tagliare l'erba nonostante fosse già bassa. Era dell'idea che più tempo passavamo in giardino meglio era, come se, se fossimo rimasti per più di dieci minuti dentro le mura di casa quando loro erano al lavoro, ci saremmo saltati addosso. Gli avevo assicurato che non c'era neanche la remota possibilità che succeddesse, ma mio padre aveva solo scosso la testa.

"Il ragazzo è felice di aiutare, quindi lascia che faccia. Guardalo." Aveva indicato vagamente con la mano verso la finestra che dava sul giardino, da dove si vedeva Micheal cantare mentre potava la siepe con la cesoia, una delle cuffiette che gli aveva prestato infilata in un orecchio mentre approfittava, a detta sua, del wifi gratis. "Non ho mai visto una persona più contenta di tagliare siepi. Lascialo fare."

Non avevo insistito oltre. Francamente non ne avevo nemmeno le forze.

Il primo pomeriggio era passato così, Micheal indaffarato col giardino ed io seduta sulla panchina della veranda, il mio libro aperto sulle ginocchia, fermo sempre sulla stessa pagina perché la storia era bella ma non una distrazione sufficiente per i miei pensieri. Una distrazione più efficace era Micheal, con i suoi racconti e il suo - ne ero consapevole - deliberato menefreghismo nei confronti del mio malcontento. Se mi vedeva triste, o silenziosa, o ferma a fissare il vuoto, se si accorgeva che a volte i miei occhi diventavano lucidi, non faceva domande.

Finchè non le fece.

"E se scopri che è una truffa?", chiesi. "Il lavoro che ti ha offerto questo Jack. Cosa fai?"

"Vado a vivere da Daniel o Garrett finchè non trovo un altro lavoro." Sorrise. "Possiamo aver discusso, ma siamo migliori amici, se chiedo non mi dicono di no. A differenza dei miei genitori."

Annuii e piegai distrattamente l'angolo della pagina. Per un po' si sentì solo lo zap-zap della cesoia, forte nella quiete del giardino. Il silenzio durò poco meno di un minuto.

"So che non sono affati miei...", cominciò. "Ma non riesco più a far finta di nulla." Tranciò un ultimo ramo e poi abbassò la cesoia, voltandosi a guardarmi direttamente. "Vuoi parlare di qualunque sia la cosa che ti sta tormentando?"

E lo ero. Tormentata. Immensamente. E cercare di nasconderlo agli occhi di Micheal mi avrebbe costato più energie di quelle che avevo e già ne stavo usando troppe per non scoppiare a piangere dal nulla e per trattenermi dall'alzarmi e fiondarmi a casa di Aron.

Quello che mi fermava dal farlo erano le parole scritte nel suo ultimo messaggio. Non avevo resistito, troppo tormentata dall'ultima immagine che avevo del suo viso ai binari, e gli avevo chiesto se potevamo vederci quella sera stessa o il giorno dopo. Mi aveva risposto di no, che finchè avevo la responsabilità di Micheal dovevo tenergli compagnia e noi ci saremmo sentiti quando Micheal se ne sarebbe andato.

Ricordati quandoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora