E così feci. Alle undici, da brava figlia, diedi la buonanotte ai miei genitori e a mezzanotte mi arrampicai giù per l'albero di mele, attraversai il giardino e raggiunsi la strada, come una cenerentola distorta, che usciva invece di rientrare quando la lancetta dell'orologio raggiungeva le dodici.
Nel parcheggio alla fine della via la jeep non fu difficile da notare; era l'unica auto con le luci interne accese. Appena misi la cintura, Aron uscì dal parcheggio.
Lo guardai mettere la freccia, fermarsi allo stop e svoltare a sinistra e mi chiesi come quello stesso ragazzo potesse fra poco partecipare ad una corsa clandestina.
"Con che macchina corri?", chiesi. "Non mi intendo di corse, ma non penso che la jeep..."
Scosse la testa. "Avevo una macchina mia un tempo quando gareggiavo regolarmente."
"E adesso dov'è?"
"L'ho venduta. Stasera uso quella del mio migliore amico."
Sollevai le sopracciglia, sorpresa. "Si fida così tanto? Non ha paura che tu gliela possa rovinare?"
"Nah, so il fatto mio." Picchiettò sul volante col pollice e poi mi lanciò un'occhiata. "E quante volte devo dirti che stasera non c'è nessun rischio di rovinare qualcosa? Si corre pulito."
Riportai lo sguardo sulla strada e incrociai le braccia. "Spero che questa non sia la corsa di prova", scherzai riferendomi al modo in cui stava guidando adesso. "Mi aspetto di meglio." Mi morsi il labbro per nascondere un sorriso. Era divertente prendermi gioco di lui, a volte non potevo evitarlo, e quando lo vidi serrare la mano sul volante mi scappò una risata e lui scosse la testa.
"Quella bocca", mormorò. "Ti porterà guai prima o poi."
Scoprii che il Circolo dove si svolgevano le gare clandestine era una zona industriale dimessa nella periferia di una città poco distante, sulla costa.
Aron parcheggiò in un piazzale semivuoto fuori dal Circolo sostenendo che nel parcheggio principale c'era troppa gente ubriaca o fatta di chi sa cosa e non si fidava a lasciare la jeep lì.
Una volta arrivati mi guardai intorno.
C'era una confusione incredibile, grandi gruppi di persone ovunque, urla, risate, rombi delle auto concorrenti, adrenalina, alcool, droga. Sembrava il ritrovo di ogni cosa illegale che esistesse al mondo. Sapevo che razionalmente aver accettato l'invito di Aron non era stata una scelta saggia, ma il mostriciattolo che viveva dentro di me drogato di adrenalina ero tutto tranne che razionale.
Ci inoltrammo in mezzo alla folla. La gente lì era davvero strana. Non avevo mai visto così tanti tatuaggi tutti insieme in tutta la mia vita. Molte ragazze erano più nude che vestite. Coppie si baciavano contro le macchine, contro i muri, in mezzo alla strada. Bottiglie di alcool giravano di mano in mano; vidi un ragazzo farsi una striscia di coca sul cofano di una macchina. Erano tutti euforici, chiacchieravano, fumavano, i soldi giravano, le urla e la musica sparate a mille riempivano l'aria.
E quella gente conosceva Aron.
In molti chiamavano il suo nome quando lo notavano, e lui rispondeva con un cenno del capo, un raro sorriso ogni tanto.
"Come mai ti conoscono tutti?", chiesi.
Non negò e non confermò, disse solo, "Non mi vedevano al Circolo da tanto, tutto qui."
Quello fu la conferma di come ci fosse ancora così tanto che non conoscevo di lui. Vederlo lì, a suo agio in un ambiente così profondamente diverso dai binari, mi fece capire che la sua persona, e ciò che ancora nascondeva, era più complessa di quello che immaginavo.
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Ricordati quando
RomansaDal capitolo 1: C'era un motivo ben preciso per cui mi tuffavo da una scogliera alta venti metri. Era l'unico modo che mi era rimasto per sentirmi viva. Quello, ed ogni altra cosa pericolosa o rischiosa. Volevo sentire il cuore battere all'impazzat...