Giungemmo alla nostra radura quando il sole doveva ancora cominciare a tramontare.
Decisi di scendere al mare mentre gli altri preparavano la cena. Avevo bisogno di stare sola perché adesso che non avevo più distrazioni, tutto ciò a cui riuscivo a pensare era quello che sarebbe successo se solo non ci avessero interrotti.
Abbassai lo sguardo sulla maglietta e i pantaloncini che indossavo. Quando i ricordi di quello che era successo poche ore prima mi colpirono di nuovo al centro dello stomaco, decisi che non aveva importanza anche se non avevo il costume. I vestiti si sarebbero asciugati. Quello di cui avevo bisogno adesso era andare sotto acqua e lasciare al gelo il compito di eliminarmi tutti i pensieri.
Così tolsi le ciabatte e senza aspettare di ambientarmi alla temperatura, mi tuffai. L'acqua era fredda, ma non tanto quanto lo era di mattina. Presi un respiro e sprofondai sotto acqua, lasciando che il mare spazzasse via ogni cosa, concentrandomi soltanto sui piccoli aghi freddi che mi pungevano il viso.
Quando finii l'ossigeno risalii in superficie e mi misi a pancia in su, restando ferma a galleggiare guidata dalle correnti. Quella era una delle posizioni che più riuscivano a rilassarmi di solito, ma quel giorno non sembrava funzionare.
C'era qualcosa che disturbava la mia quiete e quando mi tirai su e quasi istintivamente guardai verso la spiaggia capii cosa fosse: Aron era fermo in riva e stringeva tra le mani un asciugamano.
Ebbi la mezza idea di far finta di non averlo notato e continuare a stare in acqua a combattere il freddo, ma non si poteva scappare per sempre, così tornai alla spiaggia e accettai l'asciugamano. Me lo strinsi addosso e mi sedetti al suo fianco, sulla riva, nella stessa posizione dell'ultima volta.
"Che ci fai qui?", chiesi, passandomi un lembo dell'asciugamano sul viso.
"Ho visto dalla radura che ti sei tuffata. Non fa bene restare coi vestiti bagnati di sera."
Tirai su col naso e mi strinsi le ginocchia al petto. Costrinsi ogni centimetro del mio corpo a non tradire troppo le mie emozioni e continuai a fissare l'orizzonte. Il sole stava tramontando e il panorama era da togliere il fiato se solo Aron me ne avesse lasciato un po'.
Cadde il silenzio e nessuno dei due sembrava volerlo rompere, come se parlare fosse l'ultima cosa che volessimo fare. E forse era davvero così.
Mi voltai a guardarlo e incrociai i suoi occhi e quando i secondi cominciarono a scorrere e il contatto visivo a restare intatto, una nostra conversazione, vecchia di millenni, riaffiorò nella mia mente.
Se c'è un luogo comune con cui sono d'accordo è che gli occhi sono lo specchio dell'anima. Aveva detto Aron in quel lontano giorno di aprile dentro la serra. Non è che ci scorgi letteralmente l'anima dentro, è che ti metti a nudo. Spesso si raggiunge un livello di intimità più alto fissandosi per qualche minuto negli occhi stando in silenzio, piuttosto che parlando insieme per ore. E a volte può capitare che quello che vedi non sia bello, magari fa un po' paura.
E adesso, seduta in quella spiaggia, ne stavo avendo la conferma.
Avevo la sensazione che gli occhi di Aron mi stessero leggendo l'anima, che stessero frugando nelle parti più remote ed oscure di me stessa alla ricerca di qualche segreto accantonato. Mi sembrava di essere nuda, spogliata di qualunque cosa fosse in grado di farmi sentire meno vulnerabile, perché era così che mi sentivo in quel momento. Vulnerabile e calma e agitata allo stesso tempo.
E cercai a mia volta nei suoi occhi qualcosa e la trovai nel modo in cui Aron era in quel momento, ridotto soltanto a due occhi che sembravano urlare. Mi impressi nella memoria come fuoco quel ragazzo che mi stava davanti perché ora quello era, soltanto un ragazzo che ancora non sapevo come mi avrebbe baciata, come le sue mani avrebbero premuto sulla mia pelle, che sapore avrebbero avuto le sue labbra; e allo stesso tempo era molto di più, era il ragazzo dei binari e quello rappresentava in sé mille altre cose.
E più il contatto visivo proseguiva più la tensione che provavo al centro del petto aumentava senza sosta, fino a riempirmi i polmoni e fermarmi il respiro.
Poi Aron posò le sue labbra sulle mie.
E quello fu il momento in cui, per la prima volta nella mia vita, sentii di essere completa. Ogni tassello sembrava essersi posizionato al proprio posto e l'armonia del mio piccolo mondo sembrava essersi ristabilita. Mi rimproverai quando pensai che le nostre labbra combaciassero alla perfezione, come se fossero state create appositamente le une per le altre, mi rimproverai perché quale cliché era quello, ma come potevo biasimarmi quando sembrava così incredibilmente vero.
Aron non baciava con esitazione, baciava con la stessa forza e con la stessa intenzione che aveva sempre usato prima con le sue parole.
Quando mi avvicinai l'asciugamano mi cadde dalle spalle e la sua mano strinse subito il mio fianco, la presa decisa al di sopra della maglietta bagnata, scottava sulla mia pelle fredda. Intrufolò l'altra mano fra i miei capelli e la posò alla base del collo, mi spinse più vicina, le sue labbra più insistenti, i denti che mordevano piano e poi forse troppo forte e il cuore che sembrava volermi scoppiare.
Quando ci separammo scoprimmo che il cielo era esploso con noi, rosso come le mie guance, rosso come le sue labbra.
Eravamo fermi, in silenzio, ad osservare il mare. Erano istanti di tempo, fuori dal tempo, era come se il mondo si fosse fermato e noi fossimo rimasti così, fermi insieme a lui, sospesi nel vuoto, senza ieri e senza domani, senza giorno e senza notte, lontani da tutti, in un presente che era già un passato e già un futuro, fermi in un unico, lungo momento che non appena si tentava di stringere fra le dita, sfuggiva via inesorabilmente, come la sabbia sotto i nostri piedi.
STAI LEGGENDO
Ricordati quando
RomanceDal capitolo 1: C'era un motivo ben preciso per cui mi tuffavo da una scogliera alta venti metri. Era l'unico modo che mi era rimasto per sentirmi viva. Quello, ed ogni altra cosa pericolosa o rischiosa. Volevo sentire il cuore battere all'impazzat...