Avviso: questo capitolo contiene flashback. Per distinguerli sono scritti in corsivo.
E il pov non è più di Jane, ma di Aron (soltanto per questo capitolo!)
POV. ARON
La mia testa faceva troppo rumore.
Ogni pensiero sembrava rimbombarmi nei timpani, dietro gli occhi, rendeva il buio ancora più nero e il bianco troppo accecante.
Feci quello che facevo sempre in quei casi. Mi concentrai su ciò che esisteva al di fuori della mia testa.
Strappai un ciuffo d'erba e mi soffermai ad ascoltare il suono che quello strappo provocava. Lo trovavo rilassante. Trovavo rilassante anche il rumore del treno sulle rotaie, sempre più forte via via che si avvicinava per poi allontanarsi in un suono ferroso sempre più soffuso e distante. Tutte quelle persone, tutti quei passeggeri al suo interno. Decine di vite umane. Migliaia, milioni di pensieri che si affollavano nelle menti di ciascuno di loro. Racchiusi nei loro cervelli, racchiusi loro nei vari scompartimenti del treno. Dove stavano andando? Cosa pensavano? Cosa provavano? Cosa desideravano fare più ardentemente nella vita? Probabilmente andavano semplicemente al lavoro, ma a me piaceva pensare, immaginare, che se ne stessero andando in qualche posto esotico, che stessero fuggendo dalla noia della routine, in cerca di avventura. Avventura. Avventuriero. Amavo le persone che osavano rischiare, che avevano il coraggio di abbandonare tutto e partire verso l'ignoto.
Forse le amavo perché dopotutto volevo farlo anche io. Abbandonare tutto e partire, andare via. Mi mancava il coraggio, ancora mi mancava, ma sentivo la pressione aumentare, spingermi per il braccio per strapparmi via da dove mi trovavo, e ogni giorno era più forte, come il ticchettio di un orologio sempre più rumoroso via via che si avvicinava il momento.
Ed ecco che ero ritornato ancora una volta dentro la mia testa, a dar ascolto a quei pensieri ingombranti. Abbassai lo sguardo sulla mano e trovai una formica. Era salita sul mio dito, lo usava come ponte per raggiungere l'altro estremo del prato.
Osservai come la luce del sole si spezzasse sul pelo dell'acqua, osservai il riflesso tremolante degli alberi. Osservai l'erba. Osservai le mie mani.
Osservai la ragazza seduta accanto a me che faceva rumore anche stando perfettamente zitta e immobile.
A volte era più rumorosa perfino dei miei pensieri più vecchi, quelli che avevano preso forza e spazio perché stavano lì da troppo tempo ed erano diventati sfacciati e duri, incalliti, troppo pesanti ormai per prenderli e disfarsene.
Capitava, a volte, che quella ragazza riuscisse a spezzarli come i raggi del sole spezzavano l'acqua del lago. Era davvero come un raggio di sole, a volte, per alcuni minuti. Gli somigliava. Ed era bello per l'illusione che mi dava, anche se durava poco, era bello per quella manciata di minuti, secondi, in cui mi faceva credere che il bel tempo potesse durare per sempre.
E non era che il brutto tempo arrivasse improvvisamente, no, ero io che lo riportavo indietro, ero io, perché faceva parte di me, perché mi seguiva da quel lontano giorno di luglio.
Jane si mosse, incrociò le gambe e poi si girò nella mia direzione e mi guardò con quel suo modo di guardarmi, sempre lo stesso fin da quel primo giorno ai binari.
Mi guardava piano, come se non volesse far rumore, come se volesse passare inosservata.
Non ci riusciva. Anche se forse non se ne rendeva conto.
Era rumorosa nella sua silenziosità, nella mia testa faceva così tanto rumore. Talmente tanto, o giusto quel poco, da zittire ciò che di brutto accadeva nei miei pensieri.
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Ricordati quando
RomansaDal capitolo 1: C'era un motivo ben preciso per cui mi tuffavo da una scogliera alta venti metri. Era l'unico modo che mi era rimasto per sentirmi viva. Quello, ed ogni altra cosa pericolosa o rischiosa. Volevo sentire il cuore battere all'impazzat...