Il treno viaggiava ancora veloce.
Adesso la campagna era lontana e c'erano palazzi fuori dal finestrino. Ci stavamo avvicinando alla città.
Avevo la testa appoggiata sulla spalla di Aron mentre lui giocava col mio indice. Lo sollevava e poi lo abbassava. Passava al medio, anulare, mignolo. Con ogni tocco il gelo che avevo nello stomaco cominciò a sciogliersi poco alla volta, finché non rimase che un tiepido calore.
"Cosa succederà adesso?", chiesi a voce bassa, come se non volessi che sentisse davvero. Ma eravamo talmente vicini che mi avrebbe sentita anche se avessi sussurrato.
"Non lo so."
"Cosa stiamo facendo?"
"Non lo so."
La pelle del suo collo era calda contro la mia guancia. I capelli avevano un buon profumo. Volevo strofinare il naso contro la sua maglia e avvicinarmi ancora di più.
Mi sollevò il mignolo. "Non lo so, ma..." Toccò la prima nocca, la seconda, tornò su, sfiorò il dorso della mano. "Ma penso di voler smettere di pensare così tanto. Sono un po' stanco. Vorrei provare a vivermi il momento presente senza pensare alle conseguenze. Non so per quanto ci riuscirò, forse un paio di giorni, forse un mese, ma voglio provarci."
Sentii un vuoto allo stomaco. "Come affrontare una gara d'auto senza cintura col rischio di schiantarsi."
Girò la testa sul sedile e mi sorrise. "Vale la pena per il viaggio, no?"
Sorrisi, ma non gli dissi di sì. Non ne ero più sicura al cento per cento nemmeno io.
Cosa sarebbe successo adesso che anche Aron aveva deciso di vivere l'attimo presente?
Io avevo preso quella decisione molto prima, quando ancora stavamo studiando chimica insieme.
Adesso eravamo in due. Due incauti, sprovveduti, incuranti delle conseguenze. Quasi mi veniva da ridere, quella stessa risata che usciva in situazioni in cui non era appropriato ridere.
Era davvero come lanciarsi in una strada buia a duecento chilometri all'ora senza cintura. Se non altro si vedevano le stelle nel buio e i lampioni a quella velocità assomigliavano a fuochi d'artificio, a meteore. Se ci fossimo schiantati almeno la visuale sarebbe stata bella, no?
Mi voltai verso Aron, osservai il profilo della fronte, il naso, le labbra, la gola. Sì, la visuale sarebbe stata davvero bella.
E ora che pensavo a fuochi d'artificio e meteore mi resi conto che Aron assomigliava davvero a una meteora. Non potevo mai essere sicura di quello che sarebbe successo con lui, non lo sarei mai potuta essere. Sarebbe potuto scomparire, come una meteora che attraversava il cielo, sfolgorante, bellissima, incendiava la notte e poi scompariva con la stessa velocità, lasciando dietro di sé il buio.
E non potevo fermarlo.
Una meteora non si poteva acchiappare e imprigionare; non funzionava come per le farfalle, che per quanto incostanti e sfuggenti fossero, rimaneva la piccola possibilità di prenderle.
Una meteora era nata per essere passeggera, per sconvolgere un'esistenza e poi andarsene.
Non mi piaceva l'Aron meteora, per quanto incantevole fosse. Volevo l'Aron marea, perché anche se incostante, sarebbe sempre tornato, con i suoi alti e bassi, ma sarebbe tornato.
Mi pigiò il pollice sul dorso della mano per attirare la mia attenzione. "Vuoi conoscere i miei amici?"
Lo guardai allarmata, presa alla sprovvista. "I tuoi amici?"
"Mh." Lanciò un'occhiata in giro, verso dove erano seduti gli altri. "Conosco i tuoi. Vorrei che tu conoscessi i miei." Di fronte alla mia espressione, rise piano. "Non mordono, prometto. Sono brave persone."
"Non è per quello", mi lamentai.
"Cosa c'è allora? Non vuoi?"
"No!", esclamai. "No, intendo sì", mi corressi subito. "Sì, voglio conoscerli. Solo che ho paura di non piacergli."
Mi picchiettò sotto il mento una volta prima di sorridere. "Non preoccuparti di questo." Riappoggiò la testa al sedile e chiuse gli occhi. "Anzi, non vedono l'ora di conoscerti. Se non ti porto presto, ho paura che verranno direttamente loro a prenderti." Mi fece l'occhiolino e richiuse gli occhi.
"Che significa?", chiesi. "Gli hai parlato di me? Ehi, apri gli occhi! Aron? Ehi!"
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Ricordati quando
Roman d'amourDal capitolo 1: C'era un motivo ben preciso per cui mi tuffavo da una scogliera alta venti metri. Era l'unico modo che mi era rimasto per sentirmi viva. Quello, ed ogni altra cosa pericolosa o rischiosa. Volevo sentire il cuore battere all'impazzat...