Passai il resto del pomeriggio sullo stesso divanetto del bar, dopo che Tom se ne andò. Ordinai il mio amato Club Sandwich e osservai la tempesta che infuriava al di fuori della finestra. Pensai che la stessa bufera stava avvenendo dentro di me, non solo fuori. E che spesso non bastano dei semplici muri per separare ciò che c'è al di là da quello che c'è dentro. Ero stanca, spossata e confusa. Stavo partendo. Partendo per un viaggio attraverso gli Stati Uniti. Io, che non mi ero mai spostata dallo stato del Massachusetts, che mi ero allontanata da Boston solo per andare con mamma molti anni prima una settimana a Plymouth, che avevo sempre avuto paura di affezionarmi a qualcuno, stavo andando a cercare la mia presunta sorella, che non avevo mai conosciuto e la cui esistenza mai mi sarei immaginata. Continuavo a pensare che forse era tutto troppo strano e impossibile. Addentai un altro pezzo del mio sandwich e controllai l'ora.
16.08.
Arrivata nel mio appartamento del campus avrei sistemato tutto il necessario per il viaggio.
Ma ora non volevo preoccuparmi troppo, volevo solo seguire con lo sguardo il percorso delle goccioline sul vetro della finestra e perdermi tra le nubi scure che coprivano il cielo.
- June, ti disturbo? - domandò una voce roca, alquanto familiare.
- Non si preoccupi Professor Moonlick, mi dica. - il professore di filosofia era incredibilmente socievole e mi aveva sempre trattata con rispetto e apprensione. Non ne avevo mai capito il perché, ma nei periodi più tristi era sempre la cosa che più mi ricordava un padre.
- Ti vedevo assorta, June. In realtà lo sei sempre. Ma vorrei sapere cosa ti turba. Ti vedo sempre sola. Una ragazza speciale come te non dovrebbe esserlo. - mi disse accomodandosi sulla sedia su cui qualche ora prima si era seduto Tom.
Era un uomo anziano, segnato dal tempo, che aveva solcato profonde rughe sul volto e che aveva imbiancato i suoi capelli una volta probabilmente biondi. Portava occhialini sottili, quasi invisibili, dalle lenti molto spesse e dalla montatura argentea così fine e leggera che scompariva paragonata allo sproporzionato naso a patata. Due occhioni azzurri e buoni che mi guardavano.
- Non sono speciale. Le persone speciali sono altre. - tirai su col naso e, senza volerlo, mi s'incrinò la voce. - Professore non si deve interessare a me, sto bene, stia tranquillo.
Eppure era evidente che non stavo bene. Non ero mai stata bene. E lui lo sapeva. Mi vedeva, bastava guardarmi negli occhi per vedere il riflesso del mio dolore, tutto quello che tenevo dentro e nascondevo senza riuscirci, perché era tutto stampato in faccia, tutte le mie voragini, i miei pianti notturni, le mie grida, i miei tagli, le mie domande sul perché ero diversa; lui mi leggeva e sapeva già tutto. Non parlò. Osservò i miei occhi, che dicevano già ogni cosa. Erano diventati lucidi. Non riuscivo mai a trattenermi. Volevo solo scappare.
- June, il tempo guarisce tutte le ferite. Anche quelle più profonde. La perdita di tua madre, l'assenza di un padre. La solitudine. Tutto. Arriverà il giorno in cui sarai davvero felice. So che la vita più è vuota e più pesa. Ma bisogna andare avanti.
- Grazie professore, apprezzo molto l'aiuto e il conforto che mi sta dando. - mi interruppi per finire il Club Sandwich. - Professore, volevo parlarle nel frattempo di una questione. Sarò assente per un po' alle lezioni, forse un mese o non saprei dirle quanto. Ho fatto una scoperta davvero sconcertante. Credo di avere una sorella. Una gemella. December Promwark. So che sembra senza senso, non ne sapevo nemmeno l'esistenza, eppure è così, lei è vera e... Parto domani mattina, vado a cercarla, voglio conoscerla, vederla con i miei occhi, accertarmi che è tutto reale. È stato tutto deciso all'ultimo. E sa quanto mi dispiace perdere le lezioni e rimanere indietro col programma, ma... - mi zittì.
- Va', June. Vivi. È questo di cui ti parlavo prima. Se tua sorella esiste davvero, otterrai la felicità con lei, vivrai la vita che hai sempre sognato. Qualcuno che ti stia accanto.
- Ho paura.
- Paura di cosa?
- Di amare.
- L'amore fa paura, ma solo perché è una cosa più grande di te, June. Ma ti accorgerai che è bello, amare qualcuno, dipendere da questa persona e viceversa, svegliarsi col sorriso senza motivo perché hai accanto qualcuno di speciale, mettere il bene di qualcun'altro prima del tuo. Questo è amare. Amare è come saltare giù da un precipizio, come volare. Meraviglioso e spaventoso allo stesso tempo.
La nostra conversazione finì lì. Moonlick prese un toast al triplo formaggio e uscì dalla caffetteria, rivolgendomi un ultimo, fugace e rassicurante sorriso.
Mi aveva tranquillizzata, mi sentivo meglio. Rimasi ancora alcune ore appoggiata al tavolo, con le cuffiette alle orecchie e la musica in testa. Wake Up Alone. Amy Winehouse. La melodia riempì tutto attorno a me e mi persi tra le nubi grigie e le gocce oblique sul vetro della finestra.Tra le coperte del mio letto matrimoniale nel mio minuscolo appartamento nel campus, mi era sempre sembrato che ogni cosa fosse più possibile. Ogni sogno, pensiero, immaginazione, fantasia, desiderio. Quando sprofondavo fra quelle lenzuola e venivo presa dal sonno volavo in mondi fatti di luce, speranza, amicizia e amore. Mondi d'oro, di piume, di zucchero filato, di pietre preziose e di vento. Di granelli di sabbia di Santorini, di cotone nelle piantagioni in Brasile, di foglie essiccate di tè dello Sri Lanka, di inchiostro di uno scrittore nascosto tra la vecchiaia e gli scaffali di una libreria di rovere, di fiocchi di neve dell'Antartide, di pigmenti di colore dall'India. Viaggiavo con la mente. Viaggiavo in posti in cui non ero mai stata. Viaggiavo in sogno perché non potevo farlo nella realtà. Viaggiavo, e mi sentivo libera. Libera di essere e fare quello che volevo. Libera.
Presto, lo sarei stata.E così, mi addormentai.
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Latte e Cenere
RomanceJune e December sono due gemelle, identiche. L'unico dettaglio che le distingue è una piccola voglia sulla spalla sinistra. Quella di June, bianca come il latte. Quella di December, nera come la cenere. Le due sorelle però sono destinate a cercars...