Promessa

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7 dicembre 2015
Oceano Atlantico

Io e June stiamo partendo. Abbiamo preso il primo volo diretto ad Amsterdam, per poi andare ad Oslo e infine a Vigra, l'isola su cui abita Luvinia Finnegan, sua zia. Siamo insieme, solo noi due, finalmente. È tutto così strano, talmente bello da non sembrare vero. Eppure lo è. E non potrei desiderare di meglio. Stiamo volando sull'oceano Atlantico. Siamo in mezzo al cielo, sospesi fra le nuvole. Dove siamo sempre stati. Io e June, dopotutto, non siamo mai stati come gli altri. Noi leggiamo, scriviamo, vediamo le parole nel vento, in mezzo a noi, nella nostra realtà. Come se prendessero vita. Viviamo di sogni, di speranze e di incertezze. Spesso riusciamo a dire quello che altri non saprebbero mai esprimere. Spesso riusciamo a dire tutto ciò che vogliamo senza le parole. Spesso ci guardiamo, ci leggiamo. L'ho capito dal primo istante in cui l'ho vista. Correva, sotto la pioggia. Era lontana, distante da tutto il resto. Correva nel senso opposto, perché lei lo era. Lei era opposta a tutti gli altri. E ha sempre pensato che questo fosse un problema, che fosse una debolezza. No. È il suo punto di forza. Quello che la rende unica. Quello che la rende... June. Eppure, appena la vidi pensai a December. December. Non l'avevo ancora dimenticata. E, quando la vidi, sperai con tutto me stesso che fosse lei. Volevo fosse lei. Volevo rivederla, parlarle. Ora, non cambierei nulla di ciò che è stato. Vorrei ancora essermi sbagliato, vorrei ancora che non fosse lei. Tornerei indietro, forse. Per non desiderare che fosse December. Non doveva essere lei, non poteva. Voglio con tutto me stesso stare con June. Ho scelto lei. Ho scelto noi. Ho scelto la nostra sincerità, il nostro legame, la nostra storia, il nostro viaggio, la nostra ricerca. Il nostro amore.
Ricordo. Ricordo il primo momento in cui aveva aperto i suoi occhi. In cui avevo visto il mio riflesso nei suoi occhi. E avevo visto la luce. La luce del suo verde intenso, il luccichio nascosto nel buio delle sue pupille.
Quella luce. Quella intensa e calda luce sbocciata nell'oscurità.
Era lei. Era il nostro amore.
E lo vedo sempre, ogni giorno. Quando la guardo, quella luce è sempre lì. Ad aspettarmi. Mi saluta, mi abbraccia, mi rassicura. È lì, e so che vi resterà.
Ogni giorno. Dopo ogni notte, dopo il buio. La luce si riaccende. La speranza, l'amore.
È lì, per salvarmi.
June mi salverà.
Mi sta già salvando.
Credevo mi avrebbe solo ricordato quello che non avevo.
December. December, che se n'era andata. December, che non mi aveva mai amato. Eppure no.
No, mi sono sempre sbagliato.
Lei mi ha aiutato a dimenticarla, a voltare pagina.
June, credevo sarebbe diventata la mia malattia.
Ma è diventata la mia cura.

Questo era scritto sul diario di Tom. Lo lessi velocemente, tutto d'un fiato, assorbendo tutta la felicità e la luce che traspariva dalle parole sulla carta.
Mi appoggiai al finestrino e scrutai la spessa coltre di nubi rivestire il cielo.
- Credi che finirà, un giorno, tutto questo? - gli chiesi.
- Cosa?
- Questa continua ricerca. Questo viaggio. Questa rincorsa. Finirà mai? - ero stanca. Stanca di continuare a cercare, senza fermarmi mai. E di non trovare mai niente.
- Sì, June. Finirà. Non devi preoccuparti, andrà tutto bene. La troveremo, prima o poi.
- E fino ad allora? - mi voltai verso di lui di scatto. - La mia felicità? Sarò felice solo quando l'avrò trovata? Dipende tutto da lei, vero? Sempre da lei. Non posso essere felice senza di lei, non è così?
- June, cosa stai dicendo? - i suoi occhi erano spaventati, non riuscivano ad aggrapparsi a nulla. - Non sei felice?
Quella domanda rimase sospesa fra di noi. Per lunghi istanti. Le parole volarono dalla sua bocca e lentamente si intrecciarono attorno al suo polso e al mio, come unendoci per sempre. Ci strinsero, fino a farci male. Echeggiavano nella mia mente quelle tre semplici parole, senza darmi pace. Gridavano, stridevano, sbraitavano. Era insopportabile. Abbassai lo sguardo, verso le nostre mani intrecciate da quelle parole. E capii. Alzai lo sguardo. I suoi occhi erano lì, ad aspettarmi, ad accogliermi di luce. Proprio come diceva Tom nel suo diario.
Quella luce, che non era altro che il riflesso della mia.
Della mia luce. Della mia felicità. Celata nei miei occhi.
Sì, ero felice.
Come potevo non esserlo?
Tom era con me. Era al mio fianco. E lo sarebbe sempre stato.
Stavamo cercando December.
Ero stanca, forse. Stanca di partire, di dover continuamente ricominciare. Ricominciare a credere. Ricominciare da capo.
Ma non stanca di Tom.
- Sono felice, Tom.
I suoi occhi brillarono ancora di più.
Mi abbracciò di getto e si strinse a me. Il suo profumo al muschio bianco e il tepore del suo corpo mi accolsero, facendomi sorridere.
- Non accadrà più. - gli promisi. - Crederò sempre in noi. Il noi è tutto ciò che ci resta. È la nostra promessa, che rimarrà sempre. Ci crederò sempre, Tom. Alla nostra felicità.
Non disse nulla. Eppure, nel suo sorriso, nel suo sguardo, nelle sue mani strette attorno alle mie, avevo trovato una risposta. Come l'avevo sempre fatto. Il nostro modo di parlarci, anche solo con uno sguardo. I nostri silenzi. Era tutto così tremendamente chiaro, come leggere un libro aperto. E lo lessi. Lessi la sua risposta, stampata in faccia. Lessi un sola e unica parola. Scritta con l'inchiostro indelebile dei suoi occhi.
Promessa.

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