L'aeroporto di Minneapolis e Saint-Paul era grandissimo. Un'infinità di persone diverse che giravano per il salone centrale. Con le loro valigie, le loro borse a tracolla, i loro zaini e i loro carrelli carichi di bagagli. Il loro mondo dietro. E il mondo davanti. Un biglietto aereo tra le mani, e la voglia di partire. E andare. Andarsene per un po'. Andarsene per sempre. Andarsene, e vedere cosa c'era fuori. Andarsene, e basta. Senza un motivo, forse senza nessuno, senza nulla. Oppure andarsene con la mano di qualcuno nella propria, e partire, con la consapevolezza che quel posto di fianco al tuo, non sarà vuoto. Andarsene, per mettersi in gioco. Per dire: "ce l'ho fatta". Andarsene, per dimenticare un pezzo di qualcosa, di qualcuno, di te stesso. Andarsene per ricominciare. Andarsene, portandosi dietro la propria storia. I luoghi che hai visto. Gli occhi che hai guardato. Le mani che ha sfiorato, cercato, toccato. Le labbra che hai baciato, gustato, morso. I profumi che hai sentito addosso, sul viso. I tramonti e le aurore che hai assaporato con tutto te stesso, da solo, magari su una spiaggia deserta, quando il mare si tingeva del colore del cielo. Le risate che ti hanno fatto venire i brividi, i sorrisi da farti svenire, gli abbracci da romperti le costole. Le persone che hai incontrato, che hanno cambiato la tua vita, che hanno cambiato te, chi sei, cosa fai, come sei. I cieli che hanno potuto sotterrarti e quelli che hanno potuto farti sentire leggero come l'aria. Le onde che ti hanno travolto nell'oceano della vita. La neve che hai visto cadere il giorno di Natale, le candeline che hai soffiato il giorno del tuo diciottesimo compleanno, le tue prime feste, il tuo primo amore, le notti insonni piene di pensieri e di stelle. I ricordi. Quelli che ti hanno fatto sorridere, quelli che ti hanno fatto ancora sentire il sapore della felicità sulla pelle, di un bacio, di un granello di sabbia, della pioggia, quelli che brillano degli occhi di chi amiamo e quelli che luccicano di nostalgia. Ognuno con il proprio bagaglio di vita, ognuno con la sua storia in mano. Voci, suoni, canzoni, nomi, parole sussurrate, addii, telefonate di lavoro, raccomandazioni dei genitori ai figli, lingue diverse, lontane. Tutto risuonava nelle mie orecchie. Tutto risuonava di vita. Del mondo.
- Il volo delle 11.05 diretto ad Amsterdam partirà tra dieci minuti. Vi preghiamo di recarvi al gate 7. - annunciò una voce chiara e femminile agli altoparlanti.
Tom, che stava mangiando una brioches ripiena di marmellata alle fragole, disse esattamente quello che stavo pensando: - È il nostro. Dobbiamo andare.Avevo sempre amato l'idea di volare. Di staccarmi per un po' da tutto il resto, dal mondo.
- Hai paura? - mi chiese Tom, seduto di fianco a me.
- Di cosa? - continuavo a fissare fuori dal finestrino, la pista di decollo e l'aeroporto ancora molto vicini a noi.
- Di volare. - rispose, prendendomi la mano. - Hai detto che non hai mai preso un aereo.
- Sì, non ho mai volato. - sorrisi, girandomi verso di lui, per guardarlo negli occhi. - Mi spaventa un po', ma, finché sarò con te, mi sentirò sempre al sicuro.
I suoi occhi grigi mi sorrisero e riuscii a vedere le sue pupille allargarsi leggermente, mentre si avvicinava dolcemente per darmi un bacio.
- È tutto così perfetto. - sussurrai, staccandomi dalle sue labbra e concentrandomi sui suoi occhi mozzafiato.
- Non è perfetto. - mormorò, cercando con la mente le parole giuste. - L'amore non è perfetto. L'amore è... imperfetto, sbagliato. L'amore è i miei occhi che si perdono nei tuoi. L'amore sei tu, che mi sorridi, anche quando piangi. L'amore siamo noi, che, dopo tutto quello che abbiamo passato, siamo ancora qui. - mentre parlava, un improvviso istinto di stringerlo a me e baciare quelle morbide e calde labbra mi assalì. Così, lo feci. Non aspettai niente e nessuno, mi gettai nella passione, nel desiderio del nostro contatto. E, finalmente, lo sentii così reale, così possibile. Non era più il vuoto sotto i miei piedi, il buio, l'oblio dei suoi occhi grigi. Era vicino a me, seduto al posto di fianco al mio, così materiale e vero. Le sue mani, che cercavano forsennatamente le mie, il mio viso, i miei capelli. I suoi occhi, che restavano costantemente aperti, per non mollare mai la presa sui miei e non perdersi neanche un istante di luce. La luce, che brillava nelle nostre pupille quando ci guardavamo. Era qualcosa di magnetico, di inspiegabile. Le sue labbra, che mi aprivano un mondo caldo e dolce, pieno di sapori nuovi da scoprire, mai provati. Il suo respiro, che mi inondava di emozioni, di pensieri, di sogni realizzati. E noi, continuamente aggrappati l'uno all'altra, persi nel mondo e in noi stessi, ma incapaci di perderci a vicenda.
Quella, forse, non era perfezione. Ma, ne ero certa, era amore.
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Latte e Cenere
RomanceJune e December sono due gemelle, identiche. L'unico dettaglio che le distingue è una piccola voglia sulla spalla sinistra. Quella di June, bianca come il latte. Quella di December, nera come la cenere. Le due sorelle però sono destinate a cercars...