La lettera

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- June! - gridò Tom dal piano inferiore. - È pronta la cena! Vieni!
- Tom, ho trovato qualcosa!
In pochi secondi arrivò davanti alla porta.
- December e... - disse vedendo la foto che stringevo fra le mani. - Ma quello... è l'uomo che avevamo visto al motel. - era incredulo. Pure io.
- Mio padre. - gli confermai porgendogliela così che potesse leggere il messaggio sul retro.
- Stesso posto... Stessa ora... Il giorno in cui è cambiato tutto... Ma che significa? - farneticò Tom, pensando ad alta voce.
- Hai visto la data? Il 3 dicembre? - indicai con l'indice la scritta sotto all' immagine. - Che giorno è oggi? Il... 27 novembre, giusto?
- Sì, perché?
- Guarda, Tom, questa scritta è stata fatta da poco tempo. Vedi l'inchiostro? È molto più fresco, rispetto a quello della data. Credo proprio che tra sei giorni mio padre e December si incontreranno... lì. - puntai il dito contro il bosco e il lago nella figura.
- Lì? Ma lì... dove? - domandò perplesso.
- Aspetta. - studiai con attenzione la fotografia. - Osserva gli alberi. Sono conifere, perlopiù abeti, pini e anche alcuni aceri. Sicuramente è al nord.
- Hai ragione. Potrebbe essere in Canada?
- Sì, potrebbe. Ma non ne sarei così sicura. Hai la mappa con te? Magari troviamo qualche segno rosso nel Canada.
- Sì. - disse tirando fuori la cartina dalla tasca.
La osservai bene, per la prima volta. C'erano delle crocette rosse a sud, in Florida, nel Texas e in Arizona, più o meno nella zona del Grand Canyon. Poi a nord, in Alaska, nel Quebec, vicino a Montreal, nella zona dei Grandi Laghi, presso le Cascate del Niagara, nel Maine, a Seattle, a New York, Toronto e Washington. Diverse nel centro degli Stati Uniti, nel Kansas, Missouri, Arkansas, Colorado, Wyoming e Nebraska. Ce ne erano ovunque.
Poi distolse lo sguardo, per osservare qualcosa sul comodino.
- Il suo diario! - lo prese subito tra le mani. Poi, con delusione, notò che era sigillato da un lucchetto. - Cavolo, è chiuso.
- Cerchiamo in giro per la stanza, magari c'è qualche indizio che può aiutarci a capire dove si trova questo posto. - proposi.
Tom si avvicinò alla scrivania, dove frugò nei cassetti.
Nel frattempo, afferrai il libro che avevo visto poco prima sul comodino.
Non era un libro. Mi ero sbagliata.
Era una guida turistica.
Minnesota.
Vidi che c'era una piega in cima ad una pagina a metà della guida.
Una città.
International Falls. 
Al confine col Canada.
- June, vieni a vedere!
Lasciai la guida del Minnesota sul comodino e raggiunsi Tom, chino sulla scrivania.
Era una lettera. Su un foglio di carta logoro, vecchio e ingiallito dal tempo.

San Francisco
5 dicembre 2010

Ciao Abby.
So che questa lettera non sarà mai inviata, che le mie sono tutte parole al vento, che rimarrò sempre la solita ragazzina stupida e codarda.
Volevo soltanto dirtelo, tutto qua.
Io non ti dimenticherò, Abby.
Ricordalo.
Non ti dimenticherò.
Ti ho voluto bene e te ne voglio tuttora.
Sei stata davvero mia amica. Una delle mie uniche amiche. Vere amiche.
E non pensare che solo perché non ti ho salutata non sei stata importante per me, perché non è così.
Ho pianto, sai?
Ho pianto in ricordo di noi.
E di quello che non potrà mai esserci, da nessuna parte, con nessun'altra, in nessun modo.
Ho urlato, contro mio padre, contro il pensiero, solo il pensiero, di mia madre, contro me stessa.
Mi sono chiesta se fosse la cosa giusta, scappare.
Scappare.
Lo faccio sempre.
Scappo dalle difficoltà.
E, ormai, è la cosa che mi viene meglio.
Ho sempre odiato San Francisco. Troppo grande, caotica, piena di vita e di false possibilità.
Voglio un posto che possa farmi sentire a casa.
Sai, il paesino dove vado io ti piacerebbe tanto.
Si chiama Arland. È nel Wisconsin.
Sarebbe bello se venissi con me.
Mi mancherai.
Già lo so.
Piango, perché vorrei che fosse successa in un altro momento, la nostra amicizia, in un momento meno sbagliato, forse.
In un momento in cui fossi stata pronta.
Senza il bisogno costante di essere altrove e di fuggire.
Però, non rimpiango di noi.
Il nostro legame.
Non lo rimpiangerò mai.
Ti prego, ricordalo.
Terrò per sempre questa nostra foto con me.
E ti ricorderò così, col tuo giovane sorriso, la nostra mappa, il nostro albero, i nostri segreti, i tuoi occhi sinceri, i tuoi capelli di sole e luna.
Non ti dimenticherò, Abby.
Non dimenticherò quello che è stato.
Ricordalo.
December.

- Dobbiamo farla avere ad Abby. - sussurrai.
- Cosa?
- Certo. Lei crede che December non avesse mai tenuto a lei, che non gliene importasse nemmeno. Se leggesse questa lettera capirebbe che December le ha voluto bene e che non l'ha mai dimenticata.
- Ma come?
- Non ne ho idea. Potremmo raggiungerla a Portland. Ha detto che avrebbero visitato la città. - stavo parlando senza pensare, farfugliavo parole senza nemmeno ragionarci su. Ero diventata istintiva, impulsiva, opposta alla vecchia me. Me ne rendevo conto solo allora.
- E December? Il 3 dicembre? Non dovevamo scoprire dove si sarebbero incontrati?
- Sì, ma abbiamo ancora sei giorni. Sei giorni. Tom, abbiamo tempo.
- June, non ha senso. Non riusciremo mai ad arrivare nell'Oregon, trovare Abby, consegnarle la lettera e nel frattempo scoprire il luogo dove è stata scattata questa fotografia e così raggiungerlo e trovare December e tuo padre. Tutto questo in sei giorni. Cinque giorni. - disse guardando l'orologio che ticchettava perpetuamente e aveva appena rintoccato le otto. - È una follia.
- Sì, so che è una pazzia. Ma dobbiamo farlo. Anche venire qui ad Arland per cercare December era una follia, ma l'ho fatto. Anche il fatto che avessi una gemella era una follia, ma ci ho creduto. Anche la trasformazione della mia voglia bianca in nera era una follia, ma è successo. La vita, Tom, è fatta di cose folli, pazze, impossibili. Ma se ci credi, tutto è possibile.
- Okay. Partiamo domani mattina per Portland.

Per cena Tom aveva cucinato due piatti di pasta al sugo. Era andato al supermercato più vicino e aveva comprato qualcosa da mangiare, dato che il frigo e la dispensa erano rimasti vuoti per anni, ormai.
- June, - mi prese la mano, mentre mangiavo, e non poté non farmi rabbrividire. - ti voglio bene. Riesci a sopportare tutti i miei difetti, il mio amore per December e i miei comportamenti ingiusti e sbagliati. Ti chiedo scusa. E ti ringrazio.
- Tom, non devi scusarti. È colpa mia. - la mia voce s'incrinò. - Solo colpa mia.
- June. June, basta. - mi strinse le dita con più forza e mi fissò negli occhi, come per evitare di perdermi un'altra volta. - Non puoi crollare. Non più. Io sono qui. E anche se amo December, ci sarò sempre per te. Credimi. Non me ne andrò mai più, sarò sempre qui per te. A proteggerti. Fidati di me.
I suoi occhi stavano perforando i miei con la loro immensa fragilità e allo stesso tempo con coraggio e forza. Lui era lì, per December e per me. E non importava se non mi amava. Lui mi voleva bene. E questo mi bastava.
- Ti perdono, Tom. - e mi persi nel meraviglioso temporale dei suoi occhi, che mi stavano fissando a loro volta. - Grazie.

Andai a dormire nel letto di Tom, mentre lui decise di stare sul divano.
Mi addormentai in fretta, col pensiero della lettera, di Portland, di Abby, di December, del viaggio, di mio padre, di Tom.

Eravamo sulla jeep. Io e Tom. Una strada. Dritta e infinita. Ma non come quella di Arland. No, era diversa. E faceva più freddo.
Un bosco di latifoglie, conifere e acqua. Tanta acqua. Laghi, isole, fiumi. Era meraviglioso.
Una musica lontana e impercettibile.
Velocità. Andavamo velocissimi.
Poi, eccolo lì.
In legno.
Una scritta chiara, a caratteri cubitali.
Di fianco lo stemma di un'aquila che planava su un bosco e sulle montagne. Con dietro una falce di luna.
National Park Service.
I parchi degli Stati Uniti ce lo avevano sempre quel simbolo, quel marchio.
Nel frattempo, aceri, abeti, pini, betulle e mirtilli, lamponi e fragoline di bosco, scorrevano fuori dai finestrini.
E immensi, sterminati, specchi d'acqua cristallina scivolavano di fronte a noi, intervallati da isolette, scogli, rocce e qualche lupo, alce o castoro lontano sulle rive pietrose del Lago Rainy.
E riuscii, senza sapere come, quasi avessi la mappa stampata in testa, a riconoscere la Little American Island, la Dryweed Island e la Surveyor's Island.
Il cielo era tappezzato di nubi bianche.
No, forse non erano le nuvole ad essere candide.
Era qualcos'altro, che imbiancava il cielo.
La neve.
Cadeva a grandi fiocchi, e ammantava gli alberi, i laghi, il pelo bruno degli orsi grizzly e le penne delle anatre negli stagni.
Ma nella mente mi rimaneva soltanto un'immagine.
Così chiara e precisa.
Una scritta.
La scritta sul cartello d'entrata.
Un luogo, preciso.
E, con certezza, sarei anche stata in grado di indicarlo ad occhi chiusi sulla mappa.
Pensai alla guida turistica sul comodino.
Nella camera di December.
La guida del Minnesota.
Ancora aperta sulla pagina della città di International Falls.
La città più vicina al luogo in cui mi trovavo.
Sì, perché sapevo dov'ero.
Era scritto sul cartello in legno.
Voyageurs National Park.

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