Lo Schiaccianoci

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Aprii gli occhi.
Sul palmo della mano destra c'era un biglietto bianco, dove al centro campeggiava un enorme 'K' rossa, con sopra scritto:

Keller Auditorium 
presenta il balletto classico de
Lo Schiaccianoci
alle 21.00
Primo balcone, zona C, posto a sedere A-7

- Andremo a teatro! - esclamò raggiante Abby.
- Ma... ma è incredibile! - io e Tom eravamo allibiti, non ci saremmo mai aspettati niente di simile.
- Allora, vogliamo andare? - domandò cortesemente Edward, con un leggerà sfumatura impaziente nella voce.
Ci incamminammo su per le gradinate del teatro, che esternamente pareva molto all'antica, ma che all'interno era nuovo di zecca. Il legno di betulla lucidissimo tanto da potercisi specchiare, le luci sul parquet e dal soffitto che riempivano di una atmosfera accogliente e piacevole i corridoi del Keller Auditorium, le persone tutte eleganti con in mano i volantini e i biglietti, i tendaggi di broccato e velluto scarlatti che coprivano il sipario, le poltroncine d'ottone e di tessuto rosso che ospitavano migliaia di spettatori sui balconi e in platea. Era tutto in fermento, tutto in fibrillazione, ogni cosa era in attesa. Ma io ancora non riuscivo a crederci, a convincermi che fosse tutto reale. La felicità. Gli amici. Una serata così splendida. Tom. Abby. Ed. Non pensai più all'immagine di mio padre in mezzo al traffico e mi gustai appieno ogni momento dello spettacolo. Non sapevo molto della storia dello Schiaccianoci, ma, fortunatamente, Abby era molto informata: - Dovete sapere che lo Schiaccianoci è un balletto con le musiche di Tchaikovsky, che narra le avventure fantastiche di Clara, che riceve il giorno della vigilia di Natale dallo zio Drosselmeyer uno schiaccianoci bellissimo. Durante la notte di Natale, però, accadono fatti straordinari: la sala, l'albero di Natale, i giocattoli del fratello Fritz crescono incredibilmente e l'arrivo di una miriade di topi che cerca di rubarle lo schiaccianoci crea un gran subbuglio. I soldatini di Fritz prendono vita e cominciano una battaglia contro lo schiaccianoci che, con l'aiuto di Clara, riesce a sconfiggerli, come anche il Re Topo. E poi, lo schiaccianoci si trasforma in principe e scappa in una foresta innevata dove Clara lo segue. Da qui in poi cominciano una serie di vicende con fate, magia e regni incantati.
- Wow! - feci. - Non credevo fosse una storia così interessante.
Ed ecco che, in quell'esatto istante, le luci della sala si spensero e, mentre io, Tom, Abigail e Edward eravamo accomodati sulle nostre poltrone del primo balcone, nella zona C, il sipario si aprì.

Le ballerine danzavano. Sulle loro punte, aggraziate come petali di rosa nel vento, come la rugiada che si posa, nelle mattine di primavera, sui fili d'erba o come un battito di ciglia, volavano sul palco. I riflettori le illuminavano, con i loro tutù, alcuni rigidi, altri morbidi, di pizzo e tulle, creando giochi di luci e ombre. Movimenti, gesti, pose leggere, salti, ali inesistenti e visi colti nella concentrazione, nell'emozione, nel sudore, nella fatica, nello sguardo perso tra il pubblico e l'amore per la danza. Come un tutt'uno si muovevano, generando un'unico corpo. Tutte quelle scarpette, diventavano solo due piedi. Le dita, le braccia, le mani, erano le enormi ali di candidi cigni che cominciavano ad agitare leggermente le piume, per volare. Il trucco di scena, l'agitazione, la paura e la felicità nei loro occhi, la cipria, i rossetti scarlatti o rosei, le dita sempre al posto giusto, i sorrisi verso la platea, le piroette, i salti, i plié, i camerini, il buio dietro le quinte e del pubblico, tranne che sul palcoscenico. Era tutto lì. Tutto in quel cerchio, tutto racchiuso lì. Gli occhi di tutti sulla scena, sulle luci. Da dietro il palco, da davanti il palco, tutto e tutti erano concentrati lì. Non importava cosa stava accadendo nel buio restante, le luci dei riflettori erano il centro di quel cerchio. Tutto convergeva lì. In quel punto di luce, al centro del buio. Era tutto un gioco di contrari, di contrasti. Era sempre stato così. Lo era sempre stato. Come in teatro, come nella cheesecake al lime, come nel tempo che passava, come nelle persone, come nel giorno e nella notte, come nella spiaggia, dove l'acqua e la terra si incontravano, come in me e December. C'era sempre, ritornava, non finiva mai. Era quasi assillante. Questo continuo punto fermo, che si ripeteva, all'infinito. All'infinito. Come le ballerine che giravano, e giravano, e giravano, senza fermarsi mai. Come quelle danzatrici, vestite tutte di bianco, con quei tutù di tulle, con quegli chignon perfetti, con quei gesti aggraziati, con quel trucco preciso, che venivano trasportate da quella corrente circolare e continua, del vento in inverno. Il Valzer dei Fiocchi di Neve.
Deliziose fatine, volavano, come fiocchi di neve nell'aria gelida dell'inverno. Leggere come la brina, coma una invisibile coltre di ghiaccio su un lago, come i cristalli fragili della neve.
La musica trasportava lontano, invadeva la sala, riempiva tutto il mio corpo e quello di Tom, e forse anche quello di December, magari anche quello di mio padre, sovrastava i rumori della città, del traffico, dei clacson, delle grida per le strade, di qualsiasi persona stesse litigando, parlando, sussurrando, ascoltando la radio, sembrava che quella melodia soave avesse raggiunto non solo l'intera metropoli di Portland, ma che potesse arrivare anche ad Arland, a Boston e, chi lo sa, al Voyageurs National Park. Quell'armonia, fatta di canti, di pianoforte e violini, ci abbracciava.
Come un'unica cosa. Qualcosa che danzava, ascoltava, guardava, vedeva col cuore, qualcosa che capiva, che si emozionava, che piangeva, che sorrideva, che risuonava d'amore.

La scena finale. Tutte le danzatrici, le fatine e Clara si muovevano seguendo la musica dolce e soave che le trasportava. Il Valzer dei Fiori. Era l'ultimo atto. Sembrava che quello spettacolo fosse volato, ogni melodia, tutù o danza mi aveva talmente catturata che non mi ero accorta di quanto le lancette dell'orologio da polso di Abby avessero girato in fretta.
Era un mondo magnifico. Un sogno, quasi. Quelle luci, quelle ghirlande di fiori, quei tulle svolazzanti, il buio che mi avvolgeva. Era tutto perfetto. La musica. La musica era qualcosa di indescrivibile. Note che plasmavano e dipingevano la felicità, l'amore, la vita, la poesia di un attimo, violini e archetti che disegnavano amicizia e armonia, l'orchestra che guidava ogni cosa verso il sogno e l'irrealtà. E là, nel buio, con quella melodia incantevole, vidi il suo volto. Il mio volto. Quello di December. Lei, non so come, sembrava sorridesse, o forse piangesse. Distolsi lo sguardo dalla scena sul palco, e fissai quel viso familiare nell'oscurità, che potevo vedere solo io. Poi, scomparve.
Velocemente, proprio come era apparso.
Nel frattempo, la musica stava rallentando. Era stato uno spettacolo meraviglioso. Non so perché lo feci, ma piansi, nel buio. Piansi per December, per mio padre, per Tom, per l'amore di Clara verso lo schiaccianoci, un'amore impossibile. Un'amore forgiato in sogno, un'amore che superava la vita stessa, un'amore come quello che provavo per December. Lei era qualcosa di sconosciuto, che potevo conoscere soltanto nella mia mente. Qualcosa che, sembrava, riuscisse sempre a sfuggirmi. Ormai, cominciavo a credere, che, forse, non l'avrei mai trovata.
Una mano mi sfiorò il braccio. Cercò il mio polso, e poi le mie dita. Quando le trovò, vi si aggrappò e le strinse forte. Un calore mi pervase in tutto il corpo. Era Tom.
Ci tenemmo la mano fino alla fine del balletto. Mi accarezzò le guance, rimuovendo ogni segno del pianto. E pensai, che, probabilmente, nella mia vita, avevo solo bisogno di qualcuno che mi asciugasse le lacrime quando non ero in grado di farlo da sola.

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