"È meglio perdersi sulla strada di un viaggio impossibile, che non provarci nemmeno."
Mi vorticavano quelle parole nella testa ogni secondo. Pensavo al nostro viaggio, a tutte le persone che avevamo incontrato, a tutti i luoghi che avevamo visto, a tutti i momenti che avevamo vissuto. Al mio tentativo, forse inutile, di cercare December. Alla mia promessa. Alla mia ricerca senza sosta, che probabilmente non finirà mai, di una risposta. Di una risposta a tutta la mia vita, di una risposta a me stessa. Perché, pensai, ricordando la mia vecchia vita a Boston, ero talmente abituata a dare risposte agli altri, che, forse, non sapevo più rispondere a me stessa. Dovevo solo imparare a darmi delle risposte. Definitive, una volta per tutte. A dare una risposta alla mia insensata, pazza, irrazionale fuga dalla realtà. Forse, era questo che rendeva tanto simili me e December. Lo capii pienamente solo allora. La nostra fuga da noi stesse, la nostra fuga dal nostro mondo, dalle risposte scontate. Noi non eravamo risposte scontate, non volevamo delle risposte scontate. Volevamo trovare la nostra reale dimensione, la nostra verità. Volevamo risposte vere. E niente più menzogne, niente più bugie. Semplicemente, avevamo perso per strada la nostra storia. Il nostro passato. Ci era stato sottratto, rubato. Ne eravamo state private. E ora, eravamo stanche. Ci eravamo perse, sì. Il nostro viaggio, era stato diverso. Distante. Eppure, nonostante ci fossimo smarrite, senza accorgercene, era proprio quello di cui avevamo bisogno. Perdersi. Avevamo solo bisogno di perderci. Di perderci, di abbandonare gli schemi, le aspettative e tutto ciò che era scontato. Per ritrovarci, ritrovarci a vicenda. E capire che, nonostante tutto, non ci avevano mai allontanate. Eravamo vicine, connesse, senza nemmeno saperlo. Gli stessi dubbi, le stesse incertezze, le stesse domande. E una sola, unica, risposta.L'aereo per Oslo, nel frattempo, sorvolava il mare del nord che si stendeva sotto di noi, un'irraggiungibile distesa infinita d'acqua. Tom si riposava, appoggiato sulla mia spalla. Nel frattempo, ripensai al mio sogno. Al campo di girasoli, a December, al baratro, alle voci. Al suo odore, inconfondibile. La mia mente disegnò quell'immagine in maniera così netta che, prima che potessi accorgermene, scarabocchiai su un foglietto di carta tutto ciò che riuscii a ricordare. La terra umida sotto i miei piedi, la luce fredda, i capelli scuri della ragazza, il candore del vuoto. Finito il disegno, lo piegai e lo riposi nella tasca della felpa. Mentre mettevo la mano nella tasca però, trovai qualcos'altro, qualcosa di cui mi ero dimenticata. Qualcosa che mi aveva accompagnata per tutto quel tempo, senza che me ne accorgessi. Qualcosa che mi era sempre stato vicino, per tutto il viaggio. Qualcosa che non toccavo, che non guardavo da molto tempo. Forse da troppo tempo. Era un bracciale, appartenuto a mia madre. Una catenina dorata, con appesa una piccola foglia di quercia in metallo. Su di essa erano incise le due iniziali. L.F. Ricordavo bene, come fosse successo il giorno prima, il momento in cui me lo aveva dato. Era a letto, stava molto male. Non riusciva a parlare dal dolore, piangeva, aveva gli occhi rossi. Le mani le tremavano. E per la prima volta nella mia vita realizzai che se ne sarebbe andata. Realizzai che me la sarei dovuta cavare da sola, che il mio punto di riferimento, ai miei occhi indistruttibile, stava vacillando. E che sarei dovuta andare io a salvarla, ad occuparmi di lei, per la prima volta. Non ero più io ad essere salvata, ma io a salvarla. Tom mi aveva, in un certo senso, restituito quel punto di riferimento che mi era mancato per così tanti anni. Mi aveva donato la felicità, la sicurezza, la certezza, l'amore. Tutto ciò che era svanito, insieme a mia madre.
Quando mi porse il bracciale mi disse: - June, promettimi che non ti accontenterai mai. Che non ti accontenterai mai della tua vita, di te stessa, del luogo in cui vivi, dei tuoi risultati, delle persone che incontri, di ciò che sei. Dimmi che non ti accontenterai mai di semplici e banali risposte. Ma che cercherai la verità. Io so che la scoprirai. Al momento giusto. Tutto si svelerà. Perché tu non ti devi mai accontentare delle risposte scontate. E questo, questo bracciale, sarà la tua chiave. La tua chiave per scoprire la realtà. La realtà su chi sei, su chi siamo noi, sul nostro passato. La chiave per avere delle vere risposte. - finalmente avevo capito. Si stava riferendo a questo momento. Al momento in cui avrei scoperto la verità. In cui avrei capito la mia storia. Non riuscivo a capire però cosa c'entrasse il bracciale con tutta la faccenda. Decisi di legarlo al polso, come ricordo di quel momento, di mia madre, del mio passato. Della verità. Per non accontentarmi mai. Per averla sempre con me, come se mi tenesse per mano. Vicina, stretta. Come se nulla fosse cambiato.
Una sottile lacrima precipitò giù dal mio viso e ricadde sui jeans, disegnando un puntino di un blu un po' più scuro. Desiderai essere quel puntino, quel cerchietto blu. E poi svanire, dopo un po'. Come se non fosse successo nulla, come se io non fossi nessuno. Solo per qualche ora. Dimenticare tutto e tutti. E sprofondare in quel blu, in quell'oceano di silenzio e vuoto.
Forse, in una minima parte, mi mancava la mia vecchia e monotona vita da nullità.
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Latte e Cenere
RomanceJune e December sono due gemelle, identiche. L'unico dettaglio che le distingue è una piccola voglia sulla spalla sinistra. Quella di June, bianca come il latte. Quella di December, nera come la cenere. Le due sorelle però sono destinate a cercars...