- June. Sveglia.
Tom mi accarezzava leggermente la guancia con il dorso della mano. Mi sussurrava nell'orecchio.
Mi alzai lentamente dal letto, mi vestii, mi pettinai e mi lavai la faccia. Fuori nevicava pochissimo. Una neve bagnata cadeva sul bosco, simile a pioggia. Io e Tom scendemmo di sotto, dove Yuki, Abby, Ed, la signorina Pemberton, Poppy e un uomo che non avevo mai visto prima, ci stavano aspettando. Era piuttosto vecchio, rude e malmesso. Indossava una vecchia giacca di pelle logora, una camicia scolorita di quello che un tempo doveva essere un giallo acceso, un paio di jeans larghi e degli stivali sporchi di fango. Doveva aver attraversato tanti di quei chilometri, di qui venti, di quegli stati, di quelle lingue, di quelle strade. Gli occhi, però, furono da subito la mia maggiore attrazione. Erano di un blu intenso, oltremare, cobalto. Erano profondi quanto l'oceano, leggeri come il cielo e lucenti quanto uno zaffiro. Erano vissuti quanto il corpo e quanto il viso che li portava. Erano vivi. Vivi di luce e di buio. Vivi per la notte e per il giorno. Vivi per il bene e per il male. Vivi per l'amore e per l'odio. Vivi per il dolore e per la felicità. Vivi per la vita.
- Ciao, June. Ciao, Tom. - disse gentilmente Peggie. - Lui è Hammond. Un mio vecchio amico.
- Piacere. - pronunciò la sua voce grezza e fredda, mentre si sporgeva per stringere la mano a me e Tom. - Allora, vogliamo andare? - fece, con tono sbrigativo.
- Oh, sì! - rispose arzilla Peggie Pemberton, che, mi resi conto solo allora, aveva optato per un completo verde smeraldo, dal berretto di lana alla pelliccia, e ora ciondolava avanti e indietro con tutti i bagagli e il piccolo Poppy nella borsetta.
- June! - gridò una voce alle mie spalle, mentre stavo per uscire una volta per tutte da quell'hotel.
Era Percival.
- June, credevi di andartene via così? Senza nemmeno salutarmi? - aveva gli occhi irrorati di lacrime. Per la seconda volta, stava piangendo di fronte a me.
- Scusami, Percival. Vorrei...
- No. Non dire altro. Ora tu devi andare. - disse tra i singhiozzi. - Vedi, tu sei così simile a George. E, beh, sapere che non ti rivedrò più, June, mi fa pensare che non potrò neanche rivedere tuo padre. - sembrava così vulnerabile.
- Mi dispiace, Percival, per... tutto quanto.
- Non dispiacerti. Se non ti avessi incontrata... beh, ora non saremmo qui a parlarne. - così fragile.
- Percival, io...
- Quando rivedrai tuo padre, June, chiedigli di quel suo vecchio migliore amico, Percival. Digli che gli voglio bene. Dagli questo. - e mi diede una catenina d'oro con attaccato un grosso medaglione molto pesante. - E tutto... sarà finalmente al suo posto.
Mi strinse forte, e si voltò per andarsene, ma lo precedetti: - Ci rivedremo, Percival. Ci sono tante cose rimaste in sospeso, tante cose non dette, che volano nell'aria e aspettano di trovare una collocazione. Tante cose.
- Addio, June. - una sottile lacrima gli incrinò lo sguardo.
- Arrivederci, Percival. - gli sorrisi. - Ma... ricorda: è solo un arrivederci.- June, vuoi venire sullo spazzaneve con me e Hammond? - mi chiese Peggie non appena li raggiunsi nel parcheggio.
Avrei preferito di gran lunga andare con Tom sulla jeep, ma non potevo rifiutare. Dopotutto, erano loro ad averci salvati. Ad averci aiutati.
- Va bene.
Salutai Tom, Yuki, Ed e Abby e seguii Hammond e Peggie sullo spazzaneve.Il silenzio dominava nella tiepida atmosfera dello spazzaneve. Nessuno che parlava. Nessuna radio che andava. Solo lo spazzaneve che procedeva, spostando l'ammasso di neve davanti a noi. Solo la coltre di neve che rumoreggiava fuori, spostandosi al nostro passaggio. Poppy dormiva in braccio a Peggie, che, zitta, vigilava la strada. Hammond taceva, mani sul volante. Sembrava dell'idea di rimanere in quella precisa posizione per tutto il viaggio e che l'unica azione emozionante che avrebbe compiuto sarebbe stata allungare la mano callosa per prendere un'altra sorsata della sua Red Bull. Fu Peggie, con la sua voce squillante, e stranamente allegra, a rompere il ghiaccio: - Allora, June, i tuoi amici mi hanno detto che state andando a International Falls, come mai?
- In realtà siamo diretti al Voyageurs National Park, che è molto vicino. - sussurrai. - Andiamo lì perché vorrei incontrare mio padre e mia sorella. Non li ho mai conosciuti.
- Oh, ma che storia orribile. - fece rabbuiandosi, con tono melodrammatico e molto teatrale. - Sai, sono contenta di avervi aiutati. È sempre bello compiere gesti misericordiosi per persone in difficoltà.
Imitai un sorriso, molto tirato. Mi echeggiavano nella mente tutte quelle parole che risuonavano talmente finte e senza senso, che non potevo non sentirmi sola, in quello spazzaneve così improvvisamente glaciale.
- E tu, Ham? - attaccò il suo lampeggiante sguardo accusatorio sul disinteressato Hammond, che non si voltò nemmeno verso di lei, ma continuò a tenere gli occhi fissi sulla strada. - Come mai ti trovavi proprio a Moorhead, stamattina?
- Questioni personali. - rispose freddamente.
- Oh, suvvia, Ham. Dov'è finito il chiacchierone del corso di chimica? Quello che combinava sempre i guai con le provette? Quello che veniva sempre richiamato dalla professoressa Murple perché parlava con la sottoscritta?
Nessuna risposta.
- Cosa ti è successo, Ham? Ti sei richiuso in te stesso in questi ultimi tempi. Non ti sei più fatto sentire. Anche quando Cassy Whispet ha organizzato quella rimpatriata della classe nella sua villa a Winnipeg, tu non ti sei fatto vedere. La vecchia Cassy! Ham, non ti riconosco più. Anche al telefono, ieri, eri così distante... Vuoi spiegarmi? - all'improvviso la signorina Pemberton aveva messo da parte il suo tono teatrale e la voce era divenuta carica di emozione e verità.
Silenzio.
Poi, una timida risposta, imbarazzata, arrivò: - Possiamo... possiamo parlarne... dopo? Non con lei...
- No! Ne parliamo ora, Ham!
- Cosa vuoi che ti dica, Peggie?! - sbraitò Hammond, esplodendo. - Che sono scappato da Winnipeg per non rivedere una donna? Eh? Che ho passato gli ultimi quarant'anni solo? Non ci sono mai più tornato, Peggie. Mai più. Era una promessa. Una mia promessa.
- Per non rivedere una donna? Cosa diavolo stai dicendo, Hammond? - era sconvolta e allo stesso tempo adirata, rossa in volto.
Io volevo scomparire. Mi sentivo di troppo.
- Sto dicendo che, tanti anni fa, ho conosciuto una donna. Una donna che amavo, più di chiunque altra. Lei era bellissima. La sua pelle sembrava fatta della sostanza della neve, candida e pulita e i capelli erano di un colore rame che alla luce del sole sembravano infuocati d'amore. Era diventata tutto per me. Il mio primo pensiero, la ragione del mio sorriso, la luce dei miei occhi. Ovunque speravo di incontrarla, ovunque la vedevo riflessa nello sguardo degli altri, ma soprattutto nel mio. Mi guardavo allo specchio e riuscivo soltanto a notare quanto fossi diventato un suo schiavo. Dipendevo da lei. Lei era libera, selvaggia, autonoma. Non le importava di niente e di nessuno. Amava la vita, ma non era in grado di amarmi. O, almeno, non come io amavo lei. Presto scoprii che aspettava un bambino. Ma lei non lo voleva. Non me lo voleva nemmeno dire, lo seppi con la forza. Se ne voleva disfare. Diceva di non essere pronta. Diceva di non volere una famiglia con me. Un giorno, tornai a casa, e la vidi sul divano, addormentata. Il suo volto era ancora bagnato dalle lacrime. Tra le mani stringeva una lettera dall'ospedale. Aveva abortito. Si era strappata via il mio bambino. Il suo bambino. Il nostro bambino. Era morto, a causa sua. Lo aveva ucciso. La amavo, ma, presto, cominciai ad odiarla. Come la notte, che prima piano piano, e poi tutta di un colpo, scende ad oscurare ogni cosa, presto calò un buio sipario sull'immagine, o anche solo sul ricordo, che mi era rimasta di lei. - la rabbia era svanita dalla sua voce. Sembrava perso, assente, gli occhi vacui, privi di lacrime. Semplicemente vuoti, bui. - L'ultimo ricordo, intatto, ancora lucido, che mi rimane di lei, è il suo riflesso nello specchio. Il riflesso, di lei, bagnata di lacrime, dormiente, assente, lontana da me. Il riflesso di un'assassina. Il riflesso del mio remoto amore e del mio nuovo odio. Il riflesso del mio addio. Il riflesso della mia fine. Il riflesso del mio nuovo e oscuro inizio. Il riflesso della mia fuga.
Aveva smesso di nevicare. Mi sentivo semplicemente congelata in quello spazzaneve, quasi incapace di respirare. Forse ero lì solo come un'ombra, solo come un respiro o un distante riflesso della mia fuga. Un riflesso. Ero solo un riflesso. Mi sentivo il riflesso di me stessa. Il riflesso dì December. Il riflesso dell'amore e dell'odio. Il riflesso delle lacrime, della fine, dell'inizio.
In quel freddo stato di limbo, abbassai lo sguardo e, per la prima volta da quando me lo aveva dato, osservai con attenzione il medaglione. Era lucente, dorato. Il mio volto sconvolto vi era riflesso sopra e sembrava appartenesse a qualcun altro. In quel esatto istante, vidi, fugace e abbagliante, il riflesso di mio padre e Percival, sulla superficie lucida del medaglione chiuso. Non so come accadde, forse era un riverbero, un'increspatura del passato. Una reminiscenza di qualcosa che non doveva essere perduto, qualcosa che poteva essere dimenticato per sempre. Ma che non doveva accadere. La loro immagine mi rimase impressa nella mente per lunghi attimi. Mio padre era molto più giovane e anche Percival. Provai ad aprire il medaglione, ma era sigillato. Mi rigirai fra le mani l'oggetto e l'unico dettaglio saliente che riuscii a trovarvi furono le lettere G e P incise sul retro. Continuai a rigirarmi fra le mani il medaglione. Solo riflessi. Riflessi di me, riflessi del passato, riflessi di mio padre e Percival, riflessi di December. Riflessi della luce dorata di qualcosa che poteva ancora essere salvato.
Peggie, intanto, impaziente, lo incalzò ancora: - E cosa hai fatto poi?
- Sono fuggito. Ho comprato questo spazzaneve. Mi sono fatto una nuova vita. Una vita orribile. Di solitudine. Un vita di abbandono a me stesso. Un vita di abbandono del passato. Ho dimenticato tutto il resto. Ho dimenticato Winnipeg. Ho dimenticato lei.
- Lei, ma... lei chi?
- Se te lo dicessi non mi crederesti. - le sputò questa risposta in faccia con disprezzo di se stesso e qualsiasi cosa il suo sguardo accarezzasse. Sembrava straripante d'odio. Sembrava avesse dimenticato cosa significasse amare.
- Hammond. - disse lei con la stessa freddezza. - Ormai posso credere a qualsiasi cosa.
Attesi per diversi minuti.
Tanti sospiri.
Tanta paura.
Finché, quando ormai non ci speravamo più, la risposta arrivò.
- Luvinia Finnegan.
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Latte e Cenere
RomanceJune e December sono due gemelle, identiche. L'unico dettaglio che le distingue è una piccola voglia sulla spalla sinistra. Quella di June, bianca come il latte. Quella di December, nera come la cenere. Le due sorelle però sono destinate a cercars...