Mi risvegliai in una stanza che non avevo mai visto dalla luce soffusa e dall'arredamento molto grazioso e ordinato. Ero stesa su un letto molto morbido e comodo, avvolta da calde coperte. Di fianco a me, nel letto matrimoniale, dormiva Abby. Ed ronfava in un piccolo letto di ferro battuto, al fondo della stanza. Tom, invece, era coricato su un altro letto, vicino a me, che fissava il soffitto.
- Dove siamo? Cos'è successo? - mormorai, evitando di svegliare Abby e Ed.
- Siamo in un albergo a Missoula. - fece voltandosi verso di me, ma senza guardarmi negli occhi. - Quando, prima, al ristorante, sei svenuta...
- Sono svenuta? - domandai, mostrando il mio stupore.
- Sì. Sapevamo che eri stanca e abbiamo deciso di stare in un hotel, per questa notte. Eravamo tutti molto assonnati, e avevamo bisogno di dormire. - aveva uno strano tono nella voce, come se soffrisse nel parlare, come se avesse qualcosa da dire, qualcosa che gli rimaneva in gola e non riusciva a sputare fuori né a mandare giù. - Ti senti meglio?
- Sì, mi sento molto più riposata. Tu, invece?
Tacque, e sembrò pensare su cosa dire. Forse se mentire, o dire la verità.
- June, cosa hai sognato, veramente?
- Lo sai cos'ho sognato. - risposi. - Mia madre.
- Sì, ma perché? Cosa è successo? Era un tuo ricordo? Un momento importante?
- Era il giorno in cui le avevano diagnosticato la leucemia. - dissi, con freddezza.
- E cosa accadde? - parlava con foga, come se aspettasse una particolare risposta, come se desiderasse appieno saperne di più, come se fosse una questione di vita o di morte.
- Lei non distolse lo sguardo dalla sua tela per tutto il giorno. Da lì in poi fu sempre così. Il suo ultimo quadro lo fece quel giorno. Era bianco, con un segno rosso al centro. Impulsivo, netto. Un taglio sulla tela, quasi una ferita. - mi bloccai, immaginando davanti a me quel dipinto candido e quelle gocce scarlatte che grondavano giù, come sangue.
- E poi? Tu, cos'hai fatto?
- Io ero diventata invisibile per lei. Lei era come su un altro pianeta, come inesistente. A dieci anni imparai a badare ad entrambe. Finché non cominciò le cure, e la situazione sembrò migliorare. Lei era tornata la stessa, amava la vita, amava me. Mi donava tutto quello che poteva darmi. Probabilmente, sapeva che aveva poco tempo. E voleva sfruttarlo al meglio, questo lo sapevo bene. Dopo cinque anni di cure, dove ormai sembrava fosse guarita, peggiorò drasticamente. Per un anno lei rimase, ma fu come se non ci fosse. E, alla fine, dopo settimane di coma, morì. - gli raccontai tutto, ma senza esternare emozioni, tenendomi tutto dentro, come solo io ero in grado di fare, come se stessi narrando la storia di qualcun'altro, non la mia.
- Come ti senti, June? Cosa provi, sapendo che lei non c'è più? Cosa provi, sapendo che lei non tornerà? - mi fissò negli occhi, per la prima volta, dopo tanto tempo. Erano lucidi. Sapevo bene a chi stava pensando. December. Lei non c'era più per lui, non sarebbe più tornata. Come mai madre non sarebbe più tornata da me, non ci sarebbe più stata.
- Lo accetto. Sono passati anni. So che lei non tornerà. Ma, forse, in qualche modo, ho imparato a non pensarci. A dimenticare. La sofferenza, Tom, nasce dal sapere. Ma se tu non sai, è tutto più semplice. Se non pensi alle cose, loro non ti torturano. Loro non ti assillano. Non ci pensare, Tom. Spesso ripenso a lei, spesso la ricordo. E, un tempo, piangevo per lei. Ora, invece, nel ricordarla, sorrido. Sai perché? Perché lei ha vissuto, è stata felice. Perché l'ho conosciuta, perché ho avuto una madre meravigliosa. Perché lei c'è stata. E rimarrà, nella mia memoria. - sorrisi. - Per anni, ho commesso l'errore di distruggermi, di devastarmi col pensiero di essere sbagliata. Finalmente, credo di aver capito. Non siamo sbagliati. Siamo solo umani. E, Tom, nell'essere umani, non ci vedo nulla di sbagliato. - conclusi, asciugandomi una timida lacrima. Mentre pronunciavo quelle parole, credevo di aver capito ogni cosa. Era tutto più semplice, più chiaro.
Tom mi fissava, e negli occhi vidi qualcosa che non avevo mai visto. Uno sguardo di comprensione, di speranza, di amore, di felicità. Di vita.
- Sai, June, penso che tu non abbia nulla di sbagliato. Una volta credevo che tu e December foste diverse, opposte. Sì, di aspetto siete identiche, ma nel carattere pensavo foste completamente differenti. Ora, invece, non vedo più tutta quella distinzione tra di voi. Avete entrambe un'immensa voglia di amare, di scoprire voi stesse, di vivere. Fuggite dal dolore, avete sofferto troppo. Spesso vi tenete tutto dentro, e quando lo tirate fuori, tutto cambia. Siete diverse dalle altre. - sussurrò.
Non mi aveva mai paragonata a December. Non mi aveva mai detto che ero come lei.
Eravamo davvero così simili?
Io mi ero sempre considerata il suo opposto, l'altro lato della medaglia.
- Che ore sono? - mormorò una voce strascicata e assonnata dietro di noi.
- L'una di notte, Ed. - rispose seccamente Tom.
Edward non disse niente, e se ne tornò a dormire.
- Siamo sempre noi due, vero? June e December. Mai solo June. Sempre noi due, non si parla mai solo di me. - bofonchiai, con un velo di rabbia.
- June, non dire così. Lo sai che non è vero. - rispose con tranquillità, ma leggermente sofferente nella voce. - Ti prego.
- Va bene. Come vuoi. Dormo ancora un po'. - sbottai, aspramente.
- No, June, no. - per lui era come un'agonia parlare, si vedeva, era doloroso. - Resta.
- Tom, c'è qualcosa che non va? - gli chiesi, per cercare di capire.
- Resta ancora un po', con me. - mi indicò uno spazietto di fianco a lui nel letto singolo.
In silenzio, mi alzai dal letto matrimoniale dove Abby russava rumorosamente e mi coricai vicino a Tom. Emanava un calore dolce e la sua vicinanza mi faceva stare bene. Mi sembrava di essere di nuovo accanto a qualcosa di cui non potevo fare a meno e di cui ero stata privata, come una droga. Il suo profumo di pulito, i suoi ciuffi biondo cenere, la sua pelle delicata come un petalo di rosa, il suo sorriso così meraviglioso, i suoi occhi indescrivibili. Era un sogno.
Lui mi guardò dritta nelle pupille e mi strinse a sé. Rimasi accovacciata vicino a lui, protetta dalle sue braccia, come in una sfera indistruttibile. Finché non mi addormentai, con la leggera ninna nanna del suo battito cardiaco.Quando mi risvegliai, una luce abbagliante mi colpì gli occhi. Era mattina.
Di fianco a me, Tom era sparito.
Una figura in controluce si ergeva dinnanzi a me, accarezzandomi la fronte per svegliarmi.
Era Abby.
- Buongiorno, June. - mormorò con voce mielosa e dolce. - È ora di andare.
In pochi minuti mi cambiai, mi pettinai e mi preparai per partire.
Ed e Tom ci aspettavano di sotto, all'entrata dell'albergo, vicino alla jeep.Nella jeep nessuno parlava. Il vento sferzava i visi ancora assonnati, scompigliava i capelli, rinfrescava l'atmosfera nell'auto e congelava sempre di più il silenzio.
Io e Abby sui sedili posteriori ci eravamo appoggiate ai finestrini, mente lei leggeva un libro, io guardavo la strada scorrere davanti ai miei occhi. Intanto Tom guidava e Ed studiava le fotografie sulla sua Nikon.
I miei pensieri ricaddero sulla casa di zia Imogen e sulla carta da parati ricca di ritratti. Pensai a Luvinia Finnegan. Mi interrogai nuovamente sul perché quel nome mi era così familiare. Non riuscivo a trovare una risposta. Scovai nei miei ricordi, e non vi trovai alcun indizio.
- Cosa leggi, Abby? - chiese all'improvviso Tom, di punto in bianco.
- Il buio oltre la siepe, di Harper Lee. È bellissimo. Pieno di significato. - rispose, sfogliando le pagine consunte del romanzo.
- È vero. È tutta una metafora. Oltre la siepe, oltre i muri che ci costruiamo attorno, oltre le nostre pareti, non sappiamo cosa ci si possa trovare. È un mistero, sono le nostre paure. - spiegai, ricordando la lezione del professor Kendall nell'aula magna del college. - Boo Radley, il vicino di casa dei Finch, che Jem e Scout non hanno mai visto, è temuto solo perché non lo conoscono. Oltre la siepe che separa la casa dei Radley dalla strada, c'è l'ignoto. - dissi, pensando all'oblio. Pensando a mia madre, pensando a December, pensando a mio padre, pensando a Tom. Era tutto così lontano, così ignoto.
- Hai già letto il romanzo, June? - fece Abigail, sorpresa.
- Sì. L'ho letto l'anno scorso, per il college.
La conversazione finì lì.
Per l'ora di pranzo raggiungemmo Bozeman, mangiammo dei sandwich in un bar e ripartimmo subito dopo.
Nella testa, ero distante, però. Immaginando quello che si sarebbe nascosto oltre la mia siepe.
Quello che mi avrebbe aspettata aldilà. L'ignoto.
STAI LEGGENDO
Latte e Cenere
RomanceJune e December sono due gemelle, identiche. L'unico dettaglio che le distingue è una piccola voglia sulla spalla sinistra. Quella di June, bianca come il latte. Quella di December, nera come la cenere. Le due sorelle però sono destinate a cercars...