La verità

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- Tutto cominciò a Selkirk, distante circa un'ora di macchina da Winnipeg, in Canada. Nel 1951. Io ero la primogenita, la prima arrivata della famiglia Finnegan. Vivevamo in una bella casa di campagna, molto grande e semplice. Il giardino era pieno di fiori e colorato, come se fosse sempre una festa. Ma la parte della casa che preferivo più di tutte era un'area al confine col bosco, dove dominava un'enorme quercia. Passavo ore a giocare là, a tuffarmi nelle foglie secche ammucchiate in autunno, ad arrampicarmi sui suoi rami, a leggere libri e romanzi d'avventura all'ombra della sua folta chioma in estate, a staccare le stalattiti che penzolavano in inverno quando tutto congelava. Era il mio posto preferito, dove più mi sentivo me stessa. Era il mio posto segreto, il mio, e di nessun'altro. Nel 1955, quattro anni dopo, arrivò mio fratello Charles. Lui era sempre stato molto vivace, davvero incorreggibile. Amava divertirsi, scombussolare qualsiasi cosa. Eravamo molto diversi. Passavamo poco tempo assieme, non perché non ci volessimo bene, semplicemente perché ci piaceva fare cose diverse. Cinque anni dopo, nel 1960, nacque Lilith. Il nostro era un rapporto molto diverso, molto speciale. Ci capivamo meglio di chiunque altro, nonostante le differenze di età. Io ero un libro aperto per lei e lei per me. Condivisi con lei il mio posto segreto e divenne nostro. Costruimmo insieme una casa sulla quercia e lì, come col cambiare delle stagioni e di conseguenza dell'albero stesso, crescemmo anche noi. Maturammo e, con noi, anche Charles. Lui aveva molte ambizioni, molti ideali. Amava la tecnologia, l'informatica, l'elettricità. Io, invece, preferivo le cose reali, materiali, volevo studiare all'università di Winnipeg e crearmi un futuro. Poi, c'era Lilith, che all'epoca era ancora una bambina che giocava con le bambole, immaginava di diventare una principessa e colorava le foglie della quercia coi pennarelli. A diciotto anni, lasciai la casa di Selkirk e mi trasferii da mia nonna Velma, a Winnipeg. Prima di partire, però, Lilith mi regalò questo bracciale, con le mie iniziali e il pendaglio a forma di foglia di quercia, come ricordo del tempo passato assieme, della nostra amicizia, del fatto che nulla sarebbe andato perduto. Lo tenni sempre con me. Era il simbolo che non ci eravamo dette addio, che tutto sarebbe rimasto come quando da piccole giocavamo su quella vecchia quercia al confine col bosco. Col tempo, però, mi sentii tremendamente sola. Né Charles, né Lilith vennero a trovarmi a Winnipeg, a vedere come stavo e come andavano gli studi. Ero sola, rimaneva solo mia nonna Velma, che lavorava a maglia sulla sua seggiola a dondolo e canticchiava le canzoni degli Who. Insomma, fu un periodo piuttosto triste della mia vita, finché non incontrai un ragazzo. Hammond. - all'improvviso mi tornarono alla mente lo spazzaneve, le parole di Hammond, il suo racconto, la sua sofferenza. - La nostra fu una storia molto bella, ma anche molto difficile. Non so dirvi cosa andò storto fra noi, ma dopo questa delusione decisi di lasciare il Canada. Volevo girare per gli Stati Uniti, vedere nuove persone, scoprire nuove lingue e culture. Partii. Prima Chicago, poi Kansas City, Saint Luis, Denver, Las Vegas, San Francisco e infine Portland. Là, a Portland, conobbi Lynwood. Lui, lo seppi fin dal principio, era l'uomo con cui volevo passare il resto della mia vita. Lo amavo, mi capiva, mi ascoltava e, soprattutto, mi amava. Nel frattempo, Charles era cresciuto e aveva trovato lavoro a Moorhead, nel Minnesota. - ripensai a Percival, a Octavia, alla fotografia di mio padre e Charles, alla serra e a Peggie Pemberton. - Faceva il tecnico in un hotel di lusso, quello che aveva sempre desiderato. Anche Lilith, era diventata grande, frequentava il college a Winnipeg, stava da nonna Velma e ogni tanto ci inviavamo delle lettere, per raccontarci delle novità. Io le raccontavo della mia nuova vita a Portland, del matrimonio con Lynwood, della sua famiglia e delle sue dolci nipotine. Lei invece dei suoi primi amori, delle sue prime delusioni, della prima volta che aveva saltato la scuola, della prima volta che aveva guidato un auto, delle sue prime feste. Insomma, dopo tanto tempo, finalmente, grazie a quelle lettere, sentivo che eravamo tornate le solite bambine che giocavano insieme sui rami della quercia a Selkirk. E che la nostra promessa, il nostro legame, non si era ma spezzato. Era sempre rimasto intatto, come il bracciale. - si fermò un secondo, fissando il mio polso, attorno al quale luccicava il bracciale e la fogliolina di quercia con incise le iniziali L.F. - Fu proprio grazie alle nostre lettere che tua madre conobbe George. Un giorno, quando ormai erano cinque anni che Charles lavorava a Moorhead, decidemmo di riconciliarci. Di rivederci, tutti noi Finnegan, a Moorhead, per colmare il vuoto che avevano lasciato tutti questi anni di assenza. E lì, proprio a Moorhead, Lilith conobbe George, che lavorava nello stesso albergo di Charles. Divennero grandi amici, passavano moltissimo tempo insieme, soprattutto alle serre. Ma, col tempo, si sa, l'amicizia può trasformarsi in qualcos'altro. E questo avvenne. Lilith decise di rimanere a Moorhead, da George, per un po'. Anche io restai nel Minnesota per qualche giorno, ma, presto capii che, ormai, era ora che me ne andassi. Lilith aveva trovato George, aveva trovato qualcuno su cui contare, qualcuno che la amasse. Charles, nel frattempo, aveva conosciuto una giovane ragazza australiana, ospite all'hotel e aveva deciso di seguirla Sydney. Insomma, nessuno lì aveva più bisogno di me. Però, sapevo chi non mi avrebbe ami abbandonata. Lynwood. Così, dopo una settimana, tornai a Portland. Vissi per altri cinque anni nel suo appartamento nel Lloyd District e, nel frattempo, anche Lilith e George si sposarono, a Moorhead. Fu il loro matrimonio, ad aprirmi gli occhi su quanto il tempo fosse passato. Mi chiesi: È davvero questo che voglio? Una vita qui, a Portland? Sempre lo stesso lavoro, le stesse persone, le stesse strade, lo stesso cibo, la stessa routine. Ero stanca della monotonia del mio lavoro, delle mie abitudini, di Portland. E anche Lynwood. Amavamo viaggiare, volevamo una vita movimentata, diversa, non scontata. Ci spostammo per un po', vivemmo una vita da nomadi, senza certezze. Poi, un giorno, quando eravamo a Barcellona, mi arrivò una cartolina. New Orleans. Era di George e Lilith. Erano andati lì una settimana per festeggiare il loro anniversario e avevano tanto amato la città da decidere di trasferirsi lì. Erano felici, era quello che volevano. Un mese dopo, andammo a New Orleans, per vedere la loro casa, la loro città, ma soprattutto, perché mi mancava mia sorella. Era ormai da tanti anni che non le parlavo davvero, che non le confidavo segreti, paure, pensieri, che non la guardavo negli occhi. Mi mancava la sua presenza, la sua risata, la sua voce, il suo sguardo sempre pronto a darmi una spinta per andare avanti. Fu lì, nel loro appartamento al numero 730 di Bourbon Street, che decisi di ridarle il bracciale. Volevo donarle una parte di me, come ricordo costante di noi, che saremmo rimaste sorelle per sempre, nonostante la distanza. Perché sapevo, che ci sarebbero stati chilometri e chilometri a dividerci. Miglia di lacrime, miglia di lettere, di mani tremanti, di silenzi, di vuoti, di querce solitarie. Io e Lynwood avevamo deciso di venire a vivere qui, in Norvegia. Lui aveva trovato il lavoro che aveva sempre sognato, e io la tanto desiderata pace, dopo troppi anni vissuti senza fermarmi mai. Ero stanca, stanca di correre, di cambiare. Volevo solo la serenità di un caldo fuoco e del mare freddo. E qui, la trovai. Mi sentivo improvvisamente vecchia, come se tutta la polvere accumulata dai viaggi, dalle valigie e da tutti quegli anni, la sentissi ricadere su di me solo allora. Dissi addio a Lilith, a New Orleans. - i suoi occhi erano lucidi, sul punto di annegare nelle lacrime. - E fu terribile. Lei continuò la sua vita, senza di me, senza sua sorella. Si trovò un lavoro, degli amici, una situazione che la rendesse felice. Ci tenevamo in contatto grazie a lettere, con spesso allegate fotografie. Alcuni anni dopo mi disse di essere incinta, di aspettare due gemelle. Te e December. Lei e George erano così felici. Si vedeva che erano fatti per essere genitori. Nasceste la notte del capodanno tra il 1995 e il 1996. Prima nacque December, poi nascesti tu, June. Eravate bellissime, così buone, sorridenti, serene. I vostri genitori vi amavano, davvero. Ma, nel frattempo, vostro padre cominciò a bere, era troppo stressato dal lavoro, a volte diceva cose senza senso, spesso tornava a casa tardi, ubriaco. Lilith era davvero stanca di dover sopportare il suo comportamento. Voleva lasciare New Orleans, lasciare George. Non voleva più avere niente a che fare con lui, ormai provava solo disprezzo nei suoi confronti, l'unica cosa che rimaneva tra loro due eravate proprio tu e December. Così, presero una decisione, molto difficile. Era solo per il vostro bene, solo per il vostro bene. - lo ripeté due volte, come per convincere anche se stessa. Il solo ricordo di quel periodo della sua vita la faceva tremare, come se facesse freddo. Invece no, era il freddo di quei ricordi. Il gelido dolore di ciò che venne dopo. - Fecero un patto, un accordo segreto. December sarebbe rimasta con tuo padre e tu con tua madre. Sapevano che separarvi sarebbe stata la cosa più atroce da fare, ma piuttosto che farvi crescere con due genitori che non si amavano, con una famiglia destinata alla rovina, così andò. George e December si trasferirono a San Francisco, tu e Lilith a Boston. E promisero di non dire mai nulla, di non rompere mai il loro accordo.
Non so dirti, June, perché sia finita così. Ma, da quel giorno, tu e December siete state cancellate l'una dalla vita dell'altra. Questa doveva essere la vostra storia, già prescritta, scontata.
Eppure, credo che ora sia giunto il momento di cambiarla.
Di riscrivere, la vostra storia. Non credi?

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