Lo specchio

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07.05.

Maledetta sveglia. Mi alzai contro voglia e di fretta mi sciacquai la faccia nel lavandino del bagno. Lavati i denti, vestita e rifatto il letto, trangugiai del latte direttamente dal cartone e alle 07.20 ero pronta.
Uscii dall'appartamento e mi diressi alla caffetteria, dove io e Tom ci eravamo dati appuntamento. La valigia era pesantissima, avevo cercato di portare il minimo indispensabile, ma alla fine, non sapendo la durata del viaggio, mi portai dietro quasi tutto il mio armadio.
Quando arrivò Tom, con due minuti di ritardo, mi salutò sarcastico: - Quindi non hai intenzione di tirarti indietro, eh June? Immaginavo ci ripensassi. Beh, meglio così. Vedo che non sei stata molto leggera coi bagagli... - commentò allungando il collo verso il trolley che tenevo dietro di me.
- Già, mi sono caricata un bel po', comunque stai tranquillo, verrò con te. Ma prima che ci ripensi, vogliamo andare? Dove hai parcheggiato la tua auto?
- La mia jeep è poco distante da qui. Seguimi.
In cinque minuti arrivammo ad un piccolo parcheggio circondato da sempreverdi e cespugli di erica e rosmarino. Non ci ero mai stata dopo due anni ad Harvard.
- Salta su. - mi ordinò.
Salii sulla jeep e in quell'esatto istante mi accorsi che stava accadendo davvero. Io, June Promwark, partivo. Verso l'ignoto. Per un viaggio, per la mia prima vera avventura, per trovare la felicità. Per trovare December. Scoprire chi era, conoscerla.
Mise in moto la jeep e partimmo.
Non si tornava più indietro.
Per un po' avrei vissuto la mia vita così. Senza pensarci troppo. In modo impulsivo. Avrei semplicemente vissuto. Avrei dimenticato quella noiosa e perpetua corsa circolare della mia vecchia vita al college per un tempo ancora indefinito, con una persona che conoscevo da nemmeno ventiquattr'ore e in luoghi in cui non ero mai stata. Era tutto un mistero, tutto nuovo. Ogni giorno avrei vissuto qualcosa di diverso. Ogni giorno avrei sperimentato la vita.
Il vento mi arruffò i capelli e mi piacque un sacco. Il finestrino completamente abbassato, il tettuccio aperto e il sole che si faceva largo tra le nuvole e mi riscaldava il viso e le spalle. La musica alla radio riempiva l'aria, ma soprattutto le corde tese dello spazio che ci separava. Uno spazio immenso. Non ci conoscevamo nemmeno, eppure stavamo partendo insieme per cercare December.
- Parlami di lei. - non mi trattenni dal domandargli.
- Di December?
- Sì.
- Lei era una ragazza diversa. Diversa da qualsiasi altra persona tu ti possa immaginare. Rideva in un modo speciale, era come la musica, ma meglio. La sua risata era meglio del waffles caldi con lo sciroppo d'acero a colazione, del profumo dell'erba appena falciata, del mare in inverno, del suono della pioggia, della neve a Natale. E i suoi occhi. Le sue mani. Era perfetta. Sapeva come farti ridere, come farti sentire a tuo agio, come rivolgersi alle persone, il tono di voce e lo sguardo giusto, sapeva come farsi ricordare. Di tutta la piccolissima cittadina di Arland, conosceva chiunque. Sì, va bene, saranno stati ottocento abitanti, ma li conosceva tutti.  E sapeva tutto di loro, si ricordava nome e cognome, il loro libro preferito, i nomi dei nipoti, dei figli, se erano partiti per l'Europa o che so io. Le interessavano le persone. Le interessava piacere a loro. Voleva essere ricordata. Voleva che chiunque la ricordasse. Perché, in fondo, nel suo cuore, sapeva che sarebbe presto partita. Forse già lo programmava da tempo, di andarsene. Non era fatta per i paesini, diceva che chiudevano la mente, lei amava viaggiare, conoscere gente nuova, ma non si affezionava mai davvero a qualcuno. Diceva che stava cercando il "posto giusto per lei", come amava chiamarlo. Ma, sinceramente, non credo esista un posto così. Lei era una visionaria, che guardava lontano, che sapeva guardare attraverso le persone, che le leggeva, in qualche modo, che voleva lasciare il segno. Non penso mi abbia mai amato davvero. Forse ci ha provato, ma non è mai stata in grado di legarsi a qualcosa o a qualcuno. Questo è stato il mio errore. L'ho amata. E l'ho vista abbandonarmi. Penso che la cosa che le riuscisse meglio fosse fuggire. Fuggire, per ritrovare, cercare o perdere qualcosa. Qualcuno. Per ritrovarsi, per cercare l'amore. Ma, l'amore, è per gli umani. Lei, era come un angelo, che volava via dalla emozioni terrene e dalle persone, che lasciava un pezzo di sé in ogni dove, senza amare, ma facendosi amare. - si interruppe cambiando stazione radiofonica. Fix You. Dei Coldplay.
Mentre la descriveva non potevo fare a meno di pensare che forse tutte le cose sbagliate in me erano giuste in lei. Lei era quella giusta, io quella sbagliata. Lei la perfezione, io l'errore. Lei aveva l'amore, io la solitudine. Lei era come la luce, io come il buio. Giorno, notte. Io ero come dicembre, lei come giugno. Io ero December, lei June. Ognuna era l'altra. Eravamo opposte, ma complementari.
Rimasi in silenzio. Non volevo dire niente.
Lights will guide you home.
- E tu?
- Io?
- Tu, come sei?
- Non c'è niente da dire su di me. - ed era vero.
- Sono sicuro che non è così. Abbiamo tutti qualcosa da raccontare.
- Io no. Ho sempre avuto una vita monotona. Senza nessuno. Senza che nessuno tenesse davvero a me. Mia madre è morta qualche anno fa. Sono sola. - trattenni un singhiozzo. Non potevo farne a meno.
- June. Non sei più sola. - disse solamente. Mi prese la mano e me la strinse forte. Mi fissò dritta negli occhi e rividi quelle iridi spettacolari.
And I will try to fix you.
Sorrisi. Non serviva più piangere. Aveva ragione Tom. Non ero più sola.

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