La mappa

51 12 1
                                    

Tom. Tom mi riempiva gli occhi. Mi riempiva l'anima, il cuore, lo sguardo, il corpo.
Mi ero svegliata alle 10.37 e la prima cosa che vidi fu Tom.
I suoi capelli biondo cenere, le sue ciglia talmente lunghe da fare invidia a qualsiasi ragazza, le sue labbra, i suoi zigomi, le sue mani. Udii il suo respiro profondo, il rumore delle macchine in autostrada, il vento che spirava freddo e forte. Era rannicchiato tra le lenzuola bianche del letto e aveva leggermente invaso la mia parte del letto.
Volevo abbracciarlo, baciarlo, sentire la sua pelle a contatto con la mia, percepire il suo respiro su di me, avere i suoi occhi addosso e stringere le sue mani. Era la prima volta che desideravo così tanto qualcosa o qualcuno, la prima volta che mi sentivo così completa con una determinata persona, la prima volta che mi innamoravo.
Amavo le sue piccole fossette quando rideva, la sua voce armoniosa e delicata, la sua calligrafia precisa e ordinata che nascondeva la confusione che teneva dentro, le sue lacrime amare dello stesso sapore delle mie, i suoi occhi. La prima cosa, il primo dettaglio, il primo particolare di cui mi ero innamorata. E, pian piano, il quadro del mio incontrastato sentimento si era allargato, aggiungendo al disegno intero sempre più minuziose e nascoste caratteristiche di Tom.
Tom e December. Amavo Tom. Che conoscevo da pochissimo, eppure era tutt'altro che un estraneo ormai. E amavo anche December, la mia metà, la mia parte mancante, quella giusta e perfetta, quella di cui avevo solo sentito parlare, ma che mi sembrava di conoscere da sempre.
Ero innamorata di due persone che si erano amate a loro volta. Sembrava un ciclo che si completava, qualcosa di irrisolto e che ora aveva trovato un senso e una ragione a tutto.
Eppure, nonostante sembrasse tutto sbagliato, l'amore che provavo, il desiderio di essere talmente vicina a lui da non avere più alcun muro o barriera invalicabile da superare, l'istinto e l'irrazionalità, guardando il suo volto perfetto non potevo fare a meno di pensare che, dopotutto, nel mio sentimento verso questo essere così meraviglioso, qualcosa di giusto doveva pur esserci.
Poi, si mosse leggermente e aprì gli occhi. E li rividi. Ogni volta era un emozione e un sentimento nuovo, ogni volta era maggiore lo stupore e l'amore, ogni volta mi innamoravo di nuovo e mi perdevo in quell'oceano di nebbia e tempesta.
- Buongiorno - mi sorrise.
- Hey, dormito bene? - gli chiesi, sorridendo anch'io e realizzando che eravamo vicinissimi, alla distanza di un respiro, appoggiati sullo stesso cuscino.
- Benissimo. - rabbrividì. - Che freddo che fa.
- Già. Ci prepariamo per andare?
- Va bene.
Ci alzammo e mentre Tom chiudeva la finestra entrai in bagno per cambiarmi.
Un semplice paio di jeans strappati e un maglione bianco.
Mi lavai la faccia e i denti, mi pettinai e intrecciai i capelli.
Quando uscii dal bagno Tom era già pronto per partire e aveva rifatto il letto.
In silenzio, ancora un po' assonnati, uscimmo dalla stanza e raggiungemmo il bar del motel per fare colazione.
- Cosa desiderano i signori? - domandò il barista della sera prima, che dal cartellino attaccato alla camicia capii si chiamasse Herb.
- Per me un latte macchiato, grazie. - risposi.
- Un caffè, per favore. - fece Tom.
- Certamente.
Mentre preparava il latte macchiato e il caffè mi accorsi, solo allora, che, al fondo del bar, nello stesso tavolo e sulla stessa sedia, di fronte alla stessa finestra, il losco signore con in mano il suo solito bicchiere di vino era ancora lì. Aveva un che di familiare, come se l'avessi già visto.
Forse era solo un impressione.
- Hai visto? C'è lo stesso tipo di ieri sera. - spesso sembrava che Tom mi leggesse nel pensiero.
- Sì, ci stavo proprio pensando. - lo fissai senza dare nell'occhio. - Pensi che sia rimasto lì tutta la notte?
Herb ci porse quello che avevamo ordinato.
- Grazie. - disse rivolto al barista. Poi, verso di me, sorseggiando il caffè bollente mormorò: - Chi lo sa. Potrebbe anche essere.
- Non importa. - girai col cucchiaino lo zucchero nel latte. - È buono il caffè?
- Sì, amaro come piace a me.
Ingurgitai tutto il latte macchiato e anche Tom finì il suo caffè. Pagò e uscimmo dal bar.
Lasciammo la chiave della stanza a Daisy e uscimmo dal Two Oaks Motel.
Salimmo sulla jeep e mise in moto.
Eravamo di nuovo di partenza. Di nuovo in strada. Chilometro dopo chilometro, eravamo sempre più vicini. Più vicini ad Arland. Più vicini a December.

Latte e CenereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora