Capitolo 13

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Mi sveglio praticamente urlando.

Sono sudata e agitata per via del mio solito incubo, ma questa volta sono riuscita ad andare più avanti del solito punto in cui il mio cervello decide di bloccare, pietosamente, le spaventose immagini. Forse il ricordo è troppo traumatico e per difesa, mi impedisce di rivivere quei momenti. Oggi però sono andata oltre. Troppo oltre, per i miei gusti. Ancora pochi istanti e l'avrei visto morire.

Di nuovo.

Mi passo la mano sul volto, come a cancellare gli ultimi rimasugli dell'incubo.

Mi sento meglio di come ero ridotta in cella.

Sono di nuovo nella camera di Simon e per un attimo mi assale il panico perché rivivo quel giorno, non so di preciso quanto tempo sia passato, in effetti, ne ho perso la cognizione... Mi metto a sedere di colpo. Nel braccio ho una flebo, svelato il motivo per cui non sono più affamata e debilitata.

Mi viene da piangere e per me non è così normale cedere al panico o allo sconforto. Non me lo sono mai potuta permettere.

La porta si apre piano e sbuca Simon, con un perfetto tempismo nel beccarmi nei momenti in cui sono conciata peggio e preferirei non vedere nessuno.

Sembra quasi che abbia paura di entrare, anche se dovrei essere io quella a temere per la propria vita.

Non ci sono sul suo volto più i segni delle ferite riportate, ma ha comunque il viso tirato e i meravigliosi occhi spenti, preoccupati.

Io lo guardo, ma le parole mi si bloccano in gola. Non riesco a proferire verbo. Mi sento le guance umide. Un paio di lacrime devono essere sfuggite al mio controllo.

Non è da me lasciarmi andare così, sembrare debole, disperata, una fragile umana.
Una cosa che odio, che non sopporto!

Lui mi osserva silenzioso e sposta il peso da un piede all'altro. Sembra imbarazzato.

Ci guardiamo in silenzio per cinque minuti buoni, poi la mia solita impazienza ha la meglio, e dico: "Dovresti parlare tu per primo." E mi zittisco di nuovo, aspettando cocciutamente che lui si degni di dirmi qualcosa.

Si schiarisce la voce, mette le braccia dietro la schiena. Poi si tocca la nuca e si passa le mani tra i capelli.

Cedo di nuovo io, anche se so che non dovrei, ma ormai sono seccata e la rabbia è sempre stata una delle leve emozionali che preferisco, perché spesso mi ha tolto da grossi guai: "Allora Simon! Ti degni di dire qualcosa o mi lasci morire, anche questa volta, nell'attesa che tu ti degni di palesarti o parlare a mio favore!!" So di essere andata su un altro argomento e in modo sconclusionato, così, improvvisamente. Lo sto accusando di avermi rinchiuso e, anche se razionalmente so che lui non c'entra nulla e non poteva fare altro, lo ritengo colpevole. Ma si sa, quando si è arrabbiati, a volte la razionalità la butti nel cesso.

Lui fa un passo indietro, come se lo avessi colpito in pieno petto.

Io continuo a guardarlo con sguardo di fuoco e appannato, per via delle lacrime pronte a uscire di nuovo.

Dannazione!

Finalmente apre bocca: "Makhaira, io... io non so che dire. Non so come possa farmi perdonare: prima ti ho quasi uccisa e poi quegli idioti ti hanno rinchiusa e praticamente fatta morire di fame. Se vuoi rescindere il contratto, lo capirò. Anzi, ti pagherò comunque l'intera tariffa, subito, anche se non hai risolto ancora il caso. E poi sta diventando tutto troppo pericoloso. Basta una parola da parte tua."

Io lo guardo stupita e mi incazzo ancora di più: "Ma ti sei rincoglionito con tutte le botte in testa che hai preso? Pensi davvero che io possa rinunciare al caso, ora, proprio ora che per colpa di quello schifo, quasi ci rimanevo secca? Secondo te me ne frega dei soldi fino a questo punto? Non mi conosci ancora. Sei uno stupido insensibile. Non si tratta più di un lavoro. È una questione personale ormai. Nulla potrà fermarmi dal mettere in galera questi schifosi bastardi, nulla e nessuno! Nemmeno tu Simon."

The Bounty Hunter - La cacciatrice di taglie (Vol. 1) - (In revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora