Capitolo trentacinque

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Immagina di vedere una folla di sconosciuti, seduti su delle panche di legno, attendere silenziosamente la tua entrata, solo per potersi scatenare contro di te. Non hanno un motivo preciso, magari nemmeno sanno perché sei in quell'aula di tribunale, ma lo fanno con rabbia, la voglia di urlare "criminale", contro qualcuno che in realtà non ha commesso quel crimine atroce che si crede.

Ti portano come un cane, con le manette che stringono i polsi, segnandoli con un rosso vivo.
Gli sguardi dei sospettati sono abbassati, fissando i piedi in movimento. Gli sistemano uno davanti all'altro, passo dopo passo e quando alzano lo sguardo, è solo per fissare negli occhi il giudice ed è quello il momento essenziale, dal quale scaturisce tutto.
È lì che l'uomo con il martello in mano, intuisce se il tuo sia uno sguardo colpevole, oppure no.

Tutto questo l'avevo imparato osservando diverse cause, alcune volte andavo in tribunale giusto per sfogare la mia rabbia, contro un essere umano che nemmeno conoscevo. Poi ho assistito al mio processo e non ci è voluto molto a capire, che noi eravamo carne per la stampa.
Mostri.
Così ci definivano.
Mostri.
E la cosa più angosciante, è che alla fine noi ci convinciamo di esserlo davvero.

Non vedo Alex da giorni, è stata trattenuta in centrale. Nessuna spiegazione, solo un mandato d'arresto, che me l'ha portata via, poi un altro di perquisizione, nel quale degli estranei hanno osato trafugare nei nostri cassetti, buttando all'aria ogni singolo angolo della casa, spogliandoci di ogni piccolo e insignificante segreto, perché l'hanno ritenuta una persona pericolosa.
Alex. Capite? La mia Alex.

Abbiamo preso un avvocato d'ufficio, non potendo permetterci un vero avvocato.
Per una volta la fortuna è stata dalla nostra parte, perché da come l'ha descritta Alex sembra una persona in gamba e affidabile, alla quale piace svolgere il proprio lavoro e che non lo fa solo per prendere lo stipendio a fine mese.
Lo so, è strano.
Non siamo abituati ad avere attorno persone alle quali interessa di noi.
Sapere che Alex non è sola in quell'inferno, mi fa sentire più sollevata, ma non colma il vuoto che ha lasciato in questa casa, o in questo corpo.

Ho provato tante volte ad andare a trovarla, ma le guardie me lo impediscono. Dicono che è in attesa di processo e non sono autorizzata ad un incontro.
Ho bisogno di vederla negli occhi e dirle che andrà tutto bene, altrimenti lei non ci crederà e conosco Alex, so esattamente cosa sta facendo adesso...

Sarà seduta nella sua cella angusta, distesa sul metallo che osano chiamare materasso e starà fissando il soffitto macchiato da oli provenienti dalle latrine che stallano al piano di sopra.
E l'unico pensiero che le frullerà in quella testa, sarà sicuramente... "Tornerò a Litchfield."
E non può pensarlo, perché non ci tornerà.
Lo impedirò con tutte le mie forze, dovessi mettermi a sparare nell'aula del tribunale pur di tirarla fuori di lì.

La mia libertà non vale niente senza di lei.

<Lo sai che ti metterai nei guai.> La voce di Cal risulta troppo fraterna, ho bisogno di un consiglio oggettivo e lui non sembra in grado di darmelo.

<Cal!..> Mi schiarisco la voce, mantengo un tono basso e mi ricompongo. Siamo seduti ad un bar all'angolo, uno di quei posti dove vanno tutti i mascalzoni nei film <È per Alex. Devo farlo.>

Scuote la testa disapprovando la mia idea.
Perché l'ho detto a lui!? Avrei fatto meglio a parlarne con un muro, che con Cal.. L'unica cosa avventurosa della sua vita è stato il traffico illegale di mutandine, figuriamoci se accondiscende ad un'idea tanto rischiosa.

<Piper sei già finita in carcere per colpa di quella donna e un'altra volta per falsa testimonianza.. Vuoi tornare dentro per entrambi i motivi?> Si sporge in avanti sul tavolo, scalciando sotto di esso e facendo tremare il legno sopra ai nostri ginocchi.

<Si. Si. Si.> Scandisco lentamente, fissando l'uomo paffuto davanti a me <Tu faresti lo stesso per la tua famiglia.> Questa affermazione lo fa indietreggiare, appoggia la schiena contro la sedia e si massaggia la barba, pensando nuovamente al piano e poi lo espone da capo.

<Tu vorresti andare in tribunale e testimoniare che è stata Mary a colpirti...>

<...Si. Dirò che Mary mi ha colpita, così Alex è stata costretta ad intervenire, ha colpito la donna solo per autodifesa.> Spiego. Sembra un piano ancora più buono, adesso che ho rianalizzato il tutto.

<Ma non è andata così!> Ghigna Cal, intrecciando le dita carnose e pelose, sopra al tavolo che ci divide.

<Ma noi fingeremo che sia andata così.> Intervengo, dandoli un calcio involontario e avvicinandomi a lui con affare minaccioso

<Alex è la mia famiglia. Non permetterò che torni in quello squallido posto. Questo è il mio piano, se ne hai uno migliore, è tempo di esporlo.> Gli faccio cenno di proseguire, ma Cal, nonostante ci provi, dopo pochi minuti sbotta in un sospiro frustato e annuisce contraddittorio

<Va bene. Faremo così.>

Alex e Piper 2 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora