Strana ed ironica la vita. Duri, durissimi allenamenti con ogni condizione di tempo, di salute e di motivazione. Nulla avevano potuto. Eppure Justin era in campo.
Alcool e confratelli erano riusciti dove lui aveva fallito.Jack Morgan e Alex Frieman, primo e secondo quarterback, una macchina, una bottiglia di vodka. Nulla di grave qualche osso rotto, qualche frattura scomposta e la moto del rettore, parcheggiata di fronte la facoltà, distrutta nella collisione. Ma tanto bastava per tenerli lontano da quell'erba per almeno due intere stagioni.
Era il suo turno ora.
Guidava la squadra con il suo solito piglio che ti spinge a credere tutto sia possibile ed a portata di mano. In definitiva ciò che si richiede ad un capitano.
Eppure era rimasto terzo quarterback così a lungo da dubitare sulle reali possibilità di calcare un giorno quella erba. Lo stesso suolo degli allenamenti, con una piccola differenza.
La intravide seduta sugli spalti, accompagnata dai suoi migliori amici. La vide sorridere quando gli sguardi percorsero le gradinate, trenta yard di campo per incontrarsi a metà di esso. Scorse quegli occhi che attenti tifavano per lui, per quella prima partita da dentro o fuori ma ciò, a dirla tutta, era uno stimolo. Le gambe non tremavano. La mente rimaneva concentrata. Escludere il pubblico, cancellare l'idea paralizzante dei talent scout. Un'unica metà.
Per Faith quel gioco era da sempre rimasto nello scaffale impolverato delle cose da capire, tra le quali imparare ad andare in bicicletta. Il tempo, la voglia, l'assenza di una figura maschile in casa che potesse liberarla da quel torpore intellettivo, seppur frivolo. Fatto sta che per i primi due quarti di gioco si limitò ad esulare insieme al pubblico ed imitare i suoi due amici nelle lamentele quando l'arbitro errava il suo giudizio.
« Allora? Fin qui è stato bravo il nostro Justin! » esortò Harry al dialogo.
« Direi! » si affrettò a rispondere Faith quando si accorse che Cameron si era voltato dalla parte opposta per non dover conversare.
Harry la guardò incuriosito.
« Tu non hai idea di cosa sia accaduto fino ad ora, vero? »
Beccata!
« Ma che dici! Stiamo vincendo ventuno a sette e Justin ha fatto due grandi assist per il numero quindici che ha segnato due... »
« Touchdown! La parola che cerchi è “Touchdown”! » ironizzò Harry.
« E va bene lo ammetto! Non ho la minima idea di cosa stia accadendo in campo. Mi limito ad imitarvi! » ammise abbassando lo sguardo. « Poi non capisco perché di tanto in tanto qualcuno getta in campo dei fazzoletti rossi, e perché a volte dobbiamo calciare la palla lontano se l'abbiamo noi! » protestò.
« Perché non lo hai detto subito! I fazzoletti li gettano in campo gli arbitri per segnalare un fallo e se la squadra che ha il possesso della palla non riesce a superare le dieci yard con tre tentativi la calcia lontano per cacciare indietro gli avversari, chiaro? »
« Sì ora tutto più chiaro! »
« Ma che bravo... » ironizzò Cameron sottovoce.
« Hai qualche problema? »
« Ragazzi! Calmi! Ora inizia il secondo tempo! » riportò la quiete tra i due.
In effetti altri due tempi da quindici minuti, inframezzati da una sospensione e da innumerevoli interruzioni tra un'azione e l'altra, trascorsero molto più rapidamente se accompagnati dalle spiegazioni di Harry e le precisazioni di Cameron che non voleva essere da meno.
Ma fu al quattordicesimo minuto del quarto tempo.
Linea di scrimmage sulle cinquanta. Una frazione di secondo e Justin si ritrovò l'ovale tra le mani e tutti i compagni marcati. I difensori gli furono subito addosso. Finse un passaggio. Due caddero nel tranello. Il numero settanta dei bulldog cercò di placcarlo. Girando su sé stesso mandò a vuoto il placcaggio. Aveva campo libero. Corse sollevando zolle di erba a causa della spinta sul terreno.
Gli avversari conversero su di lui. Era veloce. Correva lungo la fascia destra del campo. Passò sotto le gradinate dove era seduta Faith. Non aveva mai visto nessuno correre così veloce.
Uno. Due. Tre placcaggi a vuoto. Gli avversari non riuscirono a prendere i tempo di quella scheggia impazzita.
Solo uno di loro. Si gettò tra le gambe. Lo fece inciampare.
Justin cadde. Ma era troppo tardi. Nella caduta allungò il braccio schiacciando a terra la palla nella zona di metà.
L'arbitro fece segno e lo stadio esplose.
La festa post-partita poteva cominciare.© G.
Angolo dell'autore:
Commentate, se vi va, consigliandomi costruttivamente come dovrebbe continuare o eventuali modifiche in modo da potervi offrire scritti sempre migliori. Grazie infinite a tutti!
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ONE | Prima Stesura
Teen FictionRomantica, sognatrice, costantemente insicura. Questa è Faith. Diciannove anni sono bastati per segnarla più di quanto lei stessa odi ammettere, un passato visibile negli errori del presente, con la scrittura unico sogno e sentiero tra adolescenza...