Anche il cielo piange.
Così si dice in questi casi. Almeno così si dovrebbe pensare.
Anche in quel venerdì pioveva. Ed anche in quel caso, le persone a lei care vestivano gli eventi atmosferici di presagi non del tutto plausibili.
Ma in quei momenti farlo presente è ritenuto di cattivo gusto.
Come sarebbe stato cattivo gusto ricordare, questo sì, con scrupolosa oggettività il passato ed i trascorsi.
Eppure l’ipocrisia regnava sovrana. Si leggeva nelle lacrime delle consorelle per le quali si era creato un succulento vuoto di potere il quale ognuna di esse bramava di occupare. Si leggeva, fisicamente, nei messaggi carichi di retorica lasciati dagli invitati all’ingresso della Beta Chi.
Si leggeva, infine, anche in Faith. Il dovere l'aveva condotta fin là, con il cuore pesante e silenzioso di chi sa che concedere l’onore delle armi non significava recarsi in quel luogo vestendo un’espressione di sconforto.
Un’ora prima era salita sulla Chevy, supportata dai suoi amici per i quali i pensieri non si discostavano dai suoi.
Metà del college presente ma, in fondo, distante. La certezza che, se non esisteva il merito, sicuramente la ricerca di quella fine era stata voluta.
Nessuna certezza. La polizia aveva, e stava, vagliando ogni ipotesi, più per dovere di fronte ad una famiglia tanto potente che per vero sospetto.
Ma tutti sapevano.
Le volanti arrivarono subito sul posto quella famigerata sera. Ai paramedici l’ingrato compito di costatarne la morte. Un fascicolo era stato aperto proprio per non tralasciare alcuna pista.
Ma tutti sapevano. I suoi trascorsi, quella siringa piantata in profondità, due parole.
“Sono sola”.
Così aveva scritto. Così si sentiva dietro la maschera da spietata manipolatrice.
L’overdose cercata e trovata.
La scientifica, per scrupolo, raccolse dei campioni di saliva da tutti i presenti per incrociarli poi con eventuali tracce di DNA trovate nella stanza.
Forse uno o due lividi facevano sospettare una lotta, ma nessuno credeva a quell’ipotesi. Il suo passato era ancora fresco nei rumors del college. Tagliarle i viveri non aveva avuto l’effetto sperato.
Harry era ora sulla bocca di tutti, come goccia scatenante di quel gesto folle. Ignaro artefice di una tragedia, ma nessuno gli attribuiva colpe che non gli spettavano, anche perché, in fondo, buona parte dei presenti a quella cerimonia di commemorazione, e non, ne erano sollevati.
Ed il cielo continuava a piangere. Non aveva smesso un secondo inficiando il buffet organizzato in giardino e spingendo i presenti ed il catering ad una veloce ritirata verso l’interno.
Nessun Enfield era presente, ottenebrati dal dolore o spaventati dai pettegolezzi che si sarebbero scatenati ad un loro passaggio.
Le indagini si chiusero ben presto con il verdetto già ipotizzato.
Un tentativo di suicidio sfuggito di mano. Questo sulla bocca di tutti risuonava come una sentenza già assodata.
La cerimonia si chiuse con l’intento della confraternita di mantenere ad imperitura memoria la stanza di Alissa così come l’aveva lasciata. Per il momento era un obbligo almeno fino a quando la polizia non avrebbe tolto i sigilli.
Durante il ritorno verso casa il clima tra i coinquilini si era disteso al punto da sciogliere la tensione perfino tra Harry e Cameron.
« Non te ne fare un colpa Harry! Non è stata colpa di nessuno solo sua! » consolò un inaspettato Cameron tra la sorpresa generale.
« Come faccio a non incolparmi? Forse io ero più di un semplice contratto, di un accordo e la sua reazione lo prova! »
« Ciò non toglie che non sia stata colpa tua! »
« Cameron ha ragione! » sottolineò Justin. « Tu non hai colpe! Non puoi salvare chi non chiede aiuto! »
« Grazie ragazzi! Grazie davvero! »
Forse, alla fine Alissa aveva avuto un merito, quello di legare nuovamente il gruppo nel suo ricordo saldato al dolore.
“Show must go on” recitava una canzone ed insieme allo spettacolo anche la vita.
Qualcosa di sospeso attendeva Faith. Un compito ingrato quanto dovuto.
Scesero dalla macchina in ordine sparso. Justin chiuse l’ultima portiera.
« Justin scusa… posso parlarti? »
« A dire il vero ci speravo Faith! »
I restanti due inquilini proseguirono verso casa accompagnati dalla speranza di Faith di un chiarimento spontaneo tra i due.
« Ascolta Justin, riguardo a ieri… non so come dirlo… il punto è che… »
« Faith, tranquilla »
« No! Non sto tranquilla! Tu non sai quanto significhi per me ed la sola idea di perdere l’unico vero amico che ho, il fatto che ciò che devo dirti potrebbe allontanarti da me, mi… mi terrorizza. »
« Allora non dire nulla! » le rispose vestendo il sorriso più rassicurante che i suoi connotati potessero creare. « Ho capito! Non cambierà nulla tra noi, te lo posso assicurare! »
« Grazie di aver compreso, grazie di tutto! »
« Non preoccuparti… » .© G.
Angolo dell'autore:
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ONE | Prima Stesura
Teen FictionRomantica, sognatrice, costantemente insicura. Questa è Faith. Diciannove anni sono bastati per segnarla più di quanto lei stessa odi ammettere, un passato visibile negli errori del presente, con la scrittura unico sogno e sentiero tra adolescenza...