Capitolo 21 - Terzo e primo

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Punto della situazione.
Terzo giorno.
Primo del nuovo lavoro.
Meno cinque all'inizio delle lezioni.
Un coinquilino estremamente dolce, un coinquilino estremamente lunatico, un coinquilino estremamente stronzo.
Di fronte quattro lunghi mesi.
Il traguardo era il natale, limite ultimo nel quale capire se la sua vita aveva davvero intrapreso la giusta via o piuttosto necessitava di correzione.
Sarebbe tornata a casa per le vacanze, sua madre le avrebbe corso incontro non appena scesa dalla macchina, l'avrebbe abbracciata forte come solo una madre sa fare, avrebbe cenato con il nonno, la sua unica figura maschile in casa... certo ammesso fosse riuscita ad uscire viva da quella situazione.
Centoventi giorni... e siamo solo al terzo.
Decisamente prematuro pensare a tutto ciò.
Certo è ironico a volte come, quando immensi all'interno, il luoghi meno desiderati una volta lontani provochino un'attrazione tale da sentirne la mancanza.
Un ostacolo alla volta Faith! Un ostacolo alla volta!
Maglietta, jeans e scarpe basse.
Non si spese più di tanto sull'abbigliamento. Il grembiule del North avrebbe comunque coperto dalle spalle fino ad oltre il ginocchio... inutile sprecare tempo prezioso nella scelta dei vestiti.
A pensarci bene quello era stato il leitmotiv di tutta la sua vita.
Certo, scarpe da skater, tute e ampie felpe avevano lasciato il posto a ballerine, jeans attillati e maglioncini, camicette o magliette.
Il tempo insegna... ed anche le foto dell'adolescenza a volte fanno riflettere.
Se aveste visto gli annuari del liceo avreste notato una mingherlina ragazza, sempre in prima fila causa suo metro e sessanta di altezza, virare di abbigliamento negli anni come cambiano le vetrine nei centri commerciali.
Ovvio. Non fu repentino. Neppure indolore. C'è differenza tra un vestito a frange giallo a pois ed un tacco dodici.
In quell'ambito Faith comprese la frase: "Bisogna sbagliare prima di trovare la propria strada".
Se non altro per evitare di intraprendere gli stessi sbagli.
Ma comunque, Faith aveva trovato il suo sobrio ma raffinato stile che non sfigurava accanto alle altre ragazze.
Escludendo Savannah!
« Ragazzina! Vieni vestita così? » esclamò Harry in attesa sulla veranda alla destra della porta.
« Qualche problema, maniaco sessuale? »
« Ah no! Contenta tu, contenti tutti! Però si vede che non ci tieni proprio al tuo aspetto! »
« Ha parlato lui! Bella maglietta a proposito! Che c'è scritto? AC/DC? E cosa significherebbe? »
« T... tu davvero non conosci gli AC/DC? "Highway to hell"? "Thunderstruck"? »
« Sarebbero canzoni? »
Chissà per quale motivo, pur conoscendo perfettamente la risposta, Faith si ostinò a negarlo. Forse semplice voglia di prenderlo in giro, forse vendetta per lo scherzo subito o probabilmente perché quel rapporto così simpaticamente conflittuale le provocava intimi spasmi che la facevano sentire viva.
« Dio, aiutami! Sei davvero una bimba! » disse afferrando lo skateboard fino ad allora tenuto fermo sotto il suo piede.
« E io sarei la ragazzina? Non sei un po' cresciuto per lo skateboard? » incalzò Faith sempre più divertita e sorridente. Forse troppo sorridente.
Harry la studiò in un lungo secondo ricco di silenzio.
« Ho capito a che gioco stai giocando! Vuoi provocarmi! Sono abbastanza grande da capire quando mi si prende in giro... a differenza tua! »
Posò la tavola sul selciato e si spinse avanti veloce distanziando Faith.
« Ma dai! Aspetta Harry! »
« Ci vediamo a lavoro ragazzina! »
Tentò di corrergli dietro ma la leggera discesa della strada in direzione est lo aiutò a sparire velocemente sulla Main.
Ed ecco ulteriori "forse".
Forse aveva un po' esagerato. Forse iniziava a capire Harry. Il suo fare spavaldo era la maschera che nascondeva una profonda timidezza, una insicurezza talmente vistosa da rendersi palese al primo affondo e costringerlo alla fuga. Era un continuo oscillare tra mansuetudine e spavalderia. Più azzardava da un versante, maggiore era la compensazione dal lato opposto.
O forse la risposta era più semplice.
Forse semplicemente si divertiva a giocare con Faith, si esponeva quel tanto che bastava e quei pensieri e congetture che la mente, in quel momento, analizzava erano semplicemente la prova che stava riuscendo nel suo intento: lo stava pensando.
L'orologio digitale al polso di Faith segnava le nove.
Era ora di muoversi.
Un leggero strato di resina si era depositato sul tettuccio della Impala che giaceva inerme sotto quell'impiastro appiccicoso e lucido.
Avrebbe potuto usarla, ma il tempo di prendere le chiavi, metterla in moto, compiere il tragitto e parcheggiare sarebbe stato il medesimo che arrivare a piedi ed indossare l'uniforme.
Ciò che fece cinque minuti più tardi.

© G.

Angolo dell'autore:
Commentate, se vi va, consigliandomi come dovrebbe continuare o eventuali modifiche in modo da potervi offrire scritti sempre migliori. Grazie infinite a tutti!

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