Capitolo 2

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Inizio già a sentire l'astinenza da caffeina. Prendo un caffè al bar della scuola e mi rifugio in biblioteca. Entro e vedo la bibliotecaria intenta a mangiarsi le unghie delle mani tenendo gli occhi fissi sullo schermo del computer. Osservandola si avvicina molto allo stereotipo di bibliotecaria zitella: il maglione fatto a mano blu che fa a pugni con la bigiotteria eccessiva che porta al collo. I capelli, legati in una crocchia stretta, mostrano le prime ciocche bianche e sotto gli occhiali si celano molte rughe di espressione. Sembra quasi che mantenga un'espressione corrucciata tutto il tempo.

Dopo che io e Tommy siamo rimasti soli passiamo molto tempo a leggere insieme. Dato che è piccolo sono io a leggere, ma ogni tanto prova a capire anche lui il minestrone di lettere che si ritrova aprendo un libro. La passione della lettura ce l'ha passata nostro padre, ovviamente, ma ho ancora vaghi ricordi di mia madre che mi leggeva delle fiabe prima di andare a dormire. La maggior parte dei suoi ricordi l'ho rimossa, ma non riesco a dimenticare la sua voce mentre mi metteva a letto e mi augurava la buonanotte. Ho iniziato a cambiare carattere da quando da un giorno all'altro se n'è andata. Stavo tornando da scuola per la prima volta a piedi, ero così orgogliosa di andare da sola, ma entrando in casa lei non c'era. Mi ricordo benissimo il volto rigato di lacrime di mio padre. Un'espressione che non mi era così estranea siccome da quando i mei genitori hanno saputo che Tommy sarebbe arrivato, hanno iniziato a smettere di parlarsi. La mamma non c'era la maggior parte delle sere e aveva smesso di mettermi a letto. Quando se n'è andata è stato triste solo il primo giorno, poi nelle giornate seguenti non sentivamo granché la sua mancanza: eravamo abituati al suo non esserci. Ho iniziato a indurirmi a causa sua: in famiglia riuscivo ancora a stare bene, ma il mondo fuori da casa mia era insopportabile.

L'anno dopo mio padre è morto. Avevo dodici anni e non capivo, forse non volevo capire. Una sera sono andata a chiamarlo perché Tommy urlava troppo, ma non mi rispondeva. Era seduto sul divano, immobile. Ho chiamato aiuto e i medici mi hanno detto che aveva avuto un infarto. Mi hanno trattenuta per farmi domande sulla vita di mio padre, su parenti lontani che nemmeno conoscevo. In seguito ci hanno affidati a una zia di terzo grado, ma avendo una vita lontano da noi non è mai stata presente. Il primo ricordo che ho di lei è un abbraccio freddo e scocciato. "Sarà stato stressato dall'abbandono di tua madre, la amava tanto. È morto di troppo amore" mi ha detto prima di salire sul suo lussuoso suv verde. Da quel giorno si presenta una volta al mese per lasciarci qualche soldo e per occuparsi di scartoffie e spese varie. Ufficialmente viviamo e dipendiamo da lei, ma in realtà non la conosciamo nemmeno. Credo che si sia presa il disturbo di "occuparsi" di noi per qualche motivo economico: è una lontana parente di mia madre a cui non è mai interessato nulla della nostra vita.

Dopo l'ultima frase di mia zia, se posso chiamare così una donna che non ho mai conosciuto veramente, mi è sempre stato difficile affezionarmi. Non volevo legami per non rischiare di morire per il troppo amore, anche se era un concetto troppo lontano per capirlo fino in fondo. Con il passare degli anni non ho mai provato a relazionarmi con altre persone, le persone non potevano capire tutto quello che avevo passato, quindi non volevo che si avvicinassero a me o a mio fratello. Ho imparato a prendermi cura di lui: alzarsi presto la mattina, preparare colazione, portarlo all'asilo, cucinare pranzo, merenda e cena, le basi insomma.

Crescendo sono diventata la stronza che sono, ed è iniziato tutto a causa di mia madre. Perché se mio padre la amava troppo, lei non ci amava abbastanza e da quando l'ho capito, ho imparato a non amarla nemmeno io.

Passo davanti alla bibliotecaria che non mi nota e mi siedo nella sala più lontana da lei. Qualche mese fa ho trovato una serie fantasy di cui io e mio fratello ci siamo appassionati molto: pochi giorni fa abbiamo finito il terzo volume. Cerco il quarto e, proprio quando mi avvicino allo scaffale su cui è posato, un ragazzo mi taglia la strada facendomi sbattere il naso contro la sua spalla. Lui è più alto di me di almeno dieci centimetri, i capelli castani corti sono un po' mossi e gli occhi color nocciola. Rimango qualche istante a massaggiarmi il naso prima di alzare lo sguardo su di lui. Mi accorgo che è davvero molto bello. La maglietta a maniche corte attillata che indossa mette in risalto le spalle larghe e le braccia muscolose. Notandoli bene, gli occhi hanno delle striature dorate, ma non appena mi ricordo di averlo già visto mi sale un disprezzo incondizionato. È più grande di me e viene considerato da tutte le ragazze frivole come "il bello della scuola", che però, a contrario dei film adolescenziali, non ha una reputazione da Casanova, anzi. Può essere considerato un secchione e un ragazzo sempre in regola, ma la cosa che mi infastidisce di più è il modo in cui sfoggia i soldi dei genitori. Viene a scuola su un'auto di cui non sarei neanche capace di scrivere il prezzo e indossa solo abiti firmati. È un figlio di papà che riesco a non sopportare pur non conoscendolo.

<<Ti sei accorto che mi hai tagliato la strada vero?>> lo spintono leggermente per formi notare, dato che non dà alcun segno di avermi notata.

<<Oh, no, ehm... mi scusi>> dice arrossendo. Intanto guardo il libro che ha in mano e mi accorgo che è lo stesso che stavo cercando io.

<<Oh grazie>> fingo un sorriso e tento di strappargli il libro che ha in mano. Prontamente serra la presa e se lo porta dietro la schiena.

<<Cosa fa?>> non capisco perché continui a darmi del lei.

<<Prendo il libro che cercavo, ovviamente>>

<<Ma l'ho preso prima io>>

<<Ma non mi interessa>> rimane senza parole e strabuzza gli occhi <<Senti, non ho voglia di discutere adesso>> dico annoiata <<Lasciami quel libro e sparisci>>

<<Mi dispiace, ma anteporrei la mia lettura alla sua, dato che di fatto sono riuscito ad afferrarlo prima di lei. Mi scuso ancora per l'irruente scontro, ma sono di fretta>> strizzo gli occhi per concentrarmi perchè parla sottovoce e difficile: non capisco se parli così sul serio o se mi prenda in giro. Scoppia a ridere e riprende <<La sto prendendo in giro. Comunque mi dispiace se ti ho fatto male>>

<<Lei chi?>> lo prendo in giro di rimando. Mi guarda perplesso. Faccio un respiro profondo e continuo <<Non darmi del lei, principessa>> gli metto una mano in tasca e gli sfilo il telefono brutalmente. Rimane ancora con gli occhi sbarrati senza rispondere. Segno velocemente il mio numero sul suo cellulare sotto il nome "Ridammi il libro" e lo rimetto nella sua tasca. <<Leggi velocemente. Lo finisci. Mi chiami. Chiaro principessa?>>

<<C-certamente>> balbetta abbassando lo sguardo <<Sono Daniel, comunque>> me lo dice come se lo avesse appena ricordato <<Daniel James, 5°A>>.

Ti odio, ma ti amoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora