Capitolo 36

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Mi sento stupida in questo grosso atrio, già questo inverno sono venuta una volta per studiare, ma mi aveva aperto sua madre. Adesso sono sola in uno spazio troppo grande e luminoso. Se l'esterno è tradizionale e riservato, gli interni sono l'opposto. La casa è arredata molto elegantemente e con mobili moderni. Un televisore grande come uno schermo da stadio copre un'intera parete, e una sottile fila di led bianchi lo contorna. Il divano di pelle nera ad angolo posizionato è dall'altra parte della stanza rispetto al televisore. Una grande vetrata sulla mia sinistra illumina la stanza, mostrando anche un piccolo giardino in stile inglese.

Faccio un passo in avanti decisa a combattere la paura. Mi sembra di essere entrata nella "Casa di Marzapane" dei ricchi: bellissima, ma che nasconde un segreto. Per esempio, se sono da sola chi mi ha aperto? Per un attimo non mi preoccupo di cosa sono venuta a fare, ma solo del perché non c'è nessuno. E poi lo vedo. Appoggiato alla ringhiera della scala a chiocciola con le braccia incrociate. Ha un sorriso divertito sulle labbra. Alzo gli occhi al cielo e mi avvicino.

<<Ciao>> mi saluta scendendo l'ultimo scalino e andandosi a sedere sul divano.

<<Sei solo?>> tento di non incrociare il suo guardo. Intanto Daniel si sdraia affondando sul divano. Incrocia le braccia sopra la testa e mi guarda ancora sorridendo. Non mi risponde, ma in fondo è ovvio che sia solo. <<Ho visto Michael uscire>> inizio restando in piedi davanti a lui. Per un secondo la sua espressione divertita vacilla, ma torna a subito rilassato. Aspetto che dica qualcosa. Sbuffo e incrocio le braccia come una bambina. <<Allora?>> chiedo innervosita <<Hai intenzione di rimanere zitto?>> si siede composto e mi guarda dritto negli occhi.

<<Veramente sto ancora aspettando un saluto>> suggerisce sottovoce. Rimango con gli occhi sbarrati.

<<Cosa?>>

<<Ti ho salutato>> mi ricorda <<Tu hai iniziato a parlare di altro, ma non hai detto "ciao": non è molto educato...>>

<<Ciao>> sibilo a denti stretti.

<<Cosa posso fare per te?>> mi viene incontro <<Vuoi qualcosa da bere?>> so cosa sta facendo. Sta tentando di insegnarmi le buone maniere: salutare, fare i buoni padroni di casa...

<<Non voglio niente>> dico ad occhi chiusi sbuffando <<Ma dobbiamo parlare>> finalmente gli sparisce il sorriso dalla faccia e si incupisce. Fa un cenno verso il divano e ci sediamo uno di fronte all'altro. Mi tremano le mani e le blocco sotto le gambe per non farlo notare.

<<Senti, per quello che ho detto oggi a Collin, mi dispiace. È stato un po' esagerato>> inizia lui con mio grande sollievo.

<<Come lo conosci?>> chiedo sapendo già la risposta.

<<L'ho conosciuto anni fa quando ho incontrato tua madre>> ha lo sguardo perso nei ricordi. Le sfumature dorate dei suoi occhi sono spente come se stessero rivivendo un brutto momento <<E' stato lui a presentarmela>> s'interrompe un attimo a studiare la mia espressione <<Ma tu questo lo sapevi già>> deduce.

<<Lo immaginavo, ma avevo bisogno di sentirlo>> sento un pezzetto del mio cuore infrangersi. Sapeva chi era e mi ha lasciato andare con lui. Ignoro la fitta al petto e torno a guardarlo.

<<Perché hai detto di essere lei?>> lo vedo titubante e ho paura che non mi risponda. Si alza per poi tornare a sedersi più lontano da me. Un'altra fitta al cuore.

<<Dopo che tua madre è stata arrestata, per un certo periodo, sono andato a trovarla spesso. Non avevo granché da dirle. Provavo una rabbia così grande che rimanevo seduto davanti a lei senza riuscire a parlare. Non davo neanche tutta la colpa a lei per quello che è successo a mia sorella, ma proprio perché mi sentivo in colpa, provavo a riversare tutto su di lei. Io stavo zitto, ma tua madre parlava. Diceva di essere pentita, diceva che la morte di Sophie l'aveva sconvolta e le aveva fatto ricordare sua figlia. Non sapevo che ne avesse una fino a che non me l'ha raccontato in prigione. Continuavo ad andare da lei e stavo in silenzio ad ascoltarla parlare della famiglia che aveva perso: sia la tua sia quella formata da tutti i ragazzi del suo giro. Pensava di averli lasciati da soli e si sentiva in colpa. Mi chiedeva di stargli vicino perché avevano bisogno di una figura che li guidasse. Non so neanche perché, ma lo feci. Iniziai a fare da tramite tra lei i ragazzi, ma decisi che le cose dovevano cambiare e lo dissi anche a tua madre. Ho iniziato ad aiutarli per davvero: li ho spinti a riprendere a studiare, ho aiutato coloro che me lo permettevano a smettere con la droga, Collin non mi ha mai voluto ascoltare. Aiutavo quei ragazzi a studiare e da quel momento ho capito che insegnare è la mia passione>> fa un respiro profondo e riprende <<L'ultima volta che l'ho vista mi ha chiesto di cercarti. Voleva che ti trovassi per scusarsi. Provavo ancora troppa rabbia per farle quel favore, ma le ho promesso che se un giorno sarebbe uscita e avesse messo la testa a posto, l'avrei aiutata a cercarti>> un altro pezzo del mio cuore si sgretola sentendo queste ultime parole.

Ti odio, ma ti amoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora