Mi giro in continuazione nel letto, non riesco a dormire, ho come la sensazione di essere sdraiata su un giaciglio scomodo fatto di sassi.
I pensieri mi danno il tormento come un'eco continuo che rimbomba all'infinito contro il cranio e gridassero forte senza darmi pace.
Apro gli occhi stanchi, sbuffo nervosa e irritata scalcio le lenzuola, urlo come un'isterica pazza per liberarmi della stoffa accaldata e i tormenti, nel buio che ancora avvolge la stanza.
Decido di alzarmi, tanto è inutile tentare ancora di dormire, non riuscirei a riposare in queste condizioni.
Mi siedo sul bordo del letto passandomi lentamente le mani nei capelli ma non basta questo gesto per liberarmi la mente.
Sembra passata un'eternità da quando è uscito infuriato sbattendo la porta e mi ha lasciata sola, dopo l'ennesima discussione.
Non è ancora rientrato e anche il senso di colpa scende in campo e mi attanaglia il petto.
Non so per quanto tempo riuscirò a starmene ancora qui a rimuginare sull'accaduto ma una cosa è certa: sono stanca, stufa di tutto questo.
Mi alzo svogliatamente e sospiro, mi stropiccio gli occhi e lentamente mi dirigo in cucina trascinando i piedi nudi e questo fardello che mi opprime le tempie.
Arriccio il naso appena scorgo le luci dei lampioni del giardino che filtrano lievi attraverso le lamelle della persiana e illuminano la stanza, quel tanto da permettermi di vedere dove poggio i piedi e sospiro ancora.
Prendo un bicchiere dal pensile e lo riempio fissando l'acqua che scorre e mi perdo ancora in quei pensieri, senza riuscire a dare un senso logico ai suoi comportamenti irrazionali.
«Ma che... Uhm... Oddio.» Chiudo il rubinetto, la mano infreddolita dall'acqua mi fa capire che sono troppo immersa in qualcosa di stantio che si ripete troppo spesso ultimamente e dovrei essere abituata e distaccata, non dovrei dargli peso.
Ma nonostante tutto, cerco sempre di comprendere e giustificare, forse perché semplicemente continuo ad amarlo.
Dò un'occhiata veloce all'orologio sulla parete, bevo un sorso d'acqua che neanche mi va e mi asciugo le mani rassegnata scuotendo la testa.
"Sono le tre passate, dove si sarà cacciato?" Mi siedo al tavolo di fronte a me, non riesco proprio a lasciar perdere neanche stavolta e mi mordicchio un'unghia, sono preoccupata per lui.
Mi alzo di nuovo inconsapevolevole dei miei gesti e riprendo il bicchiere dal lavandino, osservo accigliata il liquido trasparente e immobile, vorrei che fosse facile poter semplicemente affogarci dentro tutto e ricominciare da zero.
Lo fisso ancora e ancora come se potesse illuminarmi, darmi risposte che non coprano più i suoi cambiamenti d'umore repentini e le sue azioni, una ragione che mi dia la forza per dire 'basta!', ma niente. Vuoto il bicchiere nel lavandino e l'acqua scivola veloce nello scarico lasciando goccioline sparse sull'acciaio come i dubbi aggrappati al mio cervello che lo corrodono lentamente.
Lo lascio sul mobile, mi siedo e riprendo a mordicchiarmi l'unghia.
Sono così preoccupata per la brutta piega che ha preso la discussione che abbiamo avuto dopo cena, nata soltanto perché ero troppo stanca per uscire.
Mi ha proposto di passare la serata in un locale ma, dopo una giornata estenuante a lavoro, non sarei stata di buona compagnia.
Mi passo una mano tremante sul collo per l'agitazione che sale ripensando alla sua assurda reazione, alle parole allusive sulla mia stanchezza dovuta ad altro.
Ha urlato come un pazzo quando ho cercato di fargli capire che si sbagliava poi è uscito di corsa lasciandomi stupita, a scervellarmi per trovare un motivo valido alla sua irritazione.
"Non ha creduto che stessi lavorando nel pomeriggio. Perché? Cos'è che lo ha fatto dubitare? Sono sempre stata chiusa in negozio." Sbuffo sonoramente per tentare di calmarmi, lancio un urlo nervosa.
Sposto la mano alla fronte stringendola un pò come se quel gesto bastasse a cancellare i pensieri martellanti e picchietto isterica le dita sul tavolo.
La porta si apre improvvisamente e sussulto, intravedo la sua mano che tiene la chiave, sospiro quasi sollevata.
Si accorge di me e mi fassa per qualche istante, poi entra lentamente, chiudendo piano la porta alle sue spalle.
Noto solo dopo il suo viso sconvolto, i miei pensieri tacciono impauriti. D'istinto mi alzo in fretta e gli vado incontro per parlargli, ma mi guarda di sbiego, punta gli occhi rossi e lucidi nei miei come per fulminarmi, poi abbassa lo sguardo.
«Ben... E-ero preoccupata... Io...» Si volta come se non ci fossi, mi sorpassa indifferente e deduco che non gli è ancora passata.
Un groppo mi si forma in gola e mi mordo il labbro per cercare un modo per farlo parlare con me.
Mi giro di scatto, provo a fermarlo toccandogli il braccio, mentre va lentamente verso la porta del corridoio, ma mi scansa con uno strattone.
Non mi arrendo, ho bisogno di chiarire questa strana situazione tra noi, stringo i pugni per farmi coraggio, ma anche per non piangere.
«Aspetta!» Grido, mentre il petto mi va su e giù frenetico per l'agitazione, ma m'ignora ancora, pensavo si fosse calmato in tutto quel tempo che è stato fuori casa.
Di colpo, però, si ferma, un barlume di speranza fa capolino tra i miei battiti divenuti sempre più irregolari.
"Si volterà, parleremo civilmente e capirà che le sue fantasie sono andate troppo oltre l'immaginazione."
Lascia cadere la cartella che ha in mano e si volta lentamente verso di me, ma i suoi occhi sembrano infuocati, il suo viso ora è teso.
«Vorresti parlare? Di cosa vuoi parlare ancora?» La sua voce stridula e il suo sguardo collerico, bruciano del tutto la mia speranza.
«Io non ho fatto niente di ciò che credi e lo sai. Sono stata tutto il giorno a lavoro e... » La mia voce trema insicura, ma vorrei che mi credesse.
«Non hai fatto niente?» Chiede stizzito e mi guarda con gli occhi ridotti a due fessure.
«Sei una puttana!» Grida schifato, gli occhi gli si riempiono d'ira, mentre rimango di sasso e senza fiato.
«Cosa? No, Ben! Come puoi pensare una cosa del genere di me? Non è come credi.» Arranco con poca voce, il nodo stringe forte alla gola, mentre tento di spiegare la verità.
«Non è come credo, eh? Ho visto come vi guardavate! Ti si strusciava addosso, mentre vi abbracciavate!» Si avvicina lentamente, fulminandomi con lo sguardo.
«Ma che stai dicendo, Ben?» Lo guardo attonita.
«Ti ha baciata!» Urla avvicinandosi sempre di più, gesticolando platealmente e i lineamenti del suo viso cambiano a tal punto da intimorirmi.
«Stai... Stai parlando di Henry? Oh mio Dio, Ben!» Sorrido flebilmente per aver capito a cosa si riferisce.
«Stai scherzando, vero? Henry è soltanto un caro amico d'infanzia che è passato a trovarmi. Sono passati anni dall'ultima volta che ci siamo visti, eravamo ragazzini. E poi ha comprato dei fiori per il compleanno della moglie. Non puoi aver creduto che... » Scuoto lentamente la testa, ma la sua espressione non migliora, anzi, la sua risata amara mi ferisce.
«Pensi che io mi beva le tue stronzate, eh?» Il tono è duro.
«Ben, ti prego, credimi.» Cerco di addolcire il tono per calmarlo, ma al contrario, irrigidisce la mascella e respira affannato dal naso.
«Cosa ti sta succedendo, Ben? Mi conosci, non potrei mai tradirti.» Uso un tono pacato, ma nascondo disperazione.
Gli accarezzo lentamente il braccio, sperando cambi atteggiamento, poi avvicino le mani al suo petto e lo supplico con lo sguardo.
«Bugiarda!» Urla sempre più adirato a pochi centimetri dal mio viso.
Il forte odore di alcool mi riempie prepotentemente le narici, mi rendo conto che ha bevuto parecchio e indietreggio allarmata, ma non basta per evitare il forte colpo che m'infligge in pieno viso, perdo l'equilibrio e cado a terra.
Non ho più parole, l'unica cosa che sento è il forte dolore che mi stordisce, soprattutto quello che mi attanaglia lo stomaco, che mi turba per il gesto violento e inaspettato.
Il suo atteggiamento è diverso, più duro del solito, non era mai arrivato a tanto.
Lo guardo sbalordita, con le lacrime che scendono senza tregua, lui respira con affanno e mi fissa accigliato.
Quasi senza fiato, mi tengo la guancia che pulsa, mentre un rivolo di sangue cola lentamente dal lato del mio labbro, fino al mento e scoppio a piangere incredula.
«Non azzardarti ad aprire di nuovo quella cazzo di fogna, altrimenti ti massacro! Puttana!» Non ho il coraggio di reagire alle sue minacce, ma neanche la forza di farlo, per l'assurdità delle sue accuse infondate.
Continua ad urlarmi contro parole offensive, ma non lo ascolto più, il dolore ha il sopravvento sul resto.
Non è in se, non lo riconosco più ed ho paura anche solo di respirare davanti a lui.
Ad un tratto si gira e dà un calcio al vaso di vetro vicino alla porta, che si frantuma come la mia anima e mi lascia sola, tremante a terra.
Chiudo gli occhi e mi sfogo singhiozzando, Ben non era mai stato così violento, neanche con le parole, il suo tormento lo ha cambiato del tutto.
La mente si rifugia altrove, stranamente mi riporta a quando lo conobbi qualche anno fa e avevo appena iniziato a lavorare nel negozio di fiori di mio zio Bob.
Era un ragazzo brillante, aveva tante idee e progetti per il lavoro e il futuro, era così entusiasta della vita, tanto da farmi tornare a sorridere.
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Oltre la mente [In Revisione]
FantasyCos'è che spinge una persona ad amare? Ciò che vediamo, tocchiamo, la presenza tangibile di un corpo, il viso, le mani, la pelle... la reale esistenza di un'altra persona che ci sorride e ci sfiora, che ci guarda negli occhi e ci bacia? Non è una...