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Sono passate da poco le sette del mattino quando finalmente metto piede in una sontuosa camera del Beverly Wilshire, inondata dai timidi raggi del mattino che mi sembrano all'istante una sorta di perfetto promemoria della giornata meravigliosa che sarà oggi.

Sedendomi sull'enorme letto matrimoniale, coperto da un copriletto immacolatamente bianco, lancio uno sguardo alla città che piano piano si sta risvegliando, mentre libero con fare distratto i miei piedi da un paio di scarpe sportive che non sapevo nemmeno di avere ancora.

Potrei restare per tutta la mattinata a bearmi in questo paradiso a cinque stelle, che i Roberts hanno deciso di pagare, immagino piuttosto profumatamente, per noi. Tuttavia, come dice sempre Ryan, in questo momento il tempo è oro, e ogni secondo che passa va sfruttato al massimo.
Perciò, piuttosto a malincuore, mi affretto a disfare la valigia e a tirare fuori un tubino color rosa pastello, ringraziando il cielo quando scopro che non sia affatto stropicciato come mi aspettavo- malgrado io abbia avuto giusto il tempo di infilarci le prime cose che mi sono capitate sottomano, senza fare un minimo di attenzione, né tantomeno piegarle con cura.
Dopodiché, con la velocità della luce, mi libero dai vestiti, lasciandogli cadere sul pavimento lucidato a regola d'arte per poi precipitarmi nel bagno adiacente.

Nel vedere l'enorme vasca da bagno, sospiro sconfitta per la consapevolezza che sicuramente questo non sia il momento più adatto per rilassarmi grazie ad un lungo bagno, intriso di un bagnoschiuma aromatico. Con la faccia di un cucciolo appena ferito, mi fiondo nella cabina della doccia, talmente grande da poter accogliere una squadra di calcio.
E dopo aver battuto il mio record personale di "doccia-più-veloce-del-secolo", avvolta in un morbido asciugamano, mi affretto a ritornare nella stanza, dove il mio telefono ha preso a squillare incessantemente.

"Che c'è?" Rispondo malamente, aggrottando la fronte alla vista del nome "Ryan" sul display.
"Oh oh, qualcuno continua ad essere di pessimo umore." Constata l'uomo, ricordandomi il fatto che è fin da quando abbiamo calpestato il suolo dell'aeroporto che continuo ad essere scontrosa. "Ce la fai a prepararti entro un'ora, o hai bisogno di più tempo? Dobbiamo andare al tribunale il prima possibile."
"Cosa vorresti insinuare?" Lo interrogo, mantenendo un pizzico di indignazione nella voce. "Solo perché sono una donna non dovrei essere in grado di prepararmi in fretta? Certo che ne sono capace." Affermo stizzita, mettendo fine alla chiamata ancor prima che il povero Ryan abbia il tempo di giustificarsi.

Fondamentalmente, per quanto mi riguarda, non posso dire che la sua insinuazione sia del tutto infondata. Fatto sta che sono estremamente stanca e stremata da ogni sorta di forza per via della mancanza di sonno, cosa che mi rende alquanto irascibile e pronta a controbattere ad ogni cosa che mi viene detta.
E così ora mi trovo ad affrontare una sfida che mi sono lanciata da sola, pur sapendo che quando si tratta del make-up e capelli, non sono esattamente la persona più veloce del mondo...anzi, i miei ritmi sono penosamente lenti.

Tuttavia, per qualche miracolo voluto da qualche divinità che ha una particolare predilezione nei miei confronti, un'ora più tardi i miei capelli sono perfettamente lisci, un trucco leggero è stato applicato sul mio viso che, grazie al cielo, ha assunto un aria meno sconvolta e il tubino mi fascia perfettamente il corpo, conferendomi un aspetto quasi maturo.

"Vuoi ammaliare il giudice?" Mi chiede Ryan, posandomi tra le mani un bicchiere di caffè d'asporto fumante e pronto a calmare un po' i miei nervi.
"Non ricorrerei mai a trucchetti talmente ingiusti." Ribatto con aria solenne, sorridendo a quella sorta di complimento implicito. "Non pensi che avrei dovuto vestirmi in modo più sobrio?"
"No, la cosa bella di te è proprio il fatto che non hai paura di mostrare la tua femminilità in un campo dove le donne si sforzano di essere simili agli uomini." Dice, sorprendendomi oltremisura. Dopodiché, abbozzando un sorriso dall'aria vaga, mi aiuta a salire in una delle due Jeep nere, con i vetri oscurati, parcheggiate di fronte all'ingresso del Beverly Wilshire.

"Dove sono Emily e Jason?" Chiedo, abbassando la voce, per non disturbare quell'omone che fa da autista, il cui profilo mi incute nient'altro che paura.
"Nell'altra macchina." Mi risponde prontamente Ryan, ridacchiando per il modo in cui mi sono sporta nella sua direzione, quasi come se gli stessi per dire un segreto di Stato.
"E perché non ci siamo limitati a prendere un taxi?" Continuo, strisciando leggermente più vicino a lui sul sedile posteriore.
"Perché i Roberts vogliono assicurarsi che arriveremo vivi e vegeti." Risponde, imitando il mio tono di voce, per poi mettere un braccio intorno alle mie spalle con fare rassicurante.
"Mhhh." Borbotto, mettendo su un leggero broncio. "Come sono paranoici!"

Una volta arrivati al tribunale, per il nostro disappunto, notiamo già i giornalisti appostati sulle scale che precedono l'enorme edificio, e le nostre speranze che la notizia non si sia ancora diffusa vengono brutalmente spazzate via. Per fortuna però, quello che penso sia il procuratore, li sta tenendo abbastanza occupati da permetterci di passare inosservati mentre sgattaioliamo via e ci addentriamo nel tribunale.

Qualche minuto più tardi, anche quest'ultimo fa il suo ingresso e mi sorprendo nel vedere Rayn affrettarsi ad abbracciarlo come se fossero due vecchi amici, mentre io mi guardo intorno in cerca di Jason e Emily, che si sono come dissolti nel nulla.

"Darril, vecchio mio!" Esclama Ryan, dando qualche pacca sulla spalla dell'uomo che lo guarda come se avesse visto un fantasma.
"Che diavolo ci fai qui, Ryan?" Gli chiede il suo interlocutore, mostrando apertamente tutta la confidenza che 'è tra di loro. "New York non ti vuole più?"
"New York mi vuole più che mai." Ribatte il mio capo, mettendo in mostra il suo sorriso bianchissimo. "Indovina un po' con chi ti scontrerai oggi.."
"Non dirmi che sei tu il difensore di Ian Roberts!" Esclama il procuratore, lasciandosi scappare una risata incredula. "E questa bellissima e giovane donna chi è? Credo sia un po' troppo giovane perché sia la tua fidanzata." Prosegue, prendendolo in giro bonariamente.
"E' il mio asso nella manica." Afferma Ryan, per poi cercare di attirare la mia attenzione, in modo da presentarmi ufficialmente al procuratore. "Darril, lei è Diana Edwin."
Tendendo la mano nella direzione dell'uomo e aspettando che imiti il mio gesto, mi stupisco quando egli, invece, si porta la mia mano alla bocca e vi lascia un piccolo bacio sul dorso, riuscendo a farmi arrossire leggermente.

"Parlando di cose serie..." Inizia Ryan, assumendo un tono estremamente solenne. "Che prove hai contro il mio cliente? Ti ricordo che sei obbligato a condividerle con la difesa."
"Amico, mi ferisce sapere che dubiti della mia etica professionale." Continua a scherzare il procuratore. "In realtà le uniche prove che abbiamo a suo carico riguardano il fatto che si sia trovato magicamente a Los Angeles quando i due omicidi sono avvenuti e che sia andato alle stesse feste frequentate dalle vittime."
"Mi prendi per il culo? E questo per te dovrebbe essere un motivo valido per incriminarlo?" Sbotta Ryan, perdendo in un batter d'occhio quella pazienza che solitamente lo caratterizza.
"Non è stata una mia decisione." Si difende il suo amico di vecchia data, alzando la mano verso l'alto in un gesto alquanto vago,ma che capisco che per Ryan ha un suo perché.

Difatti, mentre , più tardi, stiamo entrando nell'aula del tribunale, egli mi spiega che quel gesto ambiguo, che ai miei occhi non ha avuto alcun senso,rappresenta nient'altro che un modo per farci capire che apparentemente qualcuno ai piani alti sta facendo di tutto perché Ian venga messo al tappetto.
Inutile dire che questo fa aumentare a dismisura il nervosismo e la pressione che sento sulle spalle. E il fatto che la famiglia Roberts si trovi nell'aula, affiancati da Emily e Jason, che credevo scomparsi, di certo non è di gran aiuto.

"Eccolo..." Sussurra Ryan, indicandomi una porta secondaria da dove vedo comparire Ian, in manette, accompagnato da una guardia che lo tiene d'occhio come un'avvoltoio fa con la sua preda.
Ha l'aspetto di chi è stato sottoposto ad un continuo interrogatorio a ritmi quasi disumani, con la sua camicia sbottonata fino a metà del petto, sporca di qualche macchiolina di sangue, e le maniche arrotolate fino ai gomiti. Inoltre, la perfezione del suo volto è leggermente offuscata da un vivido taglio sul labbro e un paio di lividi sul mento. Stranamente però, malgrado sia stato rinchiuso per tutta la notte, il suo profumo è ancora forte e fresco e mi inonda i sensi non appena egli si piazza al mio fianco.

Parecchie volte mi ritrovo a sentirmi addosso il suo sguardo freddo, ma non ho mai il coraggio di ricambiare e guardarlo direttamente negli occhi, limitandomi ad osservare i movimenti con cui cerca di massaggiarsi i polsi indolenziti, mentre io prego Dio che il giudice arrivi il prima possibile.

Baci dal sapore del sangue || Ian SomerhalderDove le storie prendono vita. Scoprilo ora