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Il suo commento così sgarbato, che non ha fatto altro che lasciar trapelare la sua gelosia, fa nascere in me il desiderio di poter trovare il coraggio per urlargli in faccia il fatto che non abbia alcun diritto di comportarsi come se fosse sbagliato anche solo sorridere ad un altro uomo in sua presenza. Ma essendo consapevole che questo vorrebbe dire cadere stupidamente nella sua trappola, preferisco ignorarlo e dedicare la mia totale attenzione al modo in cui i poliziotti proseguono con la perquisizione.

Ma considerando la tranquillità con cui egli osserva il tutto, suppongo all'istante che non ci sia niente per cui io debba preoccuparmi. E i miei sospetti presto vengono confermati quando uno dei quattro poliziotti, sfilandosi i guanti di lattice con fare esasperato, informa il detective sul fallimento di questo ennesimo tentativo di trovare qualcosa che tenga in piedi la loro debole accusa.

Dal canto mio, non posso che rilasciare un lungo sospiro di sollievo, pensando di essere libera di tornare da Debby e dare inizio alla serata pianificata nei minimi dettagli da lei. Eppure, persino quando i poliziotti abbandonano l'attico, dove ormai c'è solo un gran caos, Ian non sembra disposto a lasciarmi andare senza un ultimo confronto.
Ed afferrandomi per il polso, mi impedisce di continuare la mia veloce avanzata verso la porta.

"Perché te ne sei andata?" Mi chiede di punto in bianco, quasi come se avesse sognato un sacco di tempo il momento in cui avrebbe potuto rivolgermi questa domanda. Ma io non ho la stessa prontezza nel rispondergli, e benché mi ritrovi ad aprire e chiudere la bocca un paio di volte, le risposte restano incatenate nella mia testa, e la sua rabbia cresce a dismisura ogni secondo che passa.
"Non hai ritenuto che mi meritassi di essere avvertito?" Prosegue, aumentando la stretta sul mio polso.
"Ian, mi fai male." Gli faccio notare, sforzandomi di mantenere un tono ragionevolmente basso. Però il mio stato di apparente calma non fa che infastidirlo ancora di più.

La stretta sul mio polso diventa man mano più blanda, finché esso viene del tutto liberato, eppure i suoi occhi diventano sempre più maligni, mentre mi guardano con un tale odio da far rabbrividire ogni fibra del mio essere, al momento segretamente spaventato.

Sento che è questione di secondi prima che una tempesta si abbatta su di me, distruggendomi completamente. O almeno è questa l'impressione che ho restando immobile sotto il suo sguardo carico di risentimenti, in attesa di sentire ancora una sua prossima sentenza.

"O volevi semplicemente ferirmi?" Chiede ancora, rilasciando una risata dispregiativa. "Oh si, è così. Volevi ferirmi."
"Volevo prendermi una pausa da te...e tutte le tue bugie." Ammetto finalmente, sentendo immediatamente un senso di sollievo. "Ero semplicemente stanca di rincorrere la verità."
"Perciò, hai deciso di punirmi per averti mentita." Constata, sogghignado in modo maligno. "Sei tanto bella quanto ipocrita. E no, tu non sei come tutti gli altri, oh no, sei perfino molto peggio di loro."
"Ian..." Provo ad interromperlo invano.
Ormai capisco di non poter più raggiungere in alcun modo la sua mente, né tantomeno il suo cuore. E questa sorta di impotenza mi fa stranamente male, tanto da voler rifugiarmi da qualche parte e abbandonarmi ad un pianto silenzioso, nella speranza che questa sensazione di forte malessere se ne vada per sempre.

"Mi sento fottuttamente stupido per aver voluto costruire qualcosa insieme a te. Sei solo una bambina capricciosa ed egoista." Infierisce ancora, indietreggiando di qualche passo, come se la mia vicinanza fosse diventata improvvisamente troppo da sopportare per lui.
"Avresti dovuto essere sincero con me." Sussurro, con un groppo in gola che minaccia di trasformarsi in vere e proprie lacrime da un momento all'altro.
"Si, avrei potuto. Eppure ho commesso l'errore di lasciar prevalere i sentimenti sulla ragione." Risponde, scuotendo la testa in segno di disapprovazione. "Se avessi pensato di più al rischio di passare tutta la vita in carcere, piuttosto che pensare ogni santo secondo a te, sarei stato più sincero."
"Mi hai ammagliato, piccola strega." Prosegue ancora, passandosi la mano attraverso i suoi folti capelli neri. "Fortunatamente però, mentre ero nel tuo letto e mi struggevo per l'impossibilità di raggiungerti, ho capito di che razza di stronza me ne stavo innamorando. Ed ho aperto gli occhi. Ho capito che a te non importa nient'altro che del successo che questo caso ti porterà. Non ti fanno male le mie bugie, ma la paura di perdere. Non ti importa un cazzo di me."

Le sue parole mi colpiscono in pieno viso, soprattutto perché nella mia testa inizia a vagare immediatamente il pensiero che io possa aver avuto l'imprudenza di fargli pensare una tale sciocchezza. Forse a forza di cercare di tenere le distanze, per paura di giocare troppo col fuoco, ho perso di vista ciò che lui avrebbe pensato di me.

O forse, semplicemente, le sue parole mi fanno talmente male da indurmi a incolpare me stessa anche per la più piccola incomprensione. Dentro di me, è come se sentissi il bisogno di chiedergli scusa anche solo per far ritornare la pace tra di noi.

Ma non sono abbastanza lucida da riuscire a decidere in una manciata di secondi se mi sento pronta a lasciar perdere il mio orgoglio o lasciare perdere Ian. E questa mia lentezza serve solo a far crescere a dismisura la sua avversione nei miei confronti.

"Ma non temere, Diana. D'ora in poi potrai curarti solo del tuo obiettivo: vincere questo cazzo di processo." Conclude con un sorrisetto tirato. "Pensa a fare solo il tuo stramaledetto lavoro e ...vattene!"
"Sei ingiusto!" Esclamo, e la voce mi si spezza in un modo davvero patetico.
"Vattene!" Ripete, dandomi le spalle.

Ci vuole un po' prima che il mio cervello afferri il suo ordine. Ed è per questo che per un po' resto a guardarlo mentre cammina lentamente avanti e indietro nell'ampio salotto, come se fosse un'anima in pena, alle prese con una forte incertezza.
Eppure, in realtà, mi sembra che egli sia lontano dall'essere pieno di dubbi e incertezze. Al contrario, è stato piuttosto risoluto nel cacciarmi via, senza voler sentire alcuna ragione.

E sebbene il mio primo impulso sia quello di non prendere in considerazione la sua richiesta, non mi lascio dominare dal mio lato più impulsivo e irragionevole, e do ascolto al mio subconscio, che ultimamente sta diventando sempre più attivo.

Cambierebbe qualcosa se io restassi ancora con lui, confidandogli tutte le paure che mi hanno portata a prendere tale decisione? Probabilmente no. Egli sembra aver tirato ormai le proprie somme, perciò, nell'intento di cercare di fargli cambiare idea, finirei soltanto per umiliarmi e calpestare il mio stesso orgoglio.

"Perché sei qui fuori?" Chiedo a Debby, quando le porte dell'ascensore si aprono e la scorgo mentre si mangiucchia le unghie dipinte di un vivido rosso.
"Ho sentito urlare Ian..." Inizia, guardandomi con un'aria preoccupata. "Quindi, immagino abbiate litigato."
"Non la chiamerei litigata." Mi sforzo di ironizzare, intimandola affinché rientri in casa. "Non mi è stato dato il tempo di dire niente."
"Spiegati meglio." Mi dice la mia amica, seguendo ogni mio passo. E io, invece di lanciarmi in una lunga spiegazione, prendendo una grande boccata d'aria, preferisco fare finta di essere estremamente impegnata nel ritrovare le chiavi e cercare una piccola pochette che si abbini al mio tubino rosa confetto.
Ma, molte volte, il silenzio in sé rappresenta una risposta ancora più forte di mille parole messe insieme. Perciò, sono fermamente convinta che la mia cara amica abbia capito più di quanto io avrei potuto esprimere a parole.

"Dammi le chiavi." Mi dice in tono risoluto. "Stasera guido io."
"Perché? Sono perfettamente in grado di guidare." Rispondo, alzando il mento in modo fiero.
"Non ho mai detto che tu non sia in grado di farlo." Ribatte Debby, sottraendomi le chiavi con delicatezza. "Forse non sei dell'umore giusto."
"Ho visto una donna uscire dalla sua stanza da letto." Butto fuori senza pensarci due volte, come se volessi liberarmi da questo peso. "Non credevo mi potesse dare così fastidio. Bruciavo di gelosia."
"Non ci credo." Risponde la mia amica, come se fosse perfettamente normale saltare da un argomento all'altro nel giro di qualche secondo. "Tu, Diana Edwin, non hai mai provato questo sentimento in vita tua."
"Lo so." Concordo, con fare esasperato. "E' stato sconvolgente."
"Ma è stato utile, non credi?" Mi chiede, assumendo improvvisamente un tono serio. "E mi auguro che nella tua testolina abbia preso a circolare l'idea che quest'uomo non sia affatto adatto a te. Dimentica tutto quello che ti ho detto ieri. Chiunque riesca a sostituirti così velocemente con una donna qualunque, evidentemente non è in grado di capirti fino in fondo."

Baci dal sapore del sangue || Ian SomerhalderDove le storie prendono vita. Scoprilo ora