Il fine settimana imminente si nota dai numerosi sorrisi dei miei coetanei all'uscita da scuola e dai professori che sgattaiolano verso le proprie auto, di corsa.
Gli ultimi due giorni sono stati impegnativi e produttivi al tempo stesso, grazie al progetto. "Grazie" è ovviamente un modo di dire: ormai sogno palazzi verdi e oggetti di ogni tipo durante la notte.
Non ho parlato molto con gli altri ragazzi a scuola, a parte Ilaria, fedele nel suo posto vicino a me. Leonardo ieri era anche assente, chissà per quale motivo. Del resto, non sempre c'è l'obbligo di frequenza.
Solo questa mattina ci siamo riuniti per dare uno sguardo ai nostri lavori e devo ammettere di avere dei compagni ben istruiti, che sono già a metà dell'opera. Io, invece, tanto preoccupata di dover scovare un palazzo verde nei meandri più isolati della città, sono riuscita a trovarne uno ancor più bello ieri pomeriggio. Ne ho fotografato uno poco distante dal centro città, denominato il bosco verticale, famoso per i suoi arbusti e alberi ad alto fusto, distribuiti sull'intero imponente palazzo. Una combinazione tra ambiente urbano e naturalistico, che riprendendolo da vicino ha soddisfatto il mio occhio. Manca solo lo scatto minimalista e la mia opera sarà al completo, anche se al momento le mie idee sono nulle.
Esco dal sottopassaggio della metro e vedo Leonardo seduto su una panchina all'ombra, dall'altro lato della strada, intento a fumare una sigaretta mentre si guarda distrattamente attorno. L'aria misteriosa che lo distingue dagli altri passanti è intrigante. Il suo viso non lascia trasparire emozioni, rendendo impossibile riuscire a capire i suoi pensieri.
Mentre quasi mi incanto guardandolo, come una bambina alla sua prima cotta, vengo colta in flagrante. Mi fa cenno con una mano, mentre rilascia una nuvola di fumo dalle labbra e ricambio il saluto. Si alza per raggiungermi, lanciando il mozzicone della sigaretta in un tombino con uno schiocco di dita esperto, mentre io spero mi cada la terra da sotto i piedi per riuscire a sprofondare abbastanza da nascondermi.
«Ehi, Sofia.»
«Ciao...» Il mio è un sussurro a voce mozzata, più che un saluto.
Mi guarda dritta negli occhi e non posso fare altro che sentire l'intensità del suo sguardo, che si sposta pian piano lungo tutto il mio corpo, come se lo stesse studiando. Perché la mia temperatura corporea sembra essere aumentata di almeno venti gradi?
Non ho mai avuto un fisico di cui andare fiera: le mie curve, seppur definite, mi hanno sempre fatta sentire in imbarazzo sotto gli sguardi attenti degli altri. Se parliamo di autostima, non rientra nel mio vocabolario.
«Non voglio rubarti molto tempo. Solo... volevo congratularmi con te per lo scatto del progetto, si vede che è nel tuo stile» afferma, tornando a guardarmi negli occhi sorridente. E che sorriso, diamine!
«Oh, non ti preoccupare, non mi disturbi... cioè, non ho i minuti contati, ecco. Comunque grazie, mi fa piacere che qualcuno lo apprezzi.»
«I tuoi scatti sono più apprezzati di quel che pensi. Beh, ti lascio andare, a lunedì, Sofia.»
Ricambio il saluto e lo guardo mentre si allontana, cercando un senso alla sua ultima frase. Cosa intendeva? Probabilmente, sono solo la solita paranoica.
"Come sempre, mia cara!" interviene la mia coscienza, a cui non posso negare la ragione.
***
Finalmente a casa torno a respirare regolarmente: tra l'attrezzatura su una spalla, lo zaino su entrambe e gli incontri ravvicinati, non so quale mi turbi maggiormente. Probabilmente, la quarta opzione è la più preoccupante: l'orario. Sono già le tre del pomeriggio.
Ispeziono l'appartamento con lo sguardo e mi accorgo del caos che ho accumulato in questi giorni: piatti da lavare in stile torre di Pisa, vestiti accumulati sulla sedia, specchi impolverati dalla mia stessa cipria. Non posso fare vedere l'appartamento ai miei genitori in queste condizioni, se voglio evitare i commenti di mia madre. Devo darmi una mossa e trovare una soluzione veloce, tra due ore saranno qui.
Mi infilo i guanti, come solo una vera casalinga professionista farebbe, e inizio a riempire la piccola lavastoviglie incastrando piatto per piatto, bicchiere per bicchiere, in modo che non rimanga fuori nulla. Questo aggeggio è la mia salvezza, mi farà risparmiare mezz'ora. Ammesso che riesca a farlo partire.
Corro in soggiorno e spolvero il televisore, assieme alle piccole mensole, mentre spero non venga notato il sottile velo di polvere creatosi sulla libreria, essendo coperta dai miei romanzi. Sposto i vestiti dalla sedia al cestone della biancheria sporca senza nemmeno guardarli, consapevole che non avrò più molto da indossare finché non mi deciderò a fare una lavatrice.
Avrei potuto nascondere tutto sotto il letto come se nulla fosse, ma probabilmente mia madre avrebbe guardato anche lì.
La vita ci insegna che l'importante non è l'apparenza, ma al momento essa è tutto ciò su cui posso contare.
Sento il campanello suonare e immagino siano arrivati, anche se avevo chiesto loro di non suonare: quel suono è odioso!
«Chi è?» chiedo al citofono.
«Salve, sono il corriere, ho un pacco per lei.»
Non aspettavo nessun pacco... a meno che io non abbia ordinato una pizza senza accorgermene. Non sarebbe la prima volta.
Scendo le scale, curiosa, firmo il documento del ritiro e fisso il cartone.
«Sicuro che è per me?» chiedo conferma.
«Si, l'indirizzo e il nominativo combaciano. Arrivederci.»
Rimango lì, sorpresa e vedo i miei genitori parcheggiare di fronte a casa: la vena curiosa scalpita, ma dovrà aspettare.
«Sofia!» esclama mia madre.
«Ciao! Sono felice di vedervi» affermo, mentre corre ad abbracciarmi.
«Ci sei mancata.»
Mia madre, Jessica, è sempre solare ed elegante. Sembra una ragazzina nel suo abito bianco, lungo fin sopra le ginocchia, con delle rifiniture in pizzo di un azzurro pastello sulle spalle. I suoi capelli biondi e ricci le cadono liberi lungo la schiena, mentre i suoi occhi verdi smeraldo mi guardano con tutto l'amore che possono. È sempre stata di una bellezza fresca e naturale, anche se io da lei non ho preso poi molto.
«Uh, che caldo fa in questa città!» esclama mio padre.
«Ciao papà! Beh, anche tu potevi metterti una maglia a mezze maniche, al posto della camicia nera, eh!»
Mi sorride e viene ad abbracciarmi anche lui, con la sua solita simpatia spontanea. È abituato, lavorando a contatto con persone sempre nuove. Claudio e io siamo una fotocopia: ha i capelli di un castano scuro e gli occhi color nocciola come i miei, l'unico dettaglio che ci differenzia è il modo di vestire. Lui è sempre elegante nei suoi abiti da lavoro e fuori. Indossa una camicia nera, abbinata a una giacca grigia e un paio di jeans blu, quello che per lui è un abbigliamento da tempo libero. Io, nel mio tempo libero, ancora bene se tolgo il pigiama.
«Allora, tesoro, come stai? Come ti trovi in accademia?» si rivolge a me, in tono più serio.
«Tutto bene, papà. È molto impegnativa, ma meravigliosa e spero di uscirne con dei buoni voti.»
«Bene. Che ne dite di andare a bere qualcosa di fresco?» propone.
«Claudio, io però vorrei prima vedere dove vive la nostra Sofia, se non ti spiace. Sono curiosa, lo sai!» interviene Jessica.
«Posso farvelo vedere anche più tardi, a cena. Prendiamo tre pizze e mangiamo da me. Che ne dite? Cucinerei anche, ma sapete che sono una frana!» chiedo. Loro mi guardano gioiosi, soprattutto mia madre, che adora la pizza.
«Perfetto! Allora andiamo a prenderci questo caffè gelato, che è una bellissima giornata per stare fuori» conclude Claudio.
Ci avviamo a piedi verso il bar, che si trova a pochi metri da casa mia. Non ci sono ancora stata, ma ho notato di passaggio dei bei tavolini all'ombra.
È proprio una bella giornata: il sole splende caldo, circondato da qualche nuvola bianca e le persone che amo di più al mondo sono qui, al mio fianco.
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Caffè, amore e fotografia (Completa)
ChickLitSofia è una ventunenne romana con il grande sogno di diventare una fotografa professionista. Decisa a realizzarlo, si è da poco trasferita a Milano per studiare in una delle migliori accademie d'arte Italiana. Ricominciare da capo, da solitaria in u...