Capitolo 16 - Notizie inattese

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Leonardo

La voce di mia sorella echeggia dall'altra stanza. «Leonardo, diamine, deciditi ad alzarti da quel letto e uscire!»

Sono chiuso tra queste quattro dannate mura da tre giorni, non presentandomi nemmeno in accademia. Il cellulare giace spento sulla scrivania da mercoledì, dal momento in cui tornato a casa l'ho lanciato lì, preso dalla disperazione.

Mi sento un codardo per aver escluso dalla mia vita l'unico spiraglio di luce dopo un anno di completo buio. Dopo aver allontanato l'unica persona che potrebbe curare ogni mia ferita, ma che al tempo stesso potrebbe renderla ancora più profonda.

Sofia è così particolare nei suoi capelli blu, mentre prende il caffè al bar pensando di non essere notata. Mentre durante la lezione è intenta a scrivere sulla sua piccola agenda, quando il resto della classe è invasa dalla tecnologia. O ancora, mentre la guardo e abbassa gli occhi, come se non fosse mai stata guardata davvero, come se nessuno avesse mai sfiorato quelle gote che arrossiscono a ogni piccola attenzione. Tanto ingenua quanto bella.

Non le ho dato il tempo di fare del male nemmeno a lei stessa, andandomene ancor prima di iniziare... qualcosa. Una frequentazione, un affetto, un amore, qualcosa. Perchè qualcosa c'è stato, tra noi, ma non posso permettermi di capire cosa.

Ancora più codardo sono a pensare che me la toglierò dalla testa continuando a starmene rinchiuso qui, strimpellando con la chitarra accordi inesistenti di canzoni che se fosse presente le dedicherei.

Ma probabilmente ora si starà divertendo, magari con un bel ragazzo che le offre da bere al bar mentre io sono già sparito dalla sua vita. Al solo pensiero di lei accanto a uno che non sono io, stringo alcune corde della chitarra, rischiando di rovinarle. Eppure, me lo meriterei.

Non riuscendo a capire da che parte stare, se da quella del mio cervello vuoto o del mio cuore fin troppo carico di sentimenti repressi, stufo dei pensieri che fanno a botte decido di ascoltare Giulia e finalmente uscire.

C'è un cielo meraviglioso mentre si tinge dei colori del tramonto, che in un altro momento avrei fotografato, ma che ora ho solo voglia di evitare a testa china.

Entro nel bar in cui lavoro e in cui mi sono dato per malato i giorni scorsi, deciso a tornarci domani in divisa.

«Qual buon vento! Allora, passato il dolore al ginocchio?» chiede il titolare, sorridendo.

«Certo, passato. Domani torno, a che ora?» chiedo.

«Prenditi pure la domenica, non ti preoccupare. Ti offro da bere, le delusioni da ragazzo le ho avute anche io.»

Spalanco gli occhi, incredulo, anche se dovevo aspettarmelo. Al vecchio in questione non scappa nulla e sono felice di avere un capo così permissivo. Se fosse stato diverso, mi avrebbe licenziato in tronco e non lo avrei nemmeno biasimato.

«Non ti sei bevuto la storia del ginocchio, insomma. Scusa, non succederà più. Così dicendo trangugio d'un fiato il bicchierino di Jack Daniel's che mi porge.

«Nessun problema. Sei giovane, hai voglia di lavorare, non hai mai saltato un turno. Possono capitare a tutti dei brutti periodi. La prossima volta, però, inventane un'altra» conclude, facendomi l'occhiolino e dirigendosi a un tavolo con delle birre in mano.

«Matteo, una birra media, per favore» mi rivolgo all'altro barista, intento a riordinare alcune tazzine.

Ha la mia stessa età, anche lui lavora per mantenersi gli studi all'università di non so quale indirizzo. Vive molto con la testa tra le nuvole, come me, ma è il mio esatto opposto esteticamente. I suoi capelli sono corti e rossicci, curati come la folta barba che porta sul viso, e gli occhi sono neri, senza alcuna sfumatura più chiara. È piuttosto alto e muscoloso, il fisico ben scolpito da vero palestrato. Un gigante buono, per così dire.

Non abbiamo mai parlato molto, solo le solite ordinazioni frettolose e i saluti di convenienza tra semplici colleghi.

D'altra parte, non sono mai stato disposto a stringere amicizia, ancor meno dopo aver avuto amici falsi finiti poi in gattabuia. Sono uscito da quel giro di idioti non appena ho scoperto che spacciavano e continuavano a chiedermi soldi invece che affetto, non volendo nemmeno farsi aiutare. Nonostante i loro difetti, li avrei spalleggiati se avessero deciso di disintossicarsi, sostenuti e tirati fuori da quel baratro che porta solo alla malattia. Eppure, mi hanno sbattuto la porta in faccia mille volte, senza volerne mai più sapere.

Io, con quella gente, non voglio averci a che fare. Amicizie malate, di convenienza non fanno per me, così per la prima volta nella vita sono stato io ad abbandonare qualcuno.

Eppure riuscivo ad attirare solo gente problematica, allora ho preferito rimanere nel mio baratro solitario, anche se ora avrei quasi bisogno di un buon amico.

Uno di quegli amici rari, che ti consigliano cosa fare in questi momenti, quando tutto va male. Che ti offrono una birra, ti danno una pacca sulla spalla e sembra andare tutto meglio, anche se poi non è così, ma almeno non sei solo. Non ho mai avuto la fortuna di vivere un'amicizia così sincera.

Matteo mi passa la birra e sembra quasi voler conversare.

«Ti vedo più cupo del solito, problemi? Non hai mai toccato una birra qui dentro» osserva.

«Beh, ero sul posto di lavoro. Tutto a posto, tutto passa» rispondo, non troppo convinto.

«Chi è la stronza che ti fa stare così?»

Mi innervosisco all'appellativo. «Non chiamarla così» esclamo. «Sono io il problema» concludo acido, finendo la birra ancora a metà in un sorso.

«Tranquillo, non volevo offenderti. Non posso saperlo, di solito sono le donne a far soffrire» dice, per poi sparire dietro la porta d'entrata, noncurante.

Forse capisco perché non riesco ad avere nessun amico. Se continuo a trattare chiunque nomini Sofia in questo modo, rimarrò solo a vita, senza lei compresa.

Esco facendo un cenno di saluto al titolare, prima che l'alcol si impossessi di me.

L'ultima volta che ho bevuto troppo mi sono svegliato al mattino con una donna nel letto che non amavo e Giulia incazzata nera per aver rimesso sullo zerbino di casa. La nausea continuò tutto il giorno sia per chi avevo nel letto, per gli alcolici ancora in circolo e per una donna che se ne era andata una settimana prima con il suo maledetto studio.

La stessa donna che anche chilometri di distanza riesce a rovinarmi ancora l'esistenza.

***

Accolgo la domenica sempre con un certo ribrezzo, oggi ancor più del solito.

Mi consolo mentre raggiungo la cucina allo scoccare delle nove, guidato da un certo languorino nel sentire profumo di dolce. Mia sorella la domenica è solita preparare una colazione molto abbondante per entrambi, come fossimo in hotel. Lo fa da quando ero bambino ed è uno dei pochi ricordi positivi della mia infanzia.

La tavola è apparecchiata. Un cornetto strabordante di Nutella è nel mio piatto, yogurt con frutta fresca, fette biscottate con marmellata e burro, caffè latte fumante richiamano la mia attenzione. Probabilmente, è l'unica nota positiva di questa giornata.

Un sonoro «Buongiorno depresso!» da parte di Giulia mi da la giusta carica per partire con il piede sbagliato. In tutta risposta le do un piccolo buffetto dietro la testa e dopo qualche lamento inizia a mangiare.

«Non vorrei rovinarti la giornata, ma fossi in te darei un'occhiata alla prima pagina del giornale, dopo la colazione» dice lei, finendo il suo cornetto e guardandomi di sbieco.

«Non mi è mai interessato il gossip, dovresti saperlo» le rispondo, mentre bevo un sorso di caffè.

«Nessun gossip, è una cosa seria e penso ti interesserà. Beh, io esco, anche se vorrei assistere alla tua faccia mentre leggerai. Vedi di non distruggere la casa, ciao!» Esce sbattendo la porta alla velocità della luce.

Non capisco tutta questa fretta: che reazione dovrei avere? Cosa mai potrebbe esserci scritto di mio interesse su un giornale di cui non ricordo nemmeno il nome?

Preso dalla curiosità afferro il quotidiano, dando un'occhiata veloce a titoli che non attirano la mia attenzione. Poi la vedo. Lascio cadere la tazza dalle mani e il contenuto viene rovesciato sul tavolo, mentre un senso di ribrezzo prende il sopravvento.

Non può essere.

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