Leonardo
Mi dirigo verso la metro a passo veloce. Giulia mi sta aspettando già da mezz'ora, probabilmente. Quando cala la notte, qui sotto, è come entrare in un buco nero: i pochi pendolari presenti sono talmente presi dalle loro cartacce da non distogliervi lo sguardo nemmeno un secondo e il resto delle persone, solitamente, sono poco raccomandabili.
Avrei dovuto ritirarmi nel pomeriggio e raggiungere casa il prima possibile, soprattutto per cambiarmi, ma l'ambiente familiare creatosi con i genitori di Sofia ha fatto passare le ore senza che io me ne accorgessi. Da quando la conosco, non passa più giorno in cui io non sorrida, anche nelle situazioni che per lei potrebbero essere imbarazzanti, come quella di oggi. Mi piace l'idea di aver conosciuto un altro piccolo e importante pezzo della sua vita passando del tempo con loro.
Jessica e Claudio sembrano due persone meravigliose, semplici, che farebbero di tutto pur di vedere la loro unica figlia felice. Ciò lo dimostra il fatto che, quando mi ha presentato a loro, hanno accettato la nostra relazione, invitandomi a rimanere come se mi conoscessero già. Spero, un giorno, di essere la stessa persona che suo padre è per lei, verso i miei figli. Sofia, sicuramente, sarà la madre che ognuno vorrebbe, su ciò non ho alcun dubbio.
Prendo posto in un vagone semivuoto e mi perdo tra le note degli Evanescence, che non ascoltavo da una vita.
Ogni viaggio in metro mi rende partecipe del tempo che scorre tra questi sedili, potendo osservare da vicino scene interessanti per fotografie simili, ma sempre differenti tra loro. Se avessi portato con me la macchina fotografica avrei ripreso, in bianco e nero, l'uomo alla mia destra intento a firmare fogli di carta intrisi di parole o, a colori, il vagone vuoto alla mia sinistra caratterizzato dalla scarsa illuminazione fredda, data da un neon non funzionante.
Mi torna in mente la fotografia di Sofia pubblicata sul suo sito personale, che ho osservato per giorni ed è stata scattata proprio in questa tratta; la stessa in cui l'ho incontrata ogni giorno, ignara della mia esistenza. Sorrido ai ricordi che rivivo con piacere, pur preferendo il presente nella nostra quotidianità.
Giungo a destinazione, perdendo quasi la fermata. Il buio regna sovrano e l'atmosfera è inquietante per chi non è abituato a viaggiare nelle ore notturne; una stazione fantasma, ormai isolata e il tabellone elettronico che segna le otto e mezza.
Mi dirigo verso il freddo pungente dell'autunno che trovo all'uscita, notando un viso familiare. Lo guardo, scarno e con l'andatura traballante di chi è costantemente sotto effetto di alcol e Marijuana.
Paolo, lo stesso ragazzo ormai venticinquenne di qualche tempo fa, che quando gli ho teso la mano per aiutarlo a uscire da quella situazione, mi ha allontanato dal gruppo mostrandomi, per giunta, il dito medio. Gli ho voluto bene, ma essere il capo gruppo e sballarsi, per lui, è più divertente di realizzarsi e io, con quella gente, non voglio più averci a che fare.
Non ho idea di che fine abbiano fatto gli altri ragazzi della mia vecchia compagnia, ma ora è affiancato da due uomini che non ho mai visto e, a giudicare dall'aria severa sui loro visi, conducono la stessa vita vuota e priva di sogni. Una vita di merda.
Decido di cambiare strada per raggiungere mia sorella, ma, prima di arrivare all'angolo, mi sento chiamare.
«Non si salutano più gli amici, Leonardo?» Lo riconosco velocemente. Decido di voltarmi, non per salutarlo di buon grado, ma per evitare situazioni scomode.
«Ciao» dico, semplicemente. Si avvicina affiancato dai due visi truci, come se fossero una gang pronta al confronto.
«Non ti si vede da un po' in giro, non vieni neanche più a trovarmi» afferma. Stringo i pugni a quell'affermazione, cercando di trattenermi con le parole. La loro vicinanza, sempre maggiore, non mi rende facile mantenere la calma.
«Mi hai allontanato tu, ricordi?» chiedo, mantenendo un tono neutrale.
«Mi conveniva, non servivi a nulla nel nostro gruppo. I santarellini non fanno per noi» afferma, fiero. Sembra una scena da palcoscenico preparata a dovere: gli scagnozzi che sghignazzano e Paolo sotto i riflettori, accompagnati da odori poco gradevoli provenienti dall'alito e nasi arrossati. Non si tratta più di un semplice spinello.
«Beh, io vado, ho un impegno da santarellino» taglio corto, cercando di allontanarmi il più possibile. L'aria sta iniziando a essere pesante, oltre al mio evidente ritardo.
«Ehi, fermo. Non mi avevi per caso proposto il tuo aiuto? Ora puoi darmelo.»
Il battito cardiaco accelera alla sua affermazione, questa volta per la paura che cerco di non dare a vedere. Dovevo decisamente tornare nel pomeriggio, quando ancora il quartiere era pieno di passanti.
«Cosa vuoi?»
«I tuoi soldi, sai, sono sempre a corto. E magari anche quella bella camicia. Dove vai così elegante?»
«Questi non sono affari tuoi» affermo. Tiro fuori gli unici venti euro che mi sono rimasti da ieri e glieli porgo, sperando di non vederlo mai più. «È tutto quello che ho in tasca, fatteli bastare. Ora devo andare.»
«Svuota quelle cazzo di tasche prima che ti prenda a pugni. Abbiamo bisogno della dose, cosa vuoi che me ne faccia di venti euro?» Sghignazza. Mi strattona il braccio e mi fissa minaccioso, come se il suo problema fosse mio.
«Non ti sei fatto aiutare come e quando dovevi, come ti paghi quella roba non è un mio problema» rispondo acido. «Lasciami, o va a finire male.»
«Voglio proprio vedere.» Ghigna. Senza che io me ne accorga, i due omoni mi prendono le braccia e lui cerca di guardare nelle mie tasche. «Oh, ma guarda cosa abbiamo qui. Che bella ragazza, è la tua?» afferma ironico, guardando lo schermo del mio cellulare in cui siamo presenti io e Sofia.
«Non ti deve interessare, non guardarla nemmeno. Lasciatemi, cazzo!» urlo divincolandomi, nella speranza che qualcuno mi senta. Ma ormai è troppo tardi.
Mi arriva uno schiaffo in pieno viso. Preso dalla rabbia, cerco di divincolarmi dalla loro stretta, ma è troppo decisa. Uso le loro braccia possenti da leva e tiro un calcio a Paolo, dritto nella pancia. Si piega in due dal dolore e loro mi mollano, sferrandomi un calcio sulla schiena, che mi fa cadere a pancia in giù. Per un attimo mi manca il respiro, ma devo recuperare quel dannato telefono o potrebbero appropriarsi di ciò che riguarda Sofia. Solo l'idea che possano avere il suo numero, mi terrorizza: lei non deve saperne nulla di questa gente del cazzo.
«Grazie per il calcio e anche per il cellulare. Magari trovo qualche foto interessante da guardare... o qualcuno da portarmi direttamente a letto!» Ride di gusto. Il suo tono perverso mi inquieta più del dolore che provo.
«Stronzo!» sussurro, ansimante. Cerco di rialzarmi, di reagire, ma quando mi giro sento solamente una forte oppressione sulle tempie.
Un calcio dritto in pieno viso, dei lampeggianti blu che si avvicinano e, dopo ciò, solo il vuoto.
STAI LEGGENDO
Caffè, amore e fotografia (Completa)
ChickLitSofia è una ventunenne romana con il grande sogno di diventare una fotografa professionista. Decisa a realizzarlo, si è da poco trasferita a Milano per studiare in una delle migliori accademie d'arte Italiana. Ricominciare da capo, da solitaria in u...