Capitolo 37 - Sono qui per te

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Quando sono riuscita a prendere finalmente sonno, ieri sera, ho pensato di svegliarmi da single e con un destino già scritto, fatto di gatti e romanzi deprimenti. Trovare poi il mio ragazzo in un letto d'ospedale non era certo in programma, ma finché posso ancora godere del suo sorriso sereno il resto può solo migliorare.

Passerei ore intere a osservarlo anche in questa stanza asettica, che di bello non ha nulla se non lui, ma i miei genitori mi aspettano a pranzo, prima di partire nuovamente per Roma. 

«Tesoro, io devo raggiungere i miei. Va bene se torno tra qualche ora?» chiedo, rivolgendomi a Leonardo. 

«Certo, anzi, se vuoi ci vediamo direttamente domani, tanto torno a casa. Goditi la giornata con loro» risponde tranquillo. 

«Beh, ecco, io pensavo... magari potrei passare la notte qui, farti compagnia» propongo, leggermente titubante. 

«Così magari la tua sorellina va anche a casa, a dormire nel proprio letto e ti lascia in dolce compagnia» interviene Giulia ironica, rivolgendomi uno sguardo compiaciuto. 

«Guardate che non ho bisogno della balia, ancora. Ma Sofia, se vuoi tornare, nel letto ci stiamo anche in due» risponde, facendomi l'occhiolino. Per un attimo di puro egoismo, i dolori di Leonardo diventano il mio ultimo pensiero, sostituiti da scene poco consone a un ospedale. 

«Birbantelli, come direbbero i miei genitori» esclama Ilaria, facendo ridere tutti e arrossire me. «Comunque dai, Sofia, ti accompagniamo al tuo pranzo. Beh, Leo, tu e Marco immagino vi sentirete nei prossimi giorni. Facci sapere come stai» afferma, dirigendosi verso l'uscita della stanza. 

«Certo che ci sentiremo, sono curioso di sapere come si dorme bene in questi letti» afferma il ragazzo, accentuando la parola "dormire". Se la frase ha un altro senso, non sono sicura di volerlo conoscere. 

Alzo gli occhi al cielo e lascio un bacio sulle labbra di Leonardo, con la promessa di tornare a cena con una pizza fumante per due. Ovviamente, di nascosto dai medici. 

***

Raggiungo i miei genitori, già seduti all'interno del ristorante sotto casa mia, consapevole di essere in ritardo. «Scusate, Leonardo ha avuto un incidente e sono stata in ospedale» mi giustifico.

Jessica e Claudio mi fissano interrogativi, distogliendo lo sguardo dal tavolo. «Cosa è successo?» chiede mia madre. 

«Da quel che ho capito tre ragazzi lo hanno aggredito ieri sera, mentre raggiungeva la sorella. Ma purtroppo non abbiamo ancora avuto modo di parlarne molto, ha detto che mi deve spiegare alcune cose. L'importante per me è che stia bene, tutto qua» spiego, accomodandomi. 

«Tesoro, dovevi rimanere con lui. Noi tra poche ore torniamo a casa e avrà bisogno di te» afferma mia madre, comprensiva. 

«Non ti preoccupare, sua sorella starà con lui finché non torno in ospedale e andrà tutto bene. Volevo passare un po' di tempo con voi e anche lui era d'accordo.»

«Sofia, noi ti vogliamo bene, questo lo sai. Io probabilmente ti adoro più di quanto un qualsiasi altro uomo possa fare. Ma...» inizia mio padre, con voce profonda. «Anche Leonardo ti vuole sicuramente un gran bene, l'ho osservato per l'intera giornata, ieri.» 

Lo guardo senza comprendere il discorso. «Ciò che tuo padre vuole dire è che a volte, nella vita, devi essere in grado di gestire gli imprevisti, perché credimi, ne accadono tanti» interviene mia madre, ma ancora non capisco. 

«Sai, quando ieri ti ho visto con lui, non mi sono ingelosito, mi sono sentito tranquillo. Perché so che hai incontrato una persona che ti rispetta e che, credimi, ti farebbe da scudo con il proprio corpo se dovessero tentare di accoltellarti, come farei io» ironizza. «Certo, l'ho resa un po' tragica, ma ciò che voglio dirti...» continua, stringendomi la mano, mentre a mia madre luccicano gli occhi. «è che il tuo futuro è qui, fisicamente lontano da noi.»

«Non capisco ancora dove volete arrivare» dico, confusa. 

«Quando ci racconti dei tuoi viaggi, delle tue fotografie, dei nuovi amici, di lui, sei bellissima. Non credo di averti mai vista così lucente, negli anni. Sei cresciuta, hai cambiato totalmente vita, migliorandola, realizzando i tuoi sogni e noi siamo già fieri di te» afferma Jessica, con le lacrime agli occhi. «Ci saremo sempre per te, anche a trecento chilometri da qui, ma devi andare da lui e godere di tutto ciò che passerete assieme. Amarsi è anche questo, rimanere vicini nei momenti peggiori e lasciare che tutto il resto del mondo venga messo in secondo piano. È giusto così.»

«Perché mi state dicendo tutto questo proprio ora?»

«Aspettavamo il momento giusto, quello in cui la nostra bambina sarebbe diventata una donna senza il nostro aiuto.»

Li guardo, realizzando solo in questo momento che il passato che a me è sembrato felice, non è stato altro che un assaggio del mondo esterno. La solitudine, la gioia di un nuovo libro da sfogliare, le prime fotografie scattate casualmente, i viaggi fatti obbligatoriamente, non erano altro che un approccio alla vita, perché nella realtà c'è di più. Sono circondata da persone che mi comprendono, mi fanno sorridere e che, senza volerlo, hanno migliorato il mio futuro. 

«Quindi...»

«Quindi, torna da lui e fagli sentire che ci sei» afferma mia madre.

«Però prima passa a prendergli una pizza, il cibo negli ospedali è immangiabile!» esclama mio padre, sorridente. «Ci vediamo presto, tesoro.» 

Li abbraccio entrambi, prima di dirigermi verso la metro.

Se spesso le nostre famiglie ci fanno dannare, altrettante volte ci aprono gli occhi sulla realtà; quella che prevede il nostro futuro da costruire in piena libertà, dove tutto ciò che si impara ad amare è reale e non più solo un racconto tratto dai nostri racconti preferiti.

***

«Come mai già di ritorno?» mi chiede Giulia, appena entro nella stanza. 

«Ho pensato di portarvi il pranzo! Un uccellino mi ha detto che qui cucinano malissimo» esclamo, ironica. Leonardo scuote la testa, sorridente, fissando i cartoni della pizza. 

«Sei gentile, ma io ne approfitto per raggiungere il mio ragazzo, a questo punto. Mi porta a teatro questa sera e sono impresentabile» risponde lei. 

«Ah, allora qualcosa di buono, nella vita, lo fa» ironizza il mio ragazzo. Lo guardo di sbieco con sua sorella, che poco dopo scoppia a ridere. 

«L'apparenza inganna, Leo» controbatte. «Sofia, è stato un piacere conoscerti. Qualche volta vieni da noi, così magari mio fratello smette di strimpellare con la chitarra anche a notte fonda.»

Lui ride sotto i baffi, arrossendo lievemente. «In effetti devo ancora sentirlo suonare» affermo curiosa. Un altro lato di lui che ancora non conosco è la musica, senza contare il suo gusto personale in fatto di canzoni. Non me ne ha mai parlato molto e mi chiedo fino a che punto sia importante per lui. 

Mi accomodo al suo fianco, sulla poltroncina imbottita, porgendogli il cartone della pizza sul letto. Se entrasse un'infermiera probabilmente non sarebbe troppo contenta delle lenzuola unte, ma poco importa, al momento. 

Addentiamo le pizze in silenzio, lui sembra non mangiare da giorni, un po' come me quando io entro in un fast food.

«Se ti va, puoi raccontarmi quello che è successo?» chiedo, speranzosa. 

Sposta i cartoni mettendoli a lato del letto, poi prende le mie mani e se le porta in grembo. Mi guarda con aria afflitta, di chi ne ha passate tante, ma combattivo fino al midollo. «Se non ti dispiace, mi piacerebbe raccontarti tutto dal principio» confessa. 

Gli stringo le mani e gli do un lieve bacio dolce sulle nocche, mentre la flebile luce che filtra dalla finestra illumina i suoi smeraldi, carichi di lacrime mai lasciate scorrere. «Sono qui per te.»

Caffè, amore e fotografia (Completa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora