Capitolo cinque

242 16 7
                                    

Brooklyn's point of view

A pranzo non ho mangiato quasi niente e nemmeno a cena. Come potevo? Ho lo stomaco chiuso dai sensi di colpa, perché oggi pomeriggio Castiel non si è fatto vedere e sono certo di essere la causa. Sono stato un po' nel paddock con Wamblee, incapace di concentrarmi per far lezione, e poi sono tornato a casa con la scusa di avere dei compiti da fare.

Qualcuno bussa sullo stipite della mia camera.

- Brook? - mi chiama mia sorella, senza entrare. - Stai bene? C'è qualcosa che ti turba? Non è da te mangiare così poco.

Mi mordo il labbro inferiore, distogliendo lo sguardo dal suo e abbassando il capo. Viene a sedersi sul letto, accanto a me, e mi accarezza gentilmente una spalla.

- Cosa c'è che non va? - chiede dolcemente. - Castiel ha ripreso a trattarti sgarbatamente?

- N-no... - deglutisco, percependo un nodo alla gola. - Però... però...

Tentenno. Come faccio a dirglielo? Non mi sembra giusto nei confronti di Castiel. Ho già tradito la sua fiducia una volta.

- C-castiel mi ha detto... una cosa, una cosa importante per lui. E io... io... gli ho detto che era una scemenza! Che non esisteva! - confesso, percependo il cuore stringersi. - Ho pensato solo a come vedo le cose io! E lui... lui è andato via piangendo e questo pomeriggio non è venuto ed è tutta colpa mia! Ho sbagliato, lo so, e adesso non mi parlerà mai più!

Tiro su col naso, serrando gli occhi per non piangere. Mi sento così in colpa.

- Oh fratellino - sospira mia sorella, cingendomi le spalle con un braccio e stringendomi a sé. - Hai sbagliato e lo ammetti. Questo è il primo passo. Il secondo è chiedere scusa. Probabilmente Castiel non accetterà le tue scuse, non subito. Abbi pazienza.

Nascondo il viso nell'incavo del suo collo, nel caso dovessero sfuggirmi delle lacrime ribelli. La sua mano s'infila tra i miei ricci.

- Ti senti meglio? - bisbiglia. Emetto un suono senza alcun particolare significato. - Brook, non ho intenzione di lasciarti andare a dormire con un peso sullo stomaco. Sfogati, butta fuori tutto.

Ciò che mi esce è un singhiozzo assai rumoroso. Bella mormora qualcosa che non afferro, ma suona come: bravo, bravo il mio cespuglietto.

- Disturbo? - odo ad un tratto Leya sussurrare. Credo che Bella le risponda di no, perché anche lei si aggiunge all'abbraccio. - Va tutto bene, Brooklyn. Va tuuutto bene.

La sua presenza allevia un poco la mia disperazione. E poi, man mano che le lacrime mi rigano il viso, allo stesso modo il mio senso di colpa svanisce quasi completamente, diventando un pallido promemoria del fatto che devo, no, voglio assolutamente chiedere scusa a Castiel.

~~~

Castiel riprende ad ignorarmi, m'ignora per una settimana. Non ride più quando Will mi prende in giro, non mi saluta più, non ricambia i miei complimenti quando durante gli allenamenti facciamo qualcosa di particolarmente difficile.

Ammetto che mi manca, e ammettere che mi manca significa anche accettare il fatto che mi sono affezionato più del previsto.

- Castiel... - lo chiamo, mentre striglia Shining Tears e io mi occupo di Wamblee. Nessuna risposta. - Puoi ascoltarmi un secondo?

Ancora silenzio, si odono solo i cavalli nei box che sbuffano e mangiano ed emettono brevi e sommessi nitriti.

- Mi dispiace - dico, cercando i suoi occhi azzurri. Che non trovo, perché non mi guarda. - Mi dispiace davvero! Ti chiedo scusa.

Si ferma per un istante, io spero che replichi qualcosa, anche solo che mi mandi al diavolo un'altra volta. Niente.

- Hai tutte le ragioni ad essere arrabbiato con me! Castiel, ti prego... ho sbagliato. Non avevo alcun diritto di dirti che... che come ti senti non esiste. Non ce l'ho nemmeno adesso. Ma ti prego... ti prego... se non so qualcosa, istruiscimi! - esclamo, supplicante. Per fortuna a quest'ora siamo sempre gli unici nella scuderia.

Sospira. Un lungo, sonoro sospiro. La sua chioma variopinta sparisce all'interno del box e io intuisco che si è seduto. Lo raggiungo, sedendomi accanto a lui.

- Fino a qualche anno fa - esordisce - credevo di essere l'unica persona al mondo a... sentirmi così. Di essere io strano. Poi, grazie a internet, ho scoperto di non essere solo. Ad avere un'identità di genere fluida. Genderfluid.

Fingo di capire, tuttavia devo averlo scritto in faccia che sono perplesso. Sospira di nuovo.

- Come ti ho già detto... a volte sono un ragazzo. A volte una ragazza. Ogni tanto entrambi o nessuno dei due. Non è una cosa che decido e non lo faccio per moda. È... come mi sento. È la persona che sento di essere.

- Okay - mormoro, prendendomi del tempo per assimilare la cosa. Non capisco perché ho reagito così. A pensarci... il mondo è bello perché è vario. - Castiel, è... figo.

- Scemo. Non è figo. È come se ti dicessi che è figo che ti identifichi come un ragazzo.

- Io... scusa - mormoro, imbarazzato, passandomi una mano fra i ricci. - Mi ci vorrà un po' per abituarmici.

Mi poggia la testa sulla spalla e io deglutisco, percependo il cuore battere più forte.

- Quando... quando sei una ragazza... devo parlarti al femminile, vero? - domando, dubbioso. Ride sommessamente, facendomi sentire ancora più goffo e stupido.

- Sì. Di solito chiedo alle persone di chiamarmi Cas, anche.

- E... e quando ti senti entrambi? O nessuno dei due?

- Va bene il maschile.

Stavolta sono io a sospirare.

- Ti prego, rimproverami se sbaglio.

- Va bene - replica pacatamente. Non oso muovermi per paura che si sposti.

- Cas... tiel - inizio, incerto, ma lui non mi corregge. - Mi dispiace tanto per quello che ho detto l'altro giorno.

- Non fa niente - mormora. - Ci sono abituato, sai?

- Ma questo non lo rende okay - ribatto, dispiaciuto. - I tuoi genitori come l'hanno presa, se posso?

- Mio padre ha più o meno accettato la cosa. Sua moglie si rifiuta di rispettare la mia identità, però mi tratta abbastanza indifferentemente, quindi non è un problema.

Non oso chiedergli di sua madre, temendo di essere troppo invadente.

- Mia madre è lassù, col Signore - dice, leggendomi nel pensiero. Sospira piano. - Ma tanto c'è Shine con me...

- Castiel... posso farti una domanda?

- Non mi hai chiesto il permesso per le altre ottanta, perché ora sì?

Avvampo. Ha ragione.

- Ti ho visto montare Sunny Day. L'ho montato anch'io, tempo fa. È il cavallo più esuberante che esista, sul campo da ostacoli... come riesci a farti obbedire così, a mantenerlo tranquillo?

- Non lo so - risponde, stringendosi nelle spalle. Percepisco una fitta di delusione perché ha tolto il capo dalla mia spalla. - Non ho alcun trucco né segreto. Vado a cavallo da quando ho sette anni e... e semplicemente riesco ad instaurare un legame con ogni cavallo che incontro. Non solo con i cavalli, a dire la verità. È sempre stato così.

- Figo - bisbiglio, e lui mi tira un pugnetto sulla spalla. - Credevo facessi equitazione da più tempo di me, però.

- Ah sì?

- Quando compirò sedici anni... avrò trascorso tre quarti della mia vita in questo maneggio.

- Hai iniziato ad andare a cavallo... a quattro anni?

- Sei bravo in mate - dico, ridendo.

-

Note dell'autrice:
buon pomeriggio! Questi capitoli quasi si scrivono da soli... eheheh. Spero abbiate avuto una buona giornata e che passerete una serata ancora migliore. Baci

Il silenzio del ventoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora