Brooklyn's point of view
Tornare a casa non mi rende felice quanto dovrebbe, forse perché ho un mal di testa costante e sono sempre di malumore.
- Casa dolce casa, eh? - dice papà, dandomi qualche pacca gentile sulla schiena. Abbozzo una smorfia a mo' di sorriso.
- Hm - replico, trascinandomi lentamente in salotto. - Dove... dov'è Yuuhi?
Non è venuta a salutarmi... non è da lei.
D'un tratto tutti sembrano a disagio. Cosa mi sono perso? Cosa non ricordo del nostro cane? Mi sforzo di richiamare alla mente qualcosa, anche vago, ma invano.
- Brook... - mormora Bella, senza guardarmi negli occhi. - Yuuhi ci ha lasciati quattro mesi fa...
Cerco conferma negli sguardi degli altri. Nessuno smentisce e io percepisco il mal di testa accentuarsi. Sospiro, scrollando le spalle.
- Okay. Vado in camera mia.
Mia sorella scambia un'occhiata preoccupata con i miei genitori e Leya, tuttavia non mi ferma. Meglio così. Voglio solo sdraiarmi sul letto e non fare niente per ore.
Vorrei dire che la mia camera non è come la ricordavo, ma non me la ricordo. Cioè, solo vagamente. Ci sono cavalli ovunque. Cavalli disegnati sulle coperte e sul cuscino. Un cavallo di pezza sul letto. Statuine di cavalli sulla scrivania, sul comodino, sui ripiani della libreria. Foto di cavalli appese al muro. Libri sui cavalli.
Ci sono anche moltissimi premi: coccarde, medaglie, coppe. Li ho vinti tutti io?
Mi avvicino per osservare meglio le foto sul muro. Ci sono sempre io, io con un... Appaloosa. Wow, non ricordo di avere un cavallo ma so di che razza è.
Ho la conferma di aver vinto tutti i trofei in questa stanza: svariate immagini mi ritraggono sul primo gradino di infiniti podii. Sembro assai orgoglioso.
Ci sono anche delle immagini di un piccolo me su un pony.
- Thor... - mi sfugge, involontariamente. Mi soffermo a studiare il pony per un po', eppure non mi evoca alcun ricordo.
C'è un giovane, nelle foto, un giovane dai capelli ramati e gli occhi grigio-verdi. Più lo guardo e più so di conoscerlo, ma non riesco dare un nome al suo volto perennemente illuminato da un sorriso. Nella mia mente risuona la sua risata e la sua voce che chiama il mio nome, tuttavia non è la voce che sentivo quand'ero all'ospedale.
Infine ci sono delle foto con quel ragazzo, Castiel. Sembro così felice, con lui. M'affretto a distogliere lo sguardo, a disagio, e vado a sedermi sul letto.
Questa stanza... sembra la camera di un Brooklyn in un universo parallelo. Un Brooklyn che ha un cavallo con cui vince qualunque gara a cui partecipi, che ha un ragazzo con cui è felice e dorme in questa stanza che a me pare aliena.
In quell'universo parallelo quel Brooklyn continua la sua vita, forse.
Mi sdraio e chiudo gli occhi, facendo attenzione a non urtare il muro con il braccio rotto. Credo di invidiare quel Brooklyn. Almeno lui non ha mal di testa, non ha un braccio fratturato, non desidera starsene solo tutto il giorno senza fare nulla e, soprattutto, ha ancora tutti i propri ricordi.
Il problema non sono i ricordi, in sé. Sono circondato di ricordi. Quando accenderò il cellulare sarò investito di altri ricordi. Il problema è che quei ricordi non mi appartengono, non più. Non hanno più alcun valore: non mi danno felicità, non m'infondono tristezza, non mi trasmettono alcun sentimento.
L'unico ricordo che mi fa provare un'ambigua sensazione è il braccialetto che porto al polso sano. So che è un braccialetto di crini di cavallo, del mio cavallo e di quello di Castiel, e che me l'ha regalato lui; me l'ha detto Bella. Volevo toglierlo, all'inizio, perché mi faceva senso. Ma più lo guardavo e più mi affascinava... è un bel braccialetto, fatto bene, ben intrecciato, ed è perfetto per il mio polso.
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Il silenzio del vento
RomansaBrooklyn ha quindici anni e aspira a diventare il campione assoluto di equitazione. Ma, quando nella sua vita irrompe un cavallerizzo che potrebbe essere più bravo di lui, con un cavallo forse più fenomenale del suo, il suo sogno vacilla. Sotto la r...