🌸19(Parte I/II)

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Arinori cominciò a scendere le gradinate, dando voce alla sua ubriachezza e lasciandola esplodere in risate colme di scherno e ironia. Delle risate che non avrebbero mai dovuto lasciare le sue labbra, non in presenza del Sommo Sacerdote e degli Shinigami Reali, almeno.

Eppure, era palese che il suo divertimento fosse rivolto verso questi ultimi che, sotto ordine del sovrano, si erano potuti rialzare da terra. 

I quattro avevano voltato lentamente i loro corpi in direzione di quel vecchio pazzo che reggeva un contenitore di sakè in mano, lanciando occhiate ricche di sdegno alle loro figure. 

Hideaki assottigliò lo sguardo, osservando Arinori sorpassare mollemente il recinto che segnava l'entrata all'Arena. Si stava rendendo ridicolo davanti a tutta Isao, e per cosa poi? 

Lui non poteva saperlo, considerava quell'uomo niente i più che l'ultimo discendente di un clan con cui aveva collaborato per anni, oramai consumato da una pazzia che continuava a scambiare per genialità. Eppure, quella genialità Arinori la possedeva davvero. 

Lui sapeva chi sarebbe stata la vittima designata di quello spettacolo, ed era proprio davanti a lui: Tachibana Kyoden. 

«Perdonate la mia intrusione, vostre altezze imperiali.» esordì, bevendo l'ultimo sorso di sakè per poi lanciare con malagrazia il contenitore sul terreno sabbioso. «Ma avevo qualcosa da dire al nostro nuovo Shinigami Reale, Tachibana-sama.»

Kyoden lo fissò con un sopracciglio inarcato ma, trovandosi in una situazione che avrebbe volentieri voluto evitare, decise di non rispondergli.

«Davvero credevi che non fossi a conoscenza del terribile sgarbo che hai commesso nei miei confronti? Privarmi di mio figlio, della mia prole, per crescerlo sotto i tuoi insegnamenti?»

Il Ronin, allora, si rese conto che quell'individuo di cui ricordava a malapena il nome era uno squinternato. «Ha deciso di venire con me lui stesso, non devo dare conto a te delle mie azioni.»

«Arinori.» intervenne immediatamente Hideaki, voltandosi a fissarlo con la severità che solo un capo avrebbe potuto avere. «Torna a sederti, nessuno ti ha chiesto di intervenire.»

«Sumimasen, Sensei.» l'uomo abbassò la testa per breve tempo, prima di sollevarla e rivolgersi nuovamente in direzione di Kyoden. «Ma penso d'avere pieno diritto di reclamare ciò che è mio.»

«Non c'è niente di tuo!» Ryo aveva urlato, mentre disgusto celato a malapena dalla barriera che aveva tentato malamente di crearsi erompeva con forza. 

Si era sollevato in piedi, coi pugni stretti e i denti digrignati. Il fuoco della sua rabbia bruciava ardente nelle sue viscere minacciando di consumarlo. A quel punto, tutti gli sguardi degli Shinigami presenti in quel luogo si posarono però su di lui, incenerendolo con una pari intensità. 

Gli occhi di Arinori si unirono a quelli dei curiosi, ma nel suo sguardo malato, nei suoi occhi blu che condivideva con il figlio come a testimoniare l'appartenenza a un clan disonorato come quello dei Nakamura, non c'era felicità. 

C'erano soltanto brama, goduria e vittoria.

«Eccolo!» urlò, sollevando le braccia come se fosse intento a somministrare una benedizione. «È lui! È mio figlio!»

«Io non sono tuo figlio!» urlò un'altra volta Ryo, con la chiara intenzione di zittirlo. 

Voleva fargli chiudere la bocca, impedirgli di continuare a reclamare un diritto che non gli apparteneva. Lui non era suo figlio, non lo era mai stato, non lo sarebbe mai diventato. 

Arinori, però, non la pensava allo stesso modo, e decise di dimostrare all'intera Isao quanto la sua lingua potesse essere lunga e ben affilata. «Davvero? Eppure ricordo perfettamente d'averti concepito.»

𝐋𝐀𝐌𝐄 𝐃𝐈 𝐒𝐀𝐍𝐆𝐔𝐄 - 𝑂𝑠𝑐𝑢𝑟𝑖𝑡àDove le storie prendono vita. Scoprilo ora