Kotori passava le giornate in veranda, a sfogliare quello stesso libro di poesie che il padre le aveva regalato sette anni prima, al ritorno di una delle sue spedizioni.
Pensava che leggere quegli ideogrammi, facendo compagnia alla madre sotto la veranda, avrebbe reso l'atmosfera molto più piacevole per entrambe.
Eppure, più i giorni passavano più l'angoscia aumentava.
Quella mattina, la casa era particolarmente silenziosa e fredda. Ichiro era andato in città per occuparsi di alcune faccende, Ryo e Nobu non si erano ancora svegliati, e Mei e Kyoden stavano discorrendo pacatamente all'interno della sala da pranzo.
Kotori e Minari non parlavano, preferendo restare avvolte ognuna dal proprio silenzio. Un silenzio che madre e figlia sopportavano con rigidità e compostezza, schiacciate entrambe dalla preoccupazione che si sentivano addosso e che esprimevano ognuna in un modo differente.
Solo verso l'ora di pranzo il nitrito del cavallo di Ichiro riscosse Kotori dalla sua lettura. Sollevò lo sguardo verso la madre, che aveva immediatamente cominciato a camminare verso l'estremità del recinto con gli occhi spalancati e un'espressione speranzosa dipinta sul viso.
Un sorriso triste increspò le labbra di Kotori non appena la vide allontanarsi affranta, delusa, dalla visione del primogenito anziché di quella del marito. Era evidente che quell'assenza la stesse demoralizzando, ma doveva resistere, come doveva farlo anche lei.
Quando Ichiro guidò il cavallo per permettergli di entrare correttamente fra i recinti della casa, la ragazza notò immediatamente quale espressione vigesse sul suo viso quasi sempre composto.
Gli angoli della sua bocca erano incurvati verso il basso, la sua carnagione molto più pallida del normale e le sue mani tremanti. Persino la bestia, avvertendo le sue sensazioni, si ribellava debolmente alla sua presa.
«Ichiro?» lo chiamò Minari, con voce colma di mestizia. I suoi occhi castani avevano già intravisto la pergamena che il Samurai stringeva nella sinistra, con talmente tanta forza da aver piegato la carta.
Il ragazzo le rivolse uno sguardo insicuro, il suo braccio si sollevò con una certa riluttanza, sotto gli occhi di Kotori che osservava tutto da lontano.
Minari prese quella missiva con solennità, abbassò le palpebre e liberò un sospiro. Avrebbe voluto lanciare via quella lettera, dimenticare di averla vista e tornare ad aspettare il ritorno di Eijiro come aveva sempre fatto.
Ma non sarebbe potuta scappare dalla verità per sempre. Non avrebbe potuto eludere quella consapevolezza troppo a lungo.
Le sue mani srotolarono la carta e i suoi occhi cominciarono a osservare gli ideogrammi che erano stati dipinti sopra quel tessuto ingiallito. Rilesse più e più volte, per assicurarsi che non ci fosse stato qualche fraintendimento ma, più le sue pupille percorrevano il foglio, più sentiva lo stimolo del pianto palesarsi.
«Tanaka Eijiro è caduto valorosamente durante la battaglia. Ha servito il suo signore, il suo paese e la sua famiglia, portando onore ai Tanaka di Heian Kyo.»
Minari chiuse gli occhi, lasciando che due lacrime le solcassero le guance e che le sue mani perdessero la presa che mantenevano sulla carta. Si voltò lentamente, continuando a camminare per quel giardino come un'anima in pena alla ricerca di qualcuno che non sarebbe mai più tornato.
Kotori scese immediatamente dalla veranda, senza prendersi il disturbo di infilare i sandali, e corse in direzione del fratello maggiore rimasto a osservare la madre con la sofferenza riflessa negli occhi.
«Ichiro!» lo chiamò, aggrappandosi alla manica stretta della sua veste. «Otousama è...»
La ragazza non riuscì a terminare la frase, perché l'urlo disperato della madre interruppe qualsiasi suo tentativo di parlare.
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𝐋𝐀𝐌𝐄 𝐃𝐈 𝐒𝐀𝐍𝐆𝐔𝐄 - 𝑂𝑠𝑐𝑢𝑟𝑖𝑡à
FantasyPRIMO CAPITOLO DELLA SAGA Il Giappone è una terra antica, fatta di onore, di sacrificio, di uomini valorosi disposti a dare la loro vita per difenderla. Eppure, non tutti sanno, che è anche un luogo in cui gli Yokai abbondano: demoni, esseri malevol...