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«Smetterà mai?» domandò Kotori, intingendo il pennello sottile nell'inchiostro per rifinire alcuni Kanji sopra una pergamena.

Le era sempre piaciuto scrivere, affinare l'arte dello Shōdo quando i tifoni imperversavano fuori dalla Buke-Zukuri, aiutandola a concentrarsi. Eppure, quella tempesta non sembrava trovare il suo termine nemmeno con il calare della sera.

«Non ne ho idea, ma fa un freddo...» mormorò Ryo, stringendosi nel proprio Kimono prima che Nobu provasse a lanciargli la biglia che si stavano divertendo a scagliare lungo la superficie del tavolino.

Ichiro, invece, era sdraiato fra i cuscini con le braccia poste dietro la nuca e il volto fisso verso il tetto. Non aveva parlato, tanto intento era a pensare a come il padre stesse affrontando quel tifone violento sul campo di battaglia.

«Chissà come sta Otousama...» mormorò, più a se stesso che agli altri, prima di tirarsi a sedere sui cuscini e lanciare un'occhiata agli ideogrammi che la sorella minore stava dipingendo, assorta, sul foglio di carta.

«Smettetela di preoccuparvi, tutti e due. Non c'è motivo di farlo: Eijiro è un uomo forte e tornerà, come ha sempre fatto.» fu Nobu a rispondergli, cogliendo tutti di sorpresa. Persino Kotori smise di scrivere per sollevare i propri occhi in direzione del fratellastro, rivolgendogli poi un sorriso pieno di gratitudine

«Peccato che questo non mi rassicuri per niente.» gli rispose il fratellastro, come a fargli intendere di non disturbarsi a rivolgergli di nuovo la parola. «Non mi piace pensare a mio padre, lì fuori, durante un tifone.»

«Io non ci penserei.» replicò Nobu, con acredine.

«Forse perché tuo padre non è stato abbastanza tempo lontano da te.» sibilò alla fine Ichiro, beccandosi un'improvvisa gomitata nelle costole da parte della sorella minore, insieme a una sgridata impartitagli niente meno che da Ryo.

«Si può sapere che diamine ti prende? Nobu non ha detto niente di offensivo, quando avrebbe avuto tutto il diritto di non parlarti dopo il tuo comportamento del caz...» il giovane si bloccò, prima di lasciarsi andare a un'espressione volgare che non si sarebbe dovuto permettere d'usare in una casa di quel rango.

Ichiro, però, non sembrava avere intenzione di smettere di provocarlo. «Vorresti forse farmi la predica, mezzodemone?»

«Ichiro, vedi di piantar...» Kotori non riuscì a terminare quella frase che, tutti e quattro, avvertirono l'inconfondibile rumore delle nocche sul legno della porta d'ingresso.

I ragazzi si scambiarono uno sguardo, straniti da quel suono che era venuto a irrompere la loro faida. Con quel tifone a scuotere la città, chi mai avrebbe avuto l'ardire di avventurarsi nei quartieri di Ohara?

Kotori fece per sollevarsi e andare a vedere di chi si trattasse, ma venne preceduta da un'anziana serva che i suoi genitori avevano assunto subito dopo la morte di Nagisa. La domestica in questione era seguita dalla figura per niente tranquilla di Minari.

Quest'ultima si fermò davanti le porte della sala da pranzo, osservandoli tutti con cipiglio di intolleranza sul volto. Era seccata, arrabbiata, e Kotori lo intuì immediatamente. Ormai, riusciva a comprendere quella donna al primo sguardo, sebbene non fosse così per i suoi amici.

«Andate nelle vostre stanze, vi farò chiamare per la cena.» asserì, rigida, prima di venire contraddetta da una voce molto più leggera e squillante.

«Oh, no! Falli restare pure!» esclamò Keiji, venendo allo scoperto con le vesti e i capelli umidi di pioggia. Un sorriso falso era presente sul suo volto. I suoi capelli corvini erano tenuti insieme da una coda bassa e scompigliata, mentre indosso aveva la divisa che gli uomini di Isao usavano portare. La sopraveste, color blu notte, dei pantaloni stretti e una Uwagi posta a coprirgli il petto. «È da un bel po' di tempo che non vedo i miei nipoti.»

𝐋𝐀𝐌𝐄 𝐃𝐈 𝐒𝐀𝐍𝐆𝐔𝐄 - 𝑂𝑠𝑐𝑢𝑟𝑖𝑡àDove le storie prendono vita. Scoprilo ora