5. That's what friends are for

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Il giorno successivo mi presento con i tacchi e va ancora peggio. Perdo l'equilibrio a ogni passo ed ho rischiato di rovesciare l'ordinazione per almeno sette volte, non a terra, ma bensì sulle persone. In compenso loro si lamentano, facendo salire la mia rabbia e così per "rimediare" Ester mi metteva nella zona caffè. Ma indovinate? Non ho mica imparato come si utilizza quel macchinario e allora aspetto che lei faccia tutto come ha sempre fatto, nel mentre io mi scuso infinite volte.

<<Tu pulisci tutto>> mi dice alla fine, stanchissima nel mentre si butta sulla sedia rubandosi un dolce dal bancone.

La storia si ripete per ben due settimane: solo lavoro, riposo, e telefonata con Gos. Non ho altri amici ed ovviamente non ho scoperto niente riguardo la mia missione qui. Tra lo sguardo della gente vedo ignoranza, nessuno di loro è a conoscenza dell'altra parte del mondo, lo ignorano.

<<Oggi pensi di essere pronta a fare un caffè?>>

<<Si>> rispondo a Ester e mi posiziono davanti a quel mostro. L'ho osservata per giorni e penso di aver capito i movimenti.

Inizio spostando l'apposito paletto da un lato, poi continuo aiutandomi a voce per ricordare i passaggi e sembra funzionare.

<<Sta avvenendo un miracolo>> commenta la mia amica con il sorriso tra le labbra. Quando il liquido di un marrone prima scuro, poi più chiaro e schiumoso si versa sulla tazzina, quasi mi sento uscire il cuore dal petto per l'emozione.

"Il mio primo caffè" mi dico mentre glielo porgo con eleganza, camminando su quei trampoli.

<<Hai imparato pure a camminare>> mi deride con le sopracciglia alzate.

<<Non tutte sono esperte come te>> le rispondo di rimando, mangiando un pasticcino.

Rimaniamo qualche altro minuto a chiacchierare prima che apra il bar alle persone scorbutiche e maleducate. Oramai non vesto più camicie, ma solo magliette che coprono, nonostante mi stremo dal caldo, non importa. Al contrario, Ester sembra molto a suo agio con camicia e gonna, forse perché non ha il seno grande e non le dà fastidio, ma non sembra volgare, anzi, ha un'eleganza particolare che la caratterizza.

<<Holly, ma della tua famiglia, non me ne hai mai parlato>> mi domanda di punto in bianco.

"Oh" Mi trovo spaesata da quella domanda così semplice, ma al tempo stesso così complicata.

Nella mia testa, quasi automaticamente, vendono decifrate le risposte veritiere che dovrei dare, ma dalla mia bocca non esce alcun suono.

<<Scusa, forse è un argomento da evitare...>> sussurra capendo bene.

<<Vivevo con mamma, papà è morto>> dico, mantenendo quel filo di verità, l'unico che potessi raccontare. Noto il suo sguardo alzarsi su di me e rimane con le labbra serrate, intenta se proseguire o meno questo discorso. Resta in silenzio con il suo cuore che accelera per l'ansia.

<<Capisco>> dice solo.

<<Tu?>> chiedo di rimando, visto che in fin dei conti nemmeno lei mi ha mai raccontato niente, se non del fatto che ha una sorella scomparsa da anni. Mi ha mostrato una sua foto un giorno e avevano di uguale solo gli occhi, per il resto, completamente diverse. Erano così anche di carattere secondo il suo racconto.

<<I miei vivono in una città vicino Praga>> Il suo cuore, ancora una volta aumenta di velocità, non per il fatto che sta mentendo, ma per qualcosa che non riconosco, ma sembra...odio, no, dolore. Non ho mai sentito un cuoricino che pulsa per quel sentimento. Ogni battito ha una propria velocità che si identifica poi in un sentimento: Ansia, amore, odio, li avevo vissuti tutti, alcuni più di altri... ma questo particolare così acuto, questa sfumatura di indifferenza causata da una grandissima, non mi era mai arrivata.

The Death Key (The death Series)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora