Capitolo 3

17.6K 706 121
                                    

È diventata una routine passeggiare lungo la costa, dopo il turno di lavoro. È talmente un'abitudine che, appena esco dal locale, sento di dover respirare l'aria fresca, di percepire l'acqua salata che, di tanto in tanto, bagna i miei piedi. Si sente il rumore delle onde, il venticello che smuove il pelo dell'acqua, la schiuma bianca che si crea appena il mare arriva alla fine della sua corsa.
Alterno lo sguardo da una parte all'altra, tolgo qualche ciocca che si riversa sul mio viso e respiro per immagazzinare tutto di questa atmosfera, come con una foto.
Mi fermo sul posto, ad un certo punto, perché noto la presenza di una persona in acqua. Dopo poco capisco che si tratta dello stesso ragazzo di qualche giorno fa. Questa volta decido di rimanere, di vedere il suo volto, di sapere il perché di questa sua abitudine. Il più delle volte non si riesce a dare una valida spiegazione secondo la quale l'altro dovrebbe capirti. Infatti quando racconto che a colazione bevo il tè caldo non mi aspetto che gli altri comprendano. Piuttosto vorrei capire che sensazioni si provano a fare il bagno senza che nessuna paura ti assalga prima ancora che il livello dell'acqua raggiunga i fianchi.
Resto in piedi e lo osservo fino a che non mi rendo conto che sta tornando indietro. Ad ogni passo una parte del suo corpo si scopre e alla fine constato quanto sia alto, ma soprattutto quanto sia cauto in ogni movimento, tranquillo. Sembra padroneggiare ogni azione, sembra rendere suo qualsiasi movimento. Aspetto che arrivi sulla terra ferma, che si asciughi la testa con un asciugamano e che si accorga definitivamente di me.
«Dovrei conoscerti?» si limita a domandarmi.
È buio, la luce di un lampione che arriva dalla strada ci illumina quanto basta per capire a che distanza ci troviamo. Scorgo i suoi lineamenti, gli occhi con un taglio a nocciola, il petto delineato dalle forme dei muscoli.
«No» rispondo con freddezza.
«Okay» dice di rimando e scorgo una curvatura formarsi tra le sue labbra.
«... Però ti conosco abbastanza per poter dire che ti piace nuotare, specialmente di sera» lo scruto attentamente, l'espressione del suo viso che traspare indecisione, forse titubanza.
«Sì, devo dire che non mi dispiace» riprende a spettinarsi i capelli nell'asciugamano e passare quest'ultimo anche sul dorso per poi infilarsi la maglietta che aveva lasciato precedentemente a terra. Fa tutto con garbo, con una certa eleganza. È pacato, lento, calmo, e la sua voce è profonda, roca.
«Com'è?... Intendo nuotare» aggiungo notando la sua confusione. Un cipiglio si forma proprio al centro della fronte, le labbra corrucciate e gli occhi più piccoli. Si morde il labbro inferiore velocemente, cambia peso da una gamba all'altra. Probabilmente lo sto spaventando o chissà cos'altro penserà di una ragazza che chiede ad uno sconosciuto come ci si senta ad immergersi in acqua.
«Che risposta ti aspetti?» mi chiede, osservandomi con attenzione. Inclina di lato il volto, vaga lungo il mio corpo, mi squadra, mi guarda da un'altra prospettiva.
«Qualunque» alzo le spalle, per poi rilasciarle lentamente.
«Sicuramente meglio che camminare... ti senti più leggero da... tutto» sussurra le ultime parole con cautela, volgendo lo sguardo verso la scura distesa dinnanzi a noi. Il suo pomo d'Adamo va su e giù, la mascella che si contrae, le ciglia folte che danno un tocco delicato al suo viso deformato da un'espressione pensierosa; tipico di chi viaggia con la mente allontanandosi per un secondo dalla realtà.
Resto in silenzio riflettendo sul fatto che in quell'incubo io mi sentivo tutto tranne che leggera. Mi sembrava di portare sulle spalle un peso più grande di me che alla fine mi ha fatta affogare nelle tenebre più scure. Era come se qualcuno applicasse pressione sul mio corpo e che non ci fosse niente a cui appigliarsi. Una forza esterna che non era paragonabile all'energia che applicavo per cercare di risalire. Lottavo invano, trattenendo più a lungo il respiro ma, invece che tornare in superficie, continuavo a scendere nel profondo blu.
Ingoio un groppo di saliva e alzo il viso per puntare i miei occhi nei suoi che mi cercano incessantemente.
Abbozzo una specie di sorriso, sollevo un angolo della bocca.
«È bello...» sussurro riferendomi al nuotare, ad una semplice azione che può liberarti dal resto, che può farti sentire veramente leggero. Probabilmente è difficile da capire, ma dopo che vivi un vero incubo in acqua non vorresti più tornarci... ed è quello che è successo esattamente a me. Ho cercato di superare questo ostacolo ma, come per molte altre cose, ho preferito prendere una strada secondaria ed evitare di affrontarlo. È come un groppo in gola, rimane lì finché non decidi di ingoiarlo.
«Molto...» il tono di voce basso, i suoi occhi che mi cercano curiosi come a tentare di capirmi, come se si aspettassero qualche spiegazione «posso farti una domanda?»
«Me l'hai appena fatta.» sogghigno, giusto per fargli capire che non sono un'extraterrestre capitato per caso qui con l'intenzione di porre strane questioni che di sicuro non solo all'ordine del giorno.
Ridacchia in risposta e con due dita si pizzica il naso, incrociando poi le braccia sul petto.
«Perché... perché vuoi sapere cosa si provi a nuotare?» mi cerca con lo sguardo, ma punto la mia attenzione oltre le sue spalle larghe, oltre la sua mole che mi fa sembrare quasi la sua ombra. Mi mordo l'interno guancia.
«Perché vuoi una risposta da una sconosciuta come me?» abbozzo un sorriso, abbasso gli occhi rivolgendoli sui suoi piedi nudi nella sabbia. Ci troviamo a poca distanza e percepisco il suo respiro, il mio, che si mescolano al rumore delle onde.
«Non ti ho mai vista da queste parti.» mi si rivolge con una delicatezza nel tono della voce sorprendente. Incuriosito posa di nuovo il suo sguardo su di me.
«Sai quante persone non si notano...» lascio in sospeso la frase riflettendo sulla verità di queste parole. Si spiegano già da sole.
«Una ragazza dai capelli blu l'avrei notata sicuramente» abbozza un ghigno divertito.
«Neanche io se per questo non ti ho mai visto... eppure abito qui da un po'» nascondo le mani entro le maniche della felpa sottile che indosso.
«Non so quanto sia un po' per te, ma se dici così... be', anche io abito qui da un po'» si spettina i capelli, un movimento spontaneo ma così estremamente misterioso nel suo.
Sorrido, divertita dal comportamento di questo ragazzo.
«È tutto relativo» rispondo facendo spallucce, un dito che si arrotola attorno ad una ciocca. La vita di ognuno di noi è relativa. Viviamo nell'incertezza, viviamo senza sapere chi siamo e dove siamo diretti.
«Giusto» l'angolo sinistro della bocca che si apre in un sorrisetto sghembo, il suo petto che, lentamente, si alza e si abbassa.
Faccio un passo indietro e poi un altro ancora. Lo guardo, osservo la sabbia e poi lo guardo ancora.
«Un giorno forse non saremo più semplici sconosciuti» sospiro. Mi volto definitivamente per poi cominciare a tornare indietro. Lui non dice altro, non sento più la sua voce calda e neanche lo riesco a vedere, appena arrivo alla mia macchina. Sembra tutto lontano, sfocato, remoto.

Indelebile come un tatuaggioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora