Capitolo 29

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Non ho mai pensato di potermi risvegliare accanto ad un uomo che sapesse trattenermi in un abbraccio, che facesse l'amore con me senza sottrarsi davanti alle emozioni, senza nascondersi dietro le debolezze. Non ho mai creduto che sarebbe stato così bello: rimanere aggrovigliata ad un corpo caldo che mi coprisse dalle paure e dal passato, che mi difendesse come se fossi ancora quella bambina piccola cresciuta senza genitori.
Il suo braccio muscoloso mi tiene per la vita, mi stringe proprio con i polpastrelli, la pelle si deforma sotto il suo tocco prepotente e protettivo.
Non immaginavo che mi sarei ritrovata al fianco di un ragazzo, dopo aver condiviso attimi di follia e di fragilità, senza dover scappare per rifugiarmi nei miei stessi pensieri. Non mi è mai capitato che guardassi le mie gambe incrociate alle sue, che le lenzuola stesse ci coprissero svestendoci allo stesso tempo delle nostre emozioni.
Gli ho sussurrato il suo nome all'orecchio, persa nell'oblio, il tono strozzato da un piacere che va ben oltre quello carnale. Con lui mi sono insinuata più in profondità, non sono rimasta in superficie come sempre. Ho nuotato più in basso, trattenendo anche un po' il respiro, fino a toccare il fondo e sentirmi più leggera che sul pelo dell'acqua; delle sensazioni così contrastanti che mi gira la testa al pensiero, ma non voglio più pensare.
Voglio solo rendermi conto che per un volta sono rimasta, che qualcuno è rimasto accanto a me nonostante tutto.
Accarezzo il petto nudo con un dito, lascio che il suo respiro caldo mi avvolga, mi arrivi nel collo, tra i capelli, facendomi socchiudere gli occhi per il piacere.
Desidero non muovermi più da qui, vorrei che momenti così non avessero tempo, che i secondi si fermassero solo per il nostro volere. Pretendo troppo, ma è colpa sua se cerco di vedere le cose in un modo migliore.
«Ehi...» mormora, baciandomi la nuca, massaggiando il fianco che è percorso da brividi come se fino ad ora non mi avesse toccata mai.
«... Ehi» sorrido sulla sua pelle, reprimendolo sui suoi pettorali con vergogna. Mi rende dannatamente felice e non è così che dovrebbe andare.
Ci siamo vissuti in un attimo in cui entrambi eravamo persi, disorientati, e tremendamente sbagliati.
Ci siamo vissuti senza pensare alle conseguenze, dimenticandoci delle grida, degli occhi lucidi, delle prime ore del mattino passate a guardarci e a spingerci via. L'ho addirittura allontanato, spintonandolo, quando in realtà volevo che si avvicinasse di più. Faccio sempre ciò che non voglio, l'esatto contrario di quello che mi renderebbe veramente felice.
Sono stata mezz'ora sotto la doccia a pensare per poi ritrovare a spogliarmi dinnanzi ai suoi occhi senza timore. Me l'ha rubata tutta la paura, quell'energia della quale mi servivo per lasciarlo fuori dalla mia vita.
Solo che ha insistito, non ha lasciato perdere come molta gente avrebbe fatto. Più gli dicevo in silenzio di andarsene, più passi faceva per abbracciarmi e stringermi a sé come una bambina indifesa.
«Cos'hai?» mi chiede dolcemente, fermando la mia mano che descriveva cerchi concentrici sul suo torace. Non mi ero accorta che mi stesse parlando.
Mi ha sempre irritata nel profondo il fatto che volesse sempre occuparsi di me, sapere come stessi, e non fermarsi ad una semplice domanda. Magari gli rispondevo a tono e in malo modo, evasiva, ma non gliene fregava niente.
Vorrei rispondergli semplicemente: "nulla" ma non posso.
«Non ti ho mai raccontato di New York.» non so nemmeno io perché glielo stia dicendo, non stavo pensando minimamente di parlargliene.
Però con lui ho condiviso il mio corpo, la mia intimità, il mio timore di ferirlo, la forza che avevo racchiusa dentro al petto.
Desideravo da troppo tempo che mi si avvicinasse per davvero, che quella distanza non fosse colmata solo da dei baci. E mi rendo conto che non è solo sesso, perché non c'è nulla di più potente di questo. Mi sono sentita nuda -e non parlo dell'asciugamano che ho lasciato cadere sul pavimento- ma nel senso più astratto del termine. Ho capito che le mie ferite le ha viste, che quelle cicatrici aperte bruciavano sotto i suoi occhi curiosi e desiderosi di rendermi sua. Non desideravo altro che accadesse questo: io e lui, in una stanza, le persiane chiuse con il buio ad avvolgerci, i sospiri interrotti addossati alle pareti e i brividi lungo la schiena al ricordo di noi. Mi ha accesa e, da scintilla, sono arsa come erba secca sotto al sole cocente d'estate.
«Sai che non sei obbligata a raccontarmi niente che tu non voglia» mi ricorda e vorrei baciarlo ancora per farlo stare zitto. Non voglio che mi faccia fare un passo indietro ora che la bomba l'ho sganciata.
«Sai che poi starò bene una volta che te l'avrò detto. E mi fido di te.»
Sembra banale affidarsi ad una persona e confidargli chiaramente che la fiducia in essa l'hai. La vedo come una delle cose più intime, potenti e fragili, come sabbia tra le mani, allo stesso tempo.
Si gira su un fianco e smette di fissare il soffitto. Smetto di guardare il suo profilo perfetto, dalle curve morbide, gentili, e squadrate in alcuni punti.
Un suo lungo respiro mi ingloba, mentre il suo viso è a pochi centimetri dal mio. Mi guarda, mi affonda dentro le iridi così belle e uniche.
Non credo di riuscirci se mi osserva in questo modo; mi verrebbe voglia di viverlo di nuovo.
In modo infantile gli chiudo gli occhi, abbassandogli le palpebre con il palmo. Lo sento ridere sotto la mia mano, ma lascia che lo accarezzi e che gli vieti di guardarmi mentre gli racconto di me. Rimane esattamente così e ne approfitto per spingermi di più verso il suo petto, infilandomi in un nuovo abbraccio che sembra già mancarmi.
Sarò mai capace di andarmene?
Il suo mento si posa sul mio capo, mente appoggio la guancia sul suo corpo che non tarda a trattenermi al sicuro da ciò che c'è là fuori.
Chiudo gli occhi anche io per cercare di focalizzarmi sul suo respiro, sulle sue braccia strette dietro la mia schiena nuda e magra, sul battito del cuore che percepisco vicinissimo.
Prendo un sospiro.
«Lì a New York ho la mia famiglia.»
Che poi non so più quale lo sia per davvero. Comunque, continuo.
«Non ho avuto un'infanzia come le altre. Magari ti sembrerà assurdo, o che la mia storia sia presa da un libro o da un film esageratamente realistico e triste...» stringo forte le palpebre perché non affronto questo discorso da anni, e mi fa male ogni volta. Una sua mano mi accarezza i capelli e ritrovo parte della tranquillità «... i miei genitori sono morti in un incidente stradale. Ero piccola, non ricordo molto; gran parte delle cose me le ha raccontate mia sorella Juliet, che vive là.» mi fermo qualche secondo. Nominare mia sorella mi ricorda ancora il motivo della mia sofferenza, della mia destabilizzazione emotiva.
La sua presa è decisamente più stretta, e tace, non parla. So di avergli appena rivelato tante cose brutte tutte insieme, ma la mia vita è sempre stata un sali scendi dalle montagne russe degli orrori. A volte mi chiedo come possa aver affrontato tutto questo dolore.
«Mio padre si era ubriacato ben bene perché aveva perso il lavoro. L'avevano licenziato per il fallimento della ditta e, quando uscì di casa, mia madre lo seguì. Voleva farlo ragionare, riportarlo a casa e fargli passare quella merda di sbornia ma... cazzo, si è messo al volante e l'ha portata con sé verso la morte. Capisco che fosse annebbiato dall'alcol ma ci ha portato via nostra madre e ci ha portato via da lui. Era distrutto, ma niente di tutto quello doveva accadere. Avevano litigato molto e... il resto non lo so bene perché è un ricordo troppo confuso, avevo circa undici anni. Credo di non essermi sentita più sola, in quel dannato momento.» le lacrime calde agli angoli degli occhi mi ricordano puntualmente che niente è superato, che quel dolore mi logora ancora e ancora.
Sento rabbia per un destino che si è preso gioco di due bambine troppo giovani per aver a che fare con una storia così. Se non ci fosse stata Juls probabilmente non sarei qui.
«Io... Chris, dannazione, non è giusto che tu abbia sofferto in quel modo. Volevo...» si interrompe, ma vorrei che continuasse, che mi allontanasse dal ricordo della paura della solitudine e dello smarrimento, che mi portasse via da un passato che ho assimilato e accettato nel corso del tempo.
«Volevi esserci?» alzo lo sguardo perché ho bisogno dei suoi occhi.
Mi prende il mento tra due dita e mi avvicina a lui per baciarmi.
«Cazzo, sì.» ringhia sulle mie labbra e vorrei seriamente averlo avuto accanto in un momento del genere. Sarebbe stato bellissimo.
Ma ci sei ora, in questo istante bastardo che dura troppo poco.

Indelebile come un tatuaggioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora