Capitolo 23

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Preparo un cappuccino ad una ragazza che sembra intenta a realizzare una tesi, visto quanto scrive sul suo computer. Senza contare che è il secondo che ordina.
«Credi che non sia meglio una vodka? Del caffè sembra non bastarle...» Sospira Roxanne con lo strofinaccio tra le mani e ciuffi riccioli che vanno in ogni direzioni per colpa di una crocchia completamente lasciata a se stessa.
Le do un colpetto sul braccio, trattenendo una risata, accertandomi che non abbia sentito, visto che c'è davvero poca gente.
Fuori il cielo è nuvoloso, perciò le persone preferiscono restarsene in casa o in qualche locale, ma non sulla spiaggia. Meglio così perché almeno ho degli attimi di relax senza che corra da una parte all'altra.
«Quanti giorni sono passati? Dieci?» Si appoggia al banco lanciando uno sguardo alla sala.
In questo preciso istante preferirei la musica di Cody a spaccarti i timpani per evitare di sentire, piuttosto che una musica soave trasmessa da alcune casse che mi fa sentire il mio stesso respiro. So benissimo a cosa si riferisce, gliene ho parlato perché è mia amica e sono in confidenza con lei, ma ora me ne pento.
«Tre, Rox. Non dieci» Faccio una smorfia, trova sempre il modo di ingigantire le cose per farle apparire drammatiche.
«È come se fosse più di una settimana. Hai idea di quanti siano tre giorni senza mai sentirsi, nemmeno per telefono?» Esclama, prendendo parte all'argomento come se fosse la diretta interessata.
Te lasciavi che Dave ti stesse lontano diverse settimane e la fiducia la riponevi sempre in lui, nonostante fosse l'ultimo uomo a meritarti. Nonostante la distanza e il tempo credevi di amarlo. Non sono i giorni che fanno differenza, ma quanto bene conosci una persona.
Apro la lavastoviglie per tirare fuori i bicchieri.
«Cerchi sempre di uscirtene dalla conversazione. Non funziona.» La chiude davanti ai miei occhi. Sono a lavoro o no?!
«Avevo solo bisogno di parlartene, non perché poi mi facessi la ramanzina...»
«Avevi bisogno di un consiglio e te lo voglio dare: non tornare a casa come hai fatto fino ad oggi, ma va' da lui e portagli... del caffè, per esempio. Fidati.» Annuisce a se stessa, facendo il giro del bancone per uscire. Si dirige verso i tavolini lasciandomi lì con il fiato sospeso.
Sta parlando sul serio?

Mi sento ridicola a farlo, fino a dieci minuti fa ero dell'idea di tornarmene a casa dopo il turno. Mi chiedo se ne valga la pena, se non sia solo tempo sprecato quando me lo troverò davanti e mi dirà che non ha bisogno di me. Sono passati tre giorni da quella sera, da quell'istante nel quale gli ho detto di pensare prima a se stesso. Non avrei voluto farlo, ma so che andava detto in un modo o nell'altro. Sono stata male vedendolo così abbattuto, lasciato a se stesso, solo perché l'aveva voluto lui, senza neanche provare a prendere qualche scorciatoia. Ha dei problemi di cui non mi parla e spero che un giorno lo faccia per togliersi il peso e percepire quella strana leggerezza dentro che ho provato io mentre gli raccontavo di me, in riva al mare, l'acqua a bagnarci i piedi e il tramonto ad accarezzare dolcemente i nostri volti.
Alla fine tre giorni, nonostante siano passati lentamente, mi hanno permesso di non pensare costantemente a lui, concentrandomi sul lavoro e niente altro. Solo che odio lasciare le cose in sospeso, non sto in pace con me stessa, e credo sia per questo motivo che ora mi trovo qui di fronte al portone del piccolo condominio.
Suono il citofono e la porta si apre senza che nessuno mi risponda per capire chi sia. Salgo le scale incerta, il fiato corto non di certo per gli scalini.
Rimango piuttosto sorpresa quando vedo, sulla soglia, Yvonne ad aspettarmi nella sua maglietta larga, i capelli sciolti con i boccoli oltre le spalle piccole. Ora che c'è luce posso vedere gli occhi grandi, profondi quanto quelli del fratello, il biondo cenere della chioma e quello sguardo che sembra scavarti dentro, analizzandomi.
«Immagino tu sia Chris.» Resta sulla porta, appoggiata allo stipite, prendendosi tutto il tempo per passare lo sguardo su di me da capo a piedi, facendomi rabbrividire per la somiglianza con Chase.
«Immagini bene.» Mi limito a dire, prendendomi il tempo di guardarla ancora, trovando tutte le somiglianze con quel ragazzo che mi sta facendo perdere la testa senza che gliel'abbia concesso. Così, dal nulla più totale.
Accenna un sorrisetto, ma non smette di studiarmi. Lo fa senza vergogna, senza che si preoccupi che mi senta a disagio. Non lo sarei comunque, non siamo tanto diverse.
«Cosa ci fai qui? Sinceramente. Non dirmi che sei capitata qua per caso.» Incrocia le braccia al petto. Trattengo un sorriso per la sua sfacciataggine che comincia a piacermi.
«No, tranquilla, non sono quel genere di persona. Ho due caffè e pensavo di portarne uno a tuo fratello per parlargli. Non ci siamo più sentiti e ho bisogno di sapere come sta.»
«Esiste la tecnologia. Cellulari... mai sentiti?»
«Sono sempre rimasta dell'idea che le cose vadano risolte a quattrocchi, che per chiedere "come va" ad una persona devi esserle vicina... e non scrivendo un banale messaggio.» La prendo come una sfida. Se è il confronto che vuole, va bene.
«Non hai tutti i torti.» Fa spallucce, un sorrisetto compiaciuto le scappa, illuminandole il viso che prima era corrucciato nell'intento di fronteggiarmi e farmi crollare con qualche frase puntigliosa.
«Chase non è in casa, l'ho capito. Lascio qui i caffè in caso te lo voglia bere con lui.» Glieli lascio tra le mani senza che si opponga. Mi volto, non prima di rivolgerle un sorriso. Ho apprezzato la sua sincerità. Si vede che tiene a Chase e sono contenta che abbia qualcuno che si preoccupi per lui.
«Chi ti ha detto che Chase non è in casa?» La sua voce divertita mi fa voltare. Scuoto la testa, questa ragazza è molto più di quello che sembra. Mi piace.

Indelebile come un tatuaggioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora